L'ex comandante Ros
Perché i Pm continuano a perseguitare Mario Mori dopo 9 sentenze di assoluzione
È una vessazione accettabile, forse, per gli ideologi delle verità assolute, ma che, proprio per questo, legittimano gli Stati totalitari. Ma in uno Stato, che rispetti il cittadino come persona, è una vessazione inaccettabile.
Giustizia - di Astolfo Di Amato
Nessuna novità: un ulteriore processo a carico del generale Mori. Il quale ha fatto osservare, in una delle sue prime dichiarazioni, che la nuova imputazione ha aggiunto un elemento di surrealtà: “Oggi vengo indagato per non aver impedito le stragi, quindi una virata di 360 gradi rispetto al precedente teorema. A Palermo, infatti, mi hanno processato per 11 anni con l’accusa di aver trattato con la mafia e siglato un accordo con Provenzano per far cessare le stragi”.
Sta di fatto che Mario Mori, dopo essere stato sottoposto per oltre venti anni ad indagini e a tre processi, chiusi tutti con assoluzione piena, oggi è sottoposto ad un altro processo. Sempre per gli stessi fatti.
- Per Mario Mori continua la persecuzione, indagato per le stragi mafiose del 1993: “Vogliono farmi morire sotto processo”
- Indagine sulle stragi e accuse a Mori: il corto circuito della procura di Firenze
- Mori indagato per le stragi mafiose, i pm vogliono abbatterlo: se Falcone fosse vivo sarebbe in prigione…
Perché sta qui la totale inaccettabilità, anche sotto il profilo strettamente giuridico, di quanto oggi accade. Degli aspetti politici e politico-sociali della vicenda ha già scritto, su questo giornale, il Direttore.
Ma vi è un aspetto di assoluta inammissibilità giuridica di quanto accade, che merita di essere sottolineato. Vi è una regola fondamentale di ogni ordinamento civile, che vieta di sottoporre la stessa persona ad un nuovo processo, quando per gli stessi fatti sia già stato giudicato.
Essa è generalmente conosciuta con il brocardo latino “ne bis in idem”, il che fa comprendere che già l’antica Roma la conosceva e l’applicava. La ragione fondamentale sta nella intollerabilità della condotta di uno Stato, che vessi a vita una persona.
Ciò tanto più che, considerata la disparità macroscopica sia di poteri di indagine e sia di mezzi economici, sarebbe una lotta alla quale nessun cittadino sarebbe, alla lunga, in condizione di resistere.
Ma questa regola, nell’Italia di oggi, presenta un evidente difetto: se interpretata alla lettera rischia di limitare i poteri dei pubblici ministeri. Non sia mai!
Ed ecco allora una serie di trucchi per aggirarla: si è vero i fatti sono gli stessi…ma oggi c’è un episodio in più che prima non era stato considerato, si è vero i fatti sono gli stessi…..ma oggi ci occupiamo delle conseguenze di quei fatti, che prima non avevamo considerato, e così via.
Attraverso questi meri artifici verbali sono sistematicamente violate, nei casi ai quali le procure hanno maggiore interesse, le disposizioni contenute sia nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (art. 4 del protocollo VII), su cui giudica la Corte di Strasburgo, e sia la Carta dei diritti fondamentali dei cittadini europei (art. 50), su cui giudica la Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Tutte e due convergono nell’indicare che non si può essere giudicati due volte per gli stessi fatti. La giurisprudenza delle Corti internazionali, formatasi sulle due disposizioni, è giunta alla conclusione che “l’identità dei fatti materiali deve essere intesa come un insieme di circostanze concrete derivanti da eventi che sono, in sostanza, gli stessi, in quanto coinvolgono lo stesso autore e sono inscindibilmente legati tra loro nel tempo e nello spazio”.
Occorre, perciò, guardare alla sostanza e verificare se quella sostanza (cioè, il fatto) è già stato giudicato o no. Ebbene, nel caso del gen. Mori si sono già celebrati ben tre processi, che hanno tutti riguardato la sua condotta, quale comandante del I reparto dei ROS, nei primi anni Novanta.
Quel periodo è stato oggetto di uno scrutinio millimetrico in ben tre processi, svoltisi attraverso tre gradi. Perciò è stato oggetto di ben nove sentenze. Alla fine, in tutti e tre i procedimenti le tesi dell’accusa sono state sconfessate. Oggi un quarto procedimento.
Rispetto al quale, prima ancora del diritto ad essere dichiarato innocente, vi un diritto preliminare: quello a non avere la propria vita rovinata dall’accanimento di una funzione dello Stato, quella della pubblica accusa, che, non potendo accettare la sconfitta, riparte all’infinito con contestazioni sempre nuove, ma riferite agli stessi fatti.
È una vessazione accettabile, forse, per gli ideologi delle verità assolute, ma che, proprio per questo, legittimano gli Stati totalitari. Ma in uno Stato, che rispetti il cittadino come persona, è una vessazione inaccettabile.