Da oggi nelle sale

La vita da grandi, Greta Scarano: “Racconto l’autismo senza tabù”

Al debutto dietro la macchina da presa, l’attrice affronta la storia di Damiano e Margherita Tercon: “Non sono due geni in stile Rain Man, ma due fratelli che vivono le emozioni di tutti”

Spettacoli - di Chiara Nicoletti

3 Aprile 2025 alle 15:30

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Photo by Gian Mattia D\’Alberto/LaPresse
Photo by Gian Mattia D\’Alberto/LaPresse

Dopo il felice debutto alla regia del cortometraggio Feliz Navidad, l’attrice e sceneggiatrice Greta Scarano presenta finalmente al cinema il primo lungometraggio che la vede dietro la macchina da presa, La vita da grandi. Prodotto da Groenlandia, Halong e Rai Cinema e ispirato alla storia vera di Margherita e Damiano Tercon, narrata dai due in Mia sorella mi rompe le balle, il film, interpretato da Matilda De Angelis e Yuri Tuci (per la prima volta sullo schermo) racconta Irene e suo fratello autistico Omar e del loro percorso di liberazione da ruoli e limiti prestabiliti per “diventare grandi” e vivere più felici e consapevoli. Film di chiusura della XVI edizione del Bif&st – Bari International Film&Tv Festival, La vita da grandi sarà in sala da oggi con 01 Distribution, a seguire la Giornata mondiale per la consapevolezza sull’autismo del 2.

Greta, com’è avvenuto l’incontro con i fratelli Tercon e perché ha pensato che la loro storia poteva essere quella giusta da raccontare nel suo debutto alla regia?
Questa storia è arrivata nel lontano 2020 durante il Covid. Ho casualmente visto il provino di Damiano e Margherita Tercon a Italia’s got talent e ho scoperto che avevano scritto un libro. Avendomi loro molto colpita, ho comprato il libro che mi ha confermato che avevo avuto l’intuizione giusta. Avevo solo paura che qualcun altro li avesse già scritturati per fare un film della loro storia. Grazie al cielo invece sono stata la prima, tant’è che loro pensavano fosse uno scherzo quando ho scritto loro su Instagram. Ho visto in questa storia il potenziale per il cinema perché ho pensato sarebbe potuto essere un film che io avrei voluto vedere. Io ho un gusto abbastanza largo, mi piacciono tante cose, anche le cose commerciali fatte bene, sono cresciuta comunque con i film di Spielberg e di Tarantino. Nella loro storia ci ho visto un potenziale importante sia drammatico e drammaturgico, perché mi ha emozionato tantissimo, sia comico, visto che il film può definirsi una commedia, anche se tocca delle corde molto profonde, in maniera sia intensa che leggera.

Che cosa ha voluto raccontare in questo film?
Due punti di vista, quello di un fratello e una sorella. Nel leggere il libro dei fratelli Tercon, da una parte c’è stato proprio il colpo di fulmine per lui, Damiano, che racconta la sua condizione, tutto quello che ha vissuto, con la sua grandissima autoironia e il suo sguardo originale sul mondo. Dall’altra mi ha colpito moltissimo la figura della sorella, una “sibling” che in inglese genericamente significa fratello e sorelle e però in neuropsichiatria ha acquisito quel significato di persona che ha un fratello o una sorella con disabilità. Sono anche detti bambini di vetro perché crescono cercando di essere invisibili, per dare meno problemi possibili.

La vita da grandi, fortunatamente, sfugge ad uno stereotipo, ovveroquasi a un obbligo di certi film di “compensare” la disabilità di un personaggio con un aspetto che lo rende eccezionale. Il suo protagonista, Omar è speciale ma normale, non ha nessun superpotere o abilità particolare, stile Rain Man. C’era questa intenzione da parte vostra, di normalizzare questo tipo di racconto?
Hai colto una cosa che per noi è stata fondamentale per tutto il percorso di scrittura: noi avevamo chiaro che lui non era un genio a fare qualcosa e questa cosa è fondamentale perché ogni volta che si fanno questi film, si tende a mostrare gli autistici come necessariamente dei geni in qualcosa. Una pellicola che mi ha ispirato molto, invece, è Margarita with a straw, del 2014 in cui questa attrice che non ha una disabilità, interpreta una ragazza, se ricordo bene, paraplegica, che vuole solo fare una vita normale, vuole solo andare alle feste, conoscere i ragazzi, lavorare ed è bellissimo. Questa cosa con le mie sceneggiatrici ce l’avevamo chiara e cioè il fatto che lui non fosse un genio a cantare. Era fondamentale, perché altrimenti avremmo nuovamente messo pressione su un autistico che è banalmente normale, non ha particolari doti e magari c’ha un sogno. All’interno della società e della sua famiglia non riesce a scrollarsi la sua etichetta e quindi magari neanche ci prova quando invece ci potrebbe provare perché è bravino, non un genio però manco proprio uno che non può far niente. Margherita e Damiano Tercon parlano, appunto, di una storia di “autismo normale”

Questo era un film che poteva essere molto facile sbagliare perché si rischiava di fare la lezioncina, la retorica e invece questo rischio l’ha scongiurato. Come ci è riuscita e cosa si è detta di non fare assolutamente, proprio per non cadere in queste trappole?
Per questo devo dare tantissimo merito alle due ragazze che hanno scritto il film con me: Sofia Assirelli e Tieta Madia. Siamo tre persone estremamente diverse ma abbiamo tutte in comune la stessa mancanza di retorica. Siamo molto schiette e dunque, ogni volta che, scrivendo, sembrava che il film andasse da quella parte, tagliavamo istintivamente. Io mi sono fatta guidare tantissimo da quello che io voglio vedere al cinema ed anche da ciò che secondo me è umano, sincero e privo di paraculaggine nella maniera più assoluta. È per quello che ho pure paura per il film perché non ammicca e la sua sincerità è la mia sincerità, il che lo espone moltissimo. In più, oltre a questo, c’era la storia vera, già priva di retorica dei fratelli Tercon, come raccontata nel loro libro. Non solo Mia sorella mi rompe le balle è senza retorica ma è anche spietato in alcuni passaggi, anche violenti. In alcuni momenti è divertentissimo, in altri ironico e autoironico, una grandissima presa in giro continua e quindi quello ovviamente m’ha aiutato tantissimo perché partivo da un materiale che già di per sé era privo di moralismo, molto asciutto.
Poi abbiamo fatto tantissima ricerca per stare molto attente sull’autismo, abbiamo fatto leggere la sceneggiatura a varie persone, tra psicologi, psichiatri, centri. Addirittura mi dissero che non avrei mai trovato l’attore autistico di quarant’anni che cercavo. Io cercavo un attore, non necessariamente autistico ma per me doveva essere necessariamente un attore perché non avrei fatto un film con una persona solo perché era autistica, senza esperienza nella recitazione, mi sarei schiantata. Quando ho visto Yuri Tuci a teatro, mi sono detta che poteva essere il mio protagonista visto che si caricava già sulle spalle un monologo stupendo da solo sul palco. Infatti, lui sul set non ha avuto mezzo problema e abbiamo avuto una coach che mi ha aiutato tantissimo, Barbara Chiesa, una grande attrice.

Come sta affrontando questo debutto alla regia?
Come quando guardi un figlio che muove i primi passi e ce la deve fare un po’ da solo nel mondo. Un po’ mi spaventa perché gli voglio molto bene, ho paura che si faccia male e poi perché non ho fatto un film per me stessa ma per il pubblico, con l’idea di emozionare le persone, di arrivare proprio al cuore della gente e quindi io ho bisogno che il film lo vedano. Non è semplice tenere l’emozione sotto controllo e questa cosa la sento molto.

3 Aprile 2025

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