L'indagine sul membro della DNA
Prestipino indagato: perché intercettavano De Gennaro, il giallo che coinvolge anche Gratteri
Dal comunicato della Procura di Caltanissetta sembrerebbe che i destinatari delle intercettazioni siano l’ex capo della Polizia e forse anche il prefetto Gratteri, un’ipotesi che potrebbe celare una realtà ancora più inquietante e complessa
Giustizia - di Stefano Giordano

La recente indagine che coinvolge il magistrato Michele Prestipino Giarritta, membro della Direzione Nazionale Antimafia (DNA), ha acceso un ampio dibattito pubblico. Prestipino è un’autorità riconosciuta nel campo della giustizia, con una carriera pluridecennale dedicata alla lotta contro la mafia e alla difesa della legalità. Tuttavia, l’inchiesta in corso solleva interrogativi significativi che meritano di essere affrontati con rispetto e attenzione al contesto.
Da alcune frasi del comunicato della Procura di Caltanissetta, a mio parere, sembrerebbe emergere l’ipotesi che i destinatari delle intercettazioni siano proprio l’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro e, forse, anche il prefetto Gratteri. Non si tratta di una certezza, ma di un legittimo sospetto che potrebbe celare una realtà ancora più inquietante e complessa. Questa circostanza fa sorgere interrogativi su chi sia realmente al centro delle indagini e suggerisce che l’indagine potrebbe risultare più complessa di quanto inizialmente apparso. Se si prova a considerare il contesto attuale dell’indagine secondo questa nuova lettura, è possibile che si stia cercando di fare luce su una rete ben più vasta che coinvolge elementi interni alle istituzioni di grandissimo rilievo dietro alle stragi e al cordone di omertà che ne è conseguito.
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Questa direzione, se confermata, richiederebbe una rivalutazione totale dell’ipotesi accusatoria. In un’epoca in cui la narrazione popolare ha talvolta distorto la reale dinamica tra mafia e rappresentanti delle forze dell’ordine, è indispensabile comprendere che i mafiosi non operano nel vuoto, ma si avvalgono di una “zona grigia” per perseguire i propri interessi illeciti. In passato, le tesi sulla cosiddetta “trattativa” tra Stato e mafia si erano rivelate fallaci, come per tabulas indicato dagli infausti (per l’accusa) esiti giudiziari. Le suggestioni su personaggi politici come Andreotti, accusati di manovrare dall’ombra i destini della mafia, si sono rivelate più narrative immaginifiche che fatti reali supportati da prove concrete. Riconoscere questa verità è fondamentale, non solo per onorare il sacrificio dei magistrati assassinati, come Falcone e Borsellino, ma soprattutto per restituire ai cittadini la fiducia in una giustizia che si erge veramente contro il crimine, senza deviazioni o distorsioni.
L’inopportuno silenzio dei colleghi e la ricerca della verità
Un altro aspetto importante da considerare è il comportamento processuale del Dott. Prestipino, parallelo a quello di altri illustri ex colleghi come il Dottor Pignatone e il Dottor Natoli. Entrambi, figure di spicco all’interno della magistratura, hanno scelto di adottare un atteggiamento di silenzio piuttosto che fornire spiegazioni tempestive alla Procura di Caltanissetta. Questo riserbo, sebbene assolutamente legittimo dal punto di vista giuridico, appare a chi scrive inopportuno considerando il loro ruolo e la necessità di trasparenza in momenti di solenne criticità da parte di uomini di Stato.
Le loro promesse di inoltrare memorie dettagliate sulle questioni in gioco sembrano ancora in attesa di attuazione. Un approccio attivo e diretto nei confronti delle accuse sarebbe auspicabile, non solo per difendere la propria importante reputazione, ma anche per contribuire al ripristino della fiducia pubblica nelle istituzioni e contribuire in maniera attiva alla ricerca della verità. Inoltre, un altro contributo importante che i magistrati indagati potrebbero apportare alle indagini è rinunciare alla prescrizione: una scelta che non solo favorirebbe un’accurata ricerca della verità, ma dimostrerebbe anche un impegno serio per una giustizia senza ambiguità, considerando anche la lontananza temporale intercorsa dalle stragi del 92.
Verso una verità necessaria
In questo contesto, è importante riconoscere gli sforzi della Commissione Parlamentare Antimafia, guidata da Chiara Colosimo, che ha recentemente audito i figli di Borsellino e il genero, avvocato Trizzino. Un passo significativo, mai realizzato in passato, che testimonia un rinnovato impegno verso una ricerca autentica della verità. Questo sviluppo suggerisce che la Procura di Caltanissetta stia operando con serietà e determinazione per andare al cuore delle questioni che circondano il fenomeno mafioso. In particolare, è fondamentale sottolineare che lo sforzo della Procura genera speranza, al di là dell’accertamento delle singole responsabilità e ferma la presunzione di innocenza. Se ci saranno o meno responsabilità, saranno gli stessi magistrati a deciderlo, secondo i principi che governano il nostro sistema giuridico.
In questo senso, è essenziale mantenere un metro garantista, evitando doppiopesismi e trattando ogni indagato con la stessa dignità e rispetto, a prescindere dal loro rango, senza essere deboli con i forti e forti con i deboli, operando così odiosi doppiopesismi. Solo così si può garantire l’eguaglianza di fronte alla legge, fondamentale per una società giusta e democratica. La verità, vilipesa da pregiudizi, manipolazioni e depistaggi, sembra oggi meno lontana. È un passo fondamentale non solo per le vittime e le loro famiglie, ma anche per una società che anela a una giustizia più equa e trasparente. Lo sforzo collettivo verso la verità rappresenta la speranza di un futuro migliore, in cui la giustizia, con le sue umane imperfezioni, possa trionfare e la mafia sia finalmente sconfitta nella sua naturale propensione a infiltrarsi nelle istituzioni, senza fare per ciò stesso di tutta l’erba un fascio.