Il vincitore del World Press Photo
Storia di Mahmoud, il bambino della foto dell’anno: mutilato dalle bombe israeliane
L’immagine scattata dalla fotografa palestinese Samar Abu Elouf per il Nyt lo ha reso famoso, ma lui avrebbe preferito riavere le braccia, perse a causa di un raid su Gaza City a marzo 2024.
Esteri - di Umberto De Giovannangeli

Il suo nome è Mahmoud. Mahmoud Ajjour. Ha nove anni. E’ un bambino di Gaza. Che una foto ha reso famoso nel mondo. Lui ne avrebbe fatto volentieri a meno. Avrebbe preferito riavere le sue due braccia. Lo scatto realizzato dalla fotografa palestinese Samar Abu Elouf per il New York Times che ritrae Mahmoud, insanguinato, mentre fuggiva da un attacco israeliano a Gaza, è la Photo of the Year del World Press Photo. Samar Abu Elouf è stata evacuata da Gaza nel dicembre 2023. Ora vive nello stesso complesso residenziale di Mahmoud, a Doha, dove ha documentato le storie di alcuni dei pochi palestinesi gravemente feriti che, come lui, sono riusciti a uscire dalla Striscia per ricevere cure mediche.
La storia di Mahmoud
Mahmoud Ajjour è rimasto gravemente ferito nel marzo 2024, mentre fuggiva da un attacco israeliano a Gaza City. Si era voltato per incitare la famiglia a proseguire, quando un’esplosione gli ha amputato un braccio e devastato l’altro. L’intera famiglia è stata evacuata in Qatar dove, dopo un intervento medico, Mahmoud sta imparando a giocare con il telefono, scrivere e aprire le porte usando i piedi. Il sogno di Mahmoud è avere delle protesi e vivere la propria vita come qualunque altro bambino. Secondo le stime delle Nazioni Unite, a dicembre 2024 Gaza contava il più alto numero pro capite di bambini amputati al mondo.
Secondo dati Unicef aggiornati al 31 marzo 2025, dopo quasi 18 mesi di guerra nella Striscia di Gaza più di 15.000 bambini palestinesi sarebbero stati uccisi, oltre 34.000 sarebbero stati feriti e quasi un milione di bambini sfollati più volte e privati del loro diritto ai servizi di base.
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“Questa – dice la direttrice esecutiva di World Press Photo, Joumana El Zein Khoury – è una foto silenziosa che parla con forza. Racconta la storia di un singolo bambino, ma anche di una guerra più ampia, le cui conseguenze si estenderanno per generazioni. Scorrendo il nostro archivio, nel 70/o anno di World Press Photo, mi trovo davanti a troppe immagini come questa. Sono profondamente grata ai fotografi che, nonostante i rischi personali e il peso emotivo, scelgono di documentare queste storie, permettendoci di comprendere, sentire empatia e trovare la motivazione per agire. Guardando ai prossimi 70 anni, World Press Photo continuerà a stare al fianco dei fotografi che rischiano tutto per mostrarci la verità”.
“La vita di questo bambino merita di essere compresa, e questa immagine riesce in ciò che il grande fotogiornalismo sa fare: offrire un punto d’accesso stratificato a una storia complessa, e spingere chi la osserva a soffermarsi su quella storia più a lungo. A mio parere, questa immagine di Samar Abu Elouf era chiaramente vincitrice fin dall’inizio” ha spiegato la presidente della giuria globale, Lucy Conticello, direttrice della fotografia per M, il magazine del weekend di Le Monde.
«Una delle cose più difficili che la madre di Mahmoud mi ha spiegato è stata che quando Mahmoud si è reso conto per la prima volta di avere le braccia amputate, la prima frase che le ha detto è stata: “Come farò ad abbracciarti?”», ha raccontato Elouf. Samar Abu Elouf, 40 anni, segue costantemente la guerra a Gaza. Ha raccontato alla Cnn il prezzo personale del suo lavoro quotidiano: «Prima di fotografare un bambino morto controllo che non sia il mio».
Madre di quattro figli, ha continuato a documentare la guerra anche quando le bombe hanno distrutto la sua casa. Ha dormito nel retro di una jeep, senza bagno, senza elettricità, cercando storie tra le macerie. «Io non scappo dal pericolo, io ci corro incontro», dice. «Anche quando cadono i missili, io non fuggo». In un’intervista dell’estate 2024, la fotografa aveva raccontato che la sua carriera era iniziata contro il volere della famiglia, costruita con ostinazione: «Ho creato me stessa. Da sola». La foto di Mahmoud rimane nel cuore. E lo fa sanguinare. Perché non è solo la cronaca di una ferita, è il ritratto di una sopravvivenza. «Non sono solo vittime, feriti e numeri. Non sono sacchi di carne, sangue e ossa – dice Samar – sono esseri umani che sognavano di vivere fino a domani». E in quello sguardo di Mahmoud verso la finestra c’è tutta la forza che resta.
Questa immagine arriva a distanza di un anno dalla vittoria di una fotografia altrettanto potente, quella che nel 2024 ha visto trionfare la foto di Mohammed Salem conosciuta come la “Pietà di Gaza”, sempre scattata in Palestina. Quella fotografia, che mostrava una donna che abbraccia il corpo senza vita di sua nipote, di cinque anni, avvolta in un sudario, aveva già messo in luce il tragico destino dei civili palestinesi, specialmente dei più piccoli, in una guerra che sembra non finire mai.