La strage di via D'Amelio

Omicidio Paolo Borsellino, lo Stato fu responsabile del depistaggio: l’accusa della famiglia

Nel mirino dei magistrati è finito l’allora capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera. L’alto funzionario è ritenuto ormai il “regista” dell’operazione Scarantino, anche se i magistrati hanno escluso che fosse colluso con la mafia.

Giustizia - di Paolo Comi

12 Luglio 2024 alle 14:30 - Ultimo agg. 12 Luglio 2024 alle 17:35

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Omicidio Paolo Borsellino, lo Stato fu responsabile del depistaggio: l’accusa della famiglia

Essendo ormai chiaro che il depistaggio delle indagini sulla morte di Paolo Borsellino venne pianificato dagli apparati dello Stato prima ancora che si consumasse la strage di via D’Amelio, la decisione dell’avvocato Fabio Trizzino, legale di parte civile della famiglia del magistrato ucciso e marito della figlia Lucia, di costituirsi contro il Ministero dell’interno e la Presidenza del Consiglio dei ministri, non può non essere che un “atto dovuto”. Lo ha ribadito infatti egli stesso ieri mattina davanti al gup di Caltanissetta Davide Santucci dove è in corso l’udienza preliminare nei confronti dei poliziotti Giuseppe Di Gangi, Vincenzo Maniscaldi, Angelo Tedesco e Maurizio Zerilli, tutti ex appartenenti al gruppo di indagine “Falcone-Borsellino”, accusati di aver dichiarato il falso deponendo come testi nel corso del processo di primo grado sulla gestione del falso pentito Vincenzo Scarantino.

La nuova inchiesta di Caltanissetta nasce proprio a seguito della sentenza di quel processo celebrato nei confronti di altri tre poliziotti: Mario Bò, Fabrizio Mattei e Michele Ribaudo.
Chiamati a testimoniare sulle condotte tenute dai loro colleghi, Zerilli disse 121 non ricordo, Tedesco 100 e Di Gangi 110. Maniscaldi, invece, andò anche oltre, riferendo circostanze false.
Il presidente del collegio Francesco D’Arrigo, visto il comportamento omertoso e reticente dei quattro poliziotti, decise allora di trasmettere gli atti affinché si procedesse nei loro confronti per falsa testimonianza. Convocati in Procura, prima del rinvio a giudizio, i quattro nei mesi scorsi si erano avvalsi della facoltà di non rispondere. “Nel clima di omertà istituzionale il dibattimento ha consentito di cristallizzare quattro ipotesi nelle quali soggetti appartenenti o ex appartenenti alla polizia di Stato e al gruppo Falcone e Borsellino hanno reso dichiarazioni insincere”, si legge nella sentenza di D’Arrigo, che dedica poi grande spazio alla sparizione dell’agenda rossa su cui il magistrato annotava i suoi appunti.

“Può ritenersi certo — prosegue — che la sparizione dell’agenda rossa non è riconducibile ad una attività materiale di Cosa nostra”. “Quel che è certo è che la gestione della borsa di Borsellino dal 19 luglio al 5 novembre è ai limiti dell’incredibile: nessuno ha redatto un’annotazione o una relazione sul suo rinvenimento, nessuno ha proceduto al suo sequestro, nonostante da subito vi fosse stato un evidente interesse mediatico”, aggiunge. Nel mirino dei magistrati è finito l’allora capo della squadra mobile Arnaldo La Barbera, morto per un tumore al cervello nel 2002.
L’alto funzionario è ritenuto ormai il “regista” dell’operazione Scarantino, anche se i magistrati hanno escluso che fosse colluso con la mafia. “Non c’è prova che sia stato a disposizione dei Madonia”, scrive sempre D’Arrigo. Per il Tribunale avrebbe agito “per finalità di carriera”, facendo “letteralmente carte false per potere mantenere e accrescere la propria posizione all’interno della polizia di stato e nell’establishment del tempo”. La Barbera è morto da più di vent’anni e non può più rispondere. Possono rispondere i poliziotti che lavoravano con lui e che fino ad oggi non hanno mai sentito l’esigenza di raccontare chi decise di insabbiare le indagini sulla morte di Borsellino. Non è pensabile, infatti, che il depistaggio fosse stato condotto solo da parte di appartenenti alla polizia di stato senza l’avallo della magistratura.

12 Luglio 2024

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