L'editoriale

Achille Occhetto e l’ombra remota di Vladimir Lenin

Quel berretto in testa a Occhetto rimbalza in rete insieme al suo saluto, Uno scatto, un gesto, una posa di gentilezza istantanea. Per fortuna c’è l’ironia della Storia, anche fotografica

Politica - di Fulvio Abbate

18 Marzo 2025 alle 14:00

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Achille Occhetto e l’ombra remota di Vladimir Lenin

Achille Occhetto è tra le persone in possesso di intelligenza politica che più stimo. Un uomo colto, sì, un intellettuale dotato di spessore autentico, problematico. Un signore che ha letto, avrebbe detto Tomasi di Lampedusa conversando con il cugino poeta Lucio Piccolo, “tout les livres”, non soltanto i “Grundrisse” di Karl Marx“I quaderni del carcere” di Gramsci,le relazioni d’ogni trascorso Comitato centrale. Occhetto è anche un uomo dotato di rara ironia, e, si sappia, uno straordinario, credibile imitatore, infine spettatore cinematografico attento. Sia detto da chi, a suo tempo, giorni della “svolta della Bolognina”, riteneva, diciamo, impropria la fine del Pci, aderendo addirittura all’appello identitario “Perché siamo comunisti”. Eravamo nel 1989, un’era geopolitica da allora appare trascorsa.

Achille immaginava che dal processo costituente del nuovo soggetto plurale potesse emergere una forza “di sinistra” pienamente moderna, laica, non più dogmatica, di governo, magari anche antagonistica: rileggendo oggi la discussione, i contributi, le ansie, i patemi, le candide illusioni di quei giorni si comprende che molti intenti nutriti da una fiducia quasi illuministica, o forse velleitari, soprattutto se intravisti nella prospettiva delle umane ambizioni, sono rimaste parole al vento; l’ircocervo mutante successivo che ne sarebbe venuto – Pds, Ds, Pd – un’altra storia ancora. Achille Occhetto nei giorni scorsi ha partecipato alla manifestazione europeista di piazza del Popolo a Roma, lo ha fatto, immaginiamo, generosamente, convintamente. Un punto luce in un contesto che, almeno ai miei occhi è apparso, almeno nella diretta in rete, più che una manifestazione per l’Europa e la pace una festa di figli e figlie dei ceti medi riflessivi che hanno fatto l’Erasmus e citano gli unicorni non avendo, diversamente da lui, mai sfiorato, che so, Elio Vittorini.

Immagino che Achille provi simpatia e stima per Elly Schlein. Dimenticavo di dire che conosco Occhetto dai suoi giorni palermitani. Era, pensandoci bene, il 1970, sugli adesivi elettorali del Pci, disegnati da Gal, c’era scritto: “La Nato non è un fiore” accanto ai socialdemocratici mostrati caricaturalmente come agenti della Cia. Lo ricordo perfino a sistemare le seggiole alla Festa meridionale de l’Unità, sempre Palermo, Villa Giulia, 1971: il comizio di Ingrao, lo stand dei “compagni” spagnoli con una gigantografia di Dolores Ibárruri,la Pasionaria”, lo spettacolo di Alighiero Noschesesenza censura”, un’era trascorsa ancora. Senza complessità non si dà politica. Così penso. Ma forse questo mio discorso è viziato da un approccio letterario, proprio di uno scrittore, riferibile al peso della memoria, anzi, dall’idea secondo cui “veniamo da lontano e andiamo lontano”, adagio ottimistico attribuito a Togliatti e alla sua “via italiana al socialismo”, Berlinguer parlerà invece di “introdurre elementi di socialismo” nella vita politica nazionale.

Queste parole di riflessione mito-storica, va detto, sono state infatti suggerite da una foto che mostra proprio Occhetto presente l’altro giorno in piazza del Popolo apparsa in rete: Achille, berretto sul capo, sorride e saluta sollevando il palmo della mano destra. Uno scatto, un gesto, una posa di gentilezza istantanea che incredibilmente si sovrappone a una celebre foto conviviale di Lenin, fino quasi a combaciare iconicamente l’una sull’altra. Forse soltanto un maestro della semiologia, Roland Barthes, saprebbe cogliere il “punctum” di queste singole distinte figure accostate nella centrifuga del caso e perfino della storia, poco importa se piccola o instancabilmente mastodontica.

Osservandole insieme, assodato che la storia e lo scopo, ma che dico, lo spinterogeno, l’autoclave, la dinamo della sinistra, nel suo portato, nei suoi intenti, nel suo “manifesto” riguarda la possibilità, la scommessa, forse anche la volontà “militante” di “changer la vie”, ovvero cambiare la vita, assodata l’impossibile di fare i conti con il bene delle cose complesse in tempi di semplificazione, e Lenin comprensibilmente sempre più un’ombra remota, lo stesso Vladimir Ilic cui Rosa Luxemburg imputava che non si dà socialismo senza democrazia, non resta che ritrovare l’immagine finale di “Uccellacci e uccellini” di Pier Paolo Pasolini: Totò e Ninetto Davoli che si allontanano di spalle verso un punto di fuga “come in un film di Charlot” accompagnati da un cartello: “Dove va l’umanità? Boh!”. Cos’è esattamente l’Europa? Cos’è la pace? Achille, grazie di esserci sempre nell’ironia della storia, anche fotografica.

18 Marzo 2025

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