"Anema e Core" sul ring
Dario Morello, è sempre una questione personale: la boxe, la violenza, il bullismo, il trashtalking, Serena Brancale
Il personaggio più mediatico del pugilato professionista italiano. "Ho sempre visto la boxe come il mio ruolo nella vita, senza non avrei sventato uno stupro". Sabato 17 maggio l'incontro con Hermi a Milano
Sport - di Antonio Lamorte

Per Dario Morello è tutto o quasi una questione personale. Dice che ormai “tutti vogliono un pezzo di Spartan” perché in questi anni è il personaggio più mediatico del pugilato professionistico italiano, un movimento che sta crescendo gradualmente a piccoli passi. A TAF8, l’evento dell’organizzazione (The Art of Fighting) all’Allianz Cloud di Milano che sabato 15 marzo ha fatto registrare una serie di ko fulminanti e una manciata di polemiche frizzanti, c’erano oltre quattromila persone. Sold out. Anche un primo face-to-face croccante proprio tra Dario “Spartan” Morello e Yassin Hermi. Combatteranno sabato 17 maggio al Centro Pavesi di Milano, pesi medi per il titolo italiano dei pesi medi.
Alta tensione sul ring, parole pesanti tra i due, Hermi trattenuto da Giacobbe Fragomeni, Morello che rispondeva senza sbracciarsi troppo. Oltre a farlo, il pugilato, ne parla, si confronta, ci scherza sui suoi canali online. Con lui il trashtalking ha fatto un salto di qualità a livello mediatico in Italia. Lo fa a modo suo, dice. Non gli piacciono le americanate. Gli manca il colpo del ko – gli imputano – non ha le mani pesanti. E infatti in un record di 24 vittorie e una sola sconfitta da professionista, vanta appena 4 ko. È la tecnica, l’abilità difensiva di schivate e rientri la sua skill più evidente. Oltre a un preparazione atletica impeccabile negli ultimi incontri, finiti come li aveva iniziati.
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Si muove e lavora con un team che è anche la sua famiglia. Il padre Ercole Morello, i fratelli Lizzi – pugili professionisti anche loro, il padman ex campione di Muay Thai Giorgio “Giorgione” Schiavina. Calabrese trapiantato a Bergamo, Morello è venuto fuori negli ultimi anni come il personaggio più mediatico del pugilato professionistico che inevitabilmente finisce per polarizzare, piacere o non piacere, esaltare o dividere. È lui che in cortile a Polignano prende a pugni un sacco e che balla con Serena Brancale in una festa improvvisata nel video di Anema e Core. La cantante fresca di Sanremo e il pugile più esposto, esplosi entrambi nel giro di poco. Morello è nel momento migliore della sua carriera, i presupposti sono buoni. Poi, certo: “S’adda veré, s’adda veré”.
Cosa le diceva Hermi sul ring a TAF8?
Mi è sembrato di capire: ti sto aspettando da tempo. E che era pronto a combattere anche in quel momento. E io gli ho spiegato che meno la gente quando mi pagano per farlo, non quando rischio di dover risarcire i danni. Relax. Arriverà il suo momento, non credo che ne sarà felice.
Perché ha detto che “questa volta è più personale delle altre”?
Non mi ha mai fatto impazzire come persona, non è un modello che mi piace. È grossolano in tutto, non c’è particolare stima nei suoi confronti da parte mia.
Anche lui vuole un pezzo di “Spartan”.
Molti dicono che in questo match ho solo da perdere. E un po’ è la verità: lui viene da una sconfitta, ha perso con Chiancone, con cui io ho palleggiato. È molto pericoloso, sicuramente, perché ha le mani pesanti, è giovane, arrembante, è molto spinto da un team che non è un team qualunque (Fragomeni, ndr). Ha relativamente poco da perdere, se perde con me è normale. Ha sicuramente più Piani B in caso di sconfitta. Io ho solo da perdere. Questo tipo di match non era nei miei radar ma ho parlato chiaro con Edoardo Germani (il patron di TAF, ndr): se mni proponi pugili che no ti chiedo io, o mi riempi di soldi o niente. Sono scesi alle mie condizioni quindi va bene così, mentre aspetto il francese (Diego Natchoo, campione europeo silver EBU dei pesi medi, ndr). Pretendo molto da me, perché se perdi con Hermi non puoi pretendere di fare grandi cose.
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Si aspettava di ricevere tutto questo riscontro a livello mediatico?
Non mi sorprende più di tanto, bastava puntare un attimo i riflettori per venire fuori. Io sono sempre stato questo, è il mio modo di fare, si fa notare. Piaccia o non piaccia ma quantomeno non passa inosservato. O mi ami o mi odi.
È necessario il trash talking per staccare biglietti?
Detesto tutto quello che è eccessivo. A me piace quello che faccio io, che fa ridere. Non: ti ammazzo, ti faccio saltare la testa. Se sei un ignorante che non mette due parole in croce il massimo che puoi dire è quello. Ma è una skill che devi avere, se mancano quelle basi fai la figura del cafone.
Come ha cominciato con la boxe?
Mio padre è stato il mio primo allenatore, è stato un pugile dilettante, faceva lo sparring partner. La palestra l’aveva aperta mio zio, a Fuscaldo Marina, in provincia di Cosenza. Io mi sono appassionato, avevo quattro cinque anni, mi piaceva. Mio padre ha visto che non volevo mai uscire dalla palestra e un po’ per gioco, un po’ perché è una cosa che ci unisce, abbiamo cominciato questo percorso insieme.
Ha mai percepito paura da parte di suo padre?
All’inizio era scettico, da bambino non ero un duro, non ero cazzimmoso. Non sembravo proprio nato per fare pugilato. Ovviamente si caga addosso a ogni combattimento, ho percepito questa paura da parte di mio padre soltanto da quando combatto da professionista, da dilettante mai.
Anche lei ha detto di soffrire quando combattono i Lizzi, suoi cugini. Perché, come se lo spiega?
Io sono sicuro di me, so che me la cavo. Sono forti anche loro ma non so nella loro testa cosa passa in quel momento. E sono persone con cui sono cresciuto, sono fratelli non sono cugini.
Cosa le ha dato il pugilato?
Mi ha dato una personalità, l’ho sempre visto come il mio ruolo nella vita. Sono Dario il pugile da prima di combattere. Io ero un bonaccione da bambino, ebbi quasi un esaurimento nervoso, avevo mal di testa fortissimi e sono stato ricoverato quasi un mese e non si capiva che cazzo era. Era una risposta negativa del mio fisico all’ambiente. A un certo punto realizzai che facevo a pugni in palestra, non dovevo avere paura. Il prossimo che minaccia abbusca. E da lì ho cominciato a fare il bullo dei miei bulli e il bullo dei bulli degli altri.
Una specie supereroe.
Praticamente sì, poi ovviamente sono cresciuto. Facevo a cazzotti per sport e non ho più avuto paura di un’interrogazione, non ho mai avuto timore di chiedere a una ragazza di uscire. Quando combatti tutti i giorni le priorità della vita si redistribuiscono, percepisci i pericoli e capisci la sofferenza, ci convivi, se lo fai a livello consapevole hai la possibilità di diventare una persona migliore.
Cos’è per lei la violenza?
È una componente della vita. In Occidente ripudiamo in ogni sua accezione la violenza ma credo che sia parte della vita. Dal momento del parto, che infatti le nostre madri spesso rimuovono, dimenticano. Chi dice che il pugilato non è uno sport violento dice una stronzata, alimenta una retorica pericolosa. Non è uno sport per tutti. Può essere per tutti da un punto di vista del fitness, l’allenamento, ma quando cominciamo a parlare di sparring diventa una cosa seria. Soprattutto nel pugilato professionistico ogni anno dei pugili ci lasciano le penne, i controlli non sono dappertutto uguali certo, ma non è per tutti uno sport in cui si può morire. E se non avessi fatto pugilato non avrei mai potuto sventare uno stupro.
Com’è successo?
Ero all’università a Cosenza, studiavo Giurisprudenza. Era un pomeriggio di inverno, quando fa buio presto. Tornavo da una lezione e sentii questi lamenti, difesi la ragazza e non credo che lui abbia mai più provato a stuprare nessuno. L’ho ammaccato malamente, un po’ di ospedale credo se lo sia fatto. Fu bruttissimo ma noi passiamo la vita a ripudiare la forza perché è sinonimo di violenza ma dalla forza credo derivino responsabilità civili. Se non avessi avuto un grammo di muscoli e nessuna capacità di difesa, avrei fatto come quelli che prendono il telefono per fare un video o chiamare la polizia che arriverà quando arriverà. E invece mi sono assunto un rischio, perché non sono Superman, però era giusto agire.
Non è paradossale che il pugilato abbia perso audience mentre lo abbia guadagnato l’MMA in cui la violenza è ancora più esibita?
La boxe è uno sport più duro. Quando fai MMA prendi un pugno con quei guantini, vai giù ed è finito il match, mentre nella boxe il guantone assorbe e quindi i traumi sono ripetuti. E gran parte dei colpi sono destinati alla testa. Si combatte su distanze più lunghe. L’MMA può essere più cruenta a livello visivo ma i rischi nel pugilato sono più elevati.

Come mai il pugile professionista più mediatico di oggi non ha avuto una carriera da dilettante ai livelli più alti?
Mi sono mancate le Olimpiadi. Da dilettante ero un po’ Balotelli. E detestavo le ingiustizie, all’epoca la Federazione era simile ai baronati delle università. Per anni mi hanno chiamato perché, purtroppo per loro, vincevo. Anche se dimostravo, dovevo continuare a dimostrare. L’ultimo torneo da dilettante l’ho fatto nel 2015, me ne hanno fatte di ogni, ho avuto una grossa lite nello staff, dovettero intervenire i miei compagni di squadra per dividerci. L’anno dopo c’erano le Olimpiadi a Rio, non posso dire che ci sarei andato e che avrei vinto, ma è un mio rimpianto non averci potuto provare.
Le imputano di non avere le mani pesanti, il pugno del ko. Le dispiace?
Sicuramente avrei ancora più possibilità di risolvere i combattimenti, ma tra far male e prendere un bordello di cazzotti e fare meno male ma finire i match con la stessa faccia di prima, preferisco la seconda.
Che obiettivo si pone?
Credo di essere nella fase migliore della mia carriera. Parlo con consapevolezza, non ho più vent’anni, non posso dire: vincerò il campionato mondiale. Oggi ci sono dei nomi a livello mondiale vicino ai quali non mi vedo. Se ci dovessi combattere cercherei il modo di limitare i danni il più possibile, proverei a vincere sfruttando alcune défaillance, ma da qui a dire che sono sicuro o sono in grado di vincerlo ce ne passa. Credo di essere un ottimo pugile la dimensione europea e mi do come obiettivo il titolo europeo il prima possibile. Pretendo da me delle prove che possano avvalorare le mie ambizioni: se non batto come dovrei battere Hermi dovrò rivedere la mia visione.
Il pugilato professionista italiano, anche se a piccoli passi, è cresciuto negli ultimi anni. Quel è il ruolo di Dario Morello? Si sente più amato o più odiato nell’ambiente?
Penso di essere molto molto amato anche se gli hater fanno più rumore. Con Mattia Faraoni, che è un amico, ne abbiamo parlato: guarda il numero dei like e guarda quello dei commenti negativi. Una persona intelligente mette like o va avanti se non gli piace. Un coglione commenta. Voglio continuare a riempire i palazzetti, a far incuriosire la gente. A costruire qualcosa di concreto.
Perché scegli sempre canzoni di salsa nella ring entrance?
Mi piace tanto e mi piace ballare. Sempre nella palestra di mio zio, c’era una ragazzina bellissima. Mi chiese di ballare: avrei risposto di sì anche si mi avesse chiesto di saltare nel fuoco. Risposi di sì senza esitazione. Cominciai con lei a ballare i caraibici e mi è servito nella vita, forse più del pugilato (ride, ndr).
Siete diventati una coppia anche mediatica con Serena Brancale. Come vi siete conosciuti?
Un’amica mi ha fatto sentire una sua canzone, eravamo in macchina. Like a melody. Mi sono appassionato, era proprio forte. Poi sono andato su Instagram e ho visto che oltre che brava era pure figa. Abbiamo iniziato a scriverci e ci siamo conosciuti così. È una bella relazione, sana, va molto bene nonostante gli impegni di entrambi, che sono molti. Suo nonno era appassionatissimo di pugilato ma lei non se l’è mai cagato più di tanto prima di incontrare me. A lei con Sanremo è successo quello che era successo un po’ a me con TAF, si sono accesi i riflettori su qualcosa che già funzionava e si stanno accorgendo tutti di quello che è sempre stata. Sono molto molto orgoglioso di lei. Quando ha esordito a Sanremo stavo proprio male, tensione a “livello Lizzi” proprio.
Le ha trasmesso qualcosa a livello professionale?
È una grandissima lavoratrice, io soprattutto lontano dai match tendo più a mollare la corda. Mi sprona tantissimo. A stare con persone positive, e parlo anche di amici o colleghi, assorbi il loro atteggiamento.