Economia, mutualità, solidarietà
Costruire un mondo migliore attraverso la cooperazione
Il 2025 è stato dichiarato dall’ONU anno internazionale delle cooperative
Editoriali - di Giuseppe De Lucia Lumeno

Nella bufera politica che ha investito il mondo, dianzi allo stravolgimento delle certezze che caratterizzavano le alleanze internazionali, politiche, commerciali e militari dopo la Seconda guerra mondiale, mentre assistiamo sbalorditi alla fine definitiva dei vecchi assetti, rischiamo di perdere l’importante occasione che ci viene dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite che ha dichiarato il 2025 Anno internazionale della cooperazione celebrato con il tema “Le cooperative costruiscono un mondo migliore”.
Un’occasione straordinaria perché l’impatto globale del modello cooperativo, proprio alla luce dell’attuale grande incertezza geopolitica, può rappresentare una soluzione cruciale per affrontare le diverse sfide, anche nell’ottica dell’attuazione degli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) entro il 2030. Del resto la necessità di cooperare è diventata un’urgenza avvertita a ogni livello. Da Papa Francesco che la invoca ripetutamente quale mezzo per riproporre la centralità della persona umana contro l’individualismo, al Presidente Mario Draghi che nel suo Rapporto sulla competitività dell’economia europea invoca un «maggiore coordinamento e cooperazione» fino a proporre anche l’idea di messa in comune del debito. Per il Governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta «L’economia sembra essersi globalizzata senza una “coscienza globale”. È necessario rilanciare l’integrazione economica e la cooperazione internazionale, correggendone i difetti con politiche che promuovano uno sviluppo sostenibile e inclusivo, capace di coniugare la crescita con il superamento della povertà, con la giustizia sociale, con la difesa dell’ambiente».
In una delle sue prime interviste da Presidente dell’ABI nel 2013, Antonio Patuelli, la cui solida formazione liberale è fuori discussione invocò la necessità della «responsabilità sociale per sviluppare un circuito virtuoso di solidità delle banche e di sensibilità sociali anche attraverso i milioni di azionisti delle banche italiane, nelle diverse forme societarie, in mutualità, cooperazione e che nelle Spa permettono impegni sociali diretti e indiretti tramite le fondazioni». È utile, allora, rivolgere lo sguardo ai due secoli passati durante i quali, sino a circa quarant’anni fa, il capitalismo aveva costruito i meccanismi della sua accumulazione contestualmente ad articolati e plurimi meccanismi di difesa e di tutela della società dal mercato. Quest’ultimo era stato così temperato, non limitato, ma dotato di una morale sociale e istituzionale di sostegno che aveva consentito la creazione di un’immensa rete di difesa e di elevazione sociale delle classi medie che dovevano trovare sostegno per la loro attività, per sé stessi e per le loro famiglie.
Per lungo tempo l’interpretazione storiografica ed economica prevalente è stata quella che identificava nello Stato lo strumento per realizzare tale contestualità tra la crescita economica e la difesa sociale, ma che, allo stesso tempo, creava quell’immenso apparato burocratico con un costo non più sostenibile. Sotto la spinta della riflessione filosofica e morale questo modello interpretativo è stato molto temperato. Accanto allo Stato, al suo fianco, si è scoperto che ciò che ha assicurato la resistenza delle classi popolari è stata una fitta rete di associazioni mutualistiche sempre più diffuse soprattutto dopo la straordinaria innovazione della Rerum Novarum che ha aperto una nuova dimensione solidale. Quel legame sociale per sorreggere la povertà ed elevarla, trasformandola in emancipazione, attraverso il risparmio e la solidarietà tra pari dava vita al mutualismo, uno straordinario insieme di istituzioni basato sulla reciproca tutela e assistenza: società di mutuo soccorso, cooperative di lavoro, di consumo, di credito, banche popolari, istituti di associazionismo non profit.
La mutualità che si realizza attraverso la cooperazione è una forma storica di solidarietà, uno strumento di risposta ai bisogni sociali. Nata nella seconda metà dell’800 per contribuire al miglioramento della vita e delle condizioni dei cittadini, la cooperazione ha mantenuto l’impostazione solidaristica originaria. Oggi conferma la validità della propria proposta svolgendo un ruolo integrativo e sussidiario nella riorganizzazione del welfare della società globalizzata, operando in tutto il mondo e plasmandosi sulle specificità culturali delle società locali per la promozione, lo sviluppo e la difesa del movimento solidaristico di lotta contro la povertà e la marginalità economica e morale. Ecco perché la cooperazione ha un futuro. Se non lo avesse dovremmo rassegnarci alla vittoria del nichilismo o dell’assistenzialismo. Mentre oggi abbiamo quanto mai bisogno della soggettività della persona come mai prima. Negli ultimi decenni l’economia è stata infatti soverchiata dalla finanza stockopzionista che si è sostituita alla politica provando a distruggere gli assets dell’economia reale. Così la società è sempre più fragile e il mercato si trasforma in luogo di scontro e non di incontro. Vien meno l’imperativo di una economia giusta che non può che essere fondata sul pieno impiego e su un ritorno a una gestione partecipativa.
La risposta di un’alternativa morale, di un’economia polifonica esiste. La forma solidale cooperativa diviene, in questa lotta per un’economia morale, l’alternativa fondamentale: un’impresa nella quale il fondamento dell’agire economico è il soddisfacimento dei bisogni della persona. Alla sua base è la comune volontà dei suoi membri di tutelare i propri interessi di consumatori, lavoratori, risparmiatori, secondo i principi della libertà e del mutuo aiuto. Quella cooperativa può oggi essere considerata la forma più evoluta di capitalismo democratico, nella quale il socio conta per il valore delle proprie idee e proposte e non per il “peso” economico della sua partecipazione al capitale. Un paradigma che, se applicato su scala, contribuirebbe in maniera decisiva alla fuoriuscita dalla crisi. Il movimento cooperativo continua a perseguire i valori sociali che gli sono propri, come democraticità e solidarietà, lotta contro la disuguaglianza e l’ingiustizia sociale.
In tutto il mondo grandi organizzazioni mutualistiche in ogni settore, accanto a un microcosmo fatto di piccolissime imprese, il cui solo scopo è quello di operare con i soci, fornendo loro lavoro, beni e servizi, rendono manifesta la resilienza del corpo sociale, della soggettività creatrice dinanzi alla macchina impersonale e distruttrice dei mercati non sorretti da principi morali e quindi da essi regolati. Il movimento cooperativo, per esempio, invece di licenziare e delocalizzare come hanno fatto moltissimi imprenditori capitalistici negli ultimi anni, reinveste gli utili all’interno della stessa cooperativa, producendo valore e occupazione perché questa forma di associazionismo economico non ha come fine ultimo il profitto, ma la solidarietà. Non molti anni fa, oltre 500 docenti delle Università italiane in un loro Manifesto su “La Cooperazione, un patrimonio del Paese da tutelare e valorizzare” evidenziarono che le cooperative sono un patrimonio, un motore di sviluppo economico e di crescita sociale, contribuiscono alla nascita dell’imprenditoria soprattutto giovanile e alla valorizzazione delle qualità imprenditive e innovative delle persone. Continua, continuerà, lo “scandalo evangelico” dell’economia fondata sulla cooperazione. Non si perda, in questo 2025, l’occasione per capirlo e valorizzarlo.
*Segretario Generale Associazione Nazionale fra le Banche Popolari