Dopo il pugno la carezza
Meloni ammicca all’ANM: dopo lo scontro aperto, il governo si addolcisce e fa la corte ai magistrati
Il nuovo presidente togato Parodi chiede dialogo sulla separazione delle carriere, e FdI tende la mano: “Parliamone”. Ma FI e Lega salgono sulle barricate
Politica - di David Romoli

Il presidente della commissione Affari costituzionali Balboni, che non è uno qualsiasi non solo per il peso della commissione che guida ma anche perché in FdI è uno di quelli che la premier considera di piena fiducia, ci prova a raccogliere la fune lanciata dal nuovo presidente dell’Anm, Cesare Parodi: “Non c’è nulla che non possa essere modificato. Certo che si possono apportare cambiamenti alla riforma della giustizia”. Non significa ritiro della riforma: questo non sarebbe accettabile per nessuno a questo punto, neppure per la premier che non stravede per la separazione delle carriere ma ormai ha messo la sua firma e la sua impronta sulla proposta. Significa però che FdI sarebbe pronta a trattare su modifiche studiate apposta per addolcire, forse anche di molto, la pillola che per i togati è ora veleno puro.
Forza Italia subodora la fregatura e insorge. Apre le danze il viceministro della Giustizia Sisto: “Un ramo del parlamento ha già votato il testo così com’è. Non modificarlo è una precisa scelta dell’aula”. Spiacente, nulla da fare. Chiude il capitolo, o almeno ci prova, il portavoce del partito Nevi: “La riforma deve andare avanti così com’è stata approvata”. Forse la premier avrebbe la forza di imporre almeno alcune modifiche agli azzurri, che però su questo fronte si ritrovano in piena assonanza con la Lega. Ma per tentare una forzatura del genere, dato e non concesso che ne abbia voglia, Giorgia dovrebbe disporre di una sponda molto ma molto disponibile fra le toghe.
Il nuovo segretario dell’Anm Cesare Parodi lo sarebbe, anche perché è fortemente connotato a destra il che un po’ pesa anche se essenzialmente è di potere, corporativo, non politico. Le prime parole pronunciate dopo l’elezione, nel discorso nel quale ha chiesto di incontrare il governo auspicando il disgelo, hanno tanto irritato i colleghi che si è dovuto scusare pubblicamente: “Forse sono partito male. Non mi ero consultato con i colleghi. Me ne scuso”. Una parte dei togati, quella che guarda al sodo e alla limitazione del danno punta comunque su un possibile accordo e tra questi c’è persino il duro Gratteri: “Sarebbe nell’interesse del Paese: il dialogo conviene a tutti”. Però nessuno dei togati, o almeno molto pochi, sono disposti ad accettare una separazione delle carriere neppure modificate. Per l’esecutivo la linea del Piave è concordare con Anm e Parlamento i decreti attuativi della riforma, non certo rimangiarsela.
La porta sarebbe dunque comunque strettissima. Lo è ancora di più perché il contesto certo non favorisce le colombe. Il governo spedirà una lettera alla Corte dell’Aja nel tentativo di abbassare la tensione proponendo “consultazioni per una riflessione comune sulle criticità rivelate dal caso Almasri”. Però è difficile che basti a ricucire lo strappo della mancata firma italiana alla dichiarazione congiunta di 79 Paesi Onu contro le sanzioni ai danni della Corte decise da Trump. L’Anm, poi, ha sostanzialmente preso le distanze dal procuratore di Roma Lo Voi, tanto che nessuno ha firmato la pratica a tutela proposta dal magistrato indipendente Andrea Mirenda, pur essendo in questo casi quasi ordinaria amministrazione. Non vuol dire però che l’esposto dei servizi contro lo stesso Lo Voi sia gradito e neppure che la premier resterebbe imperturbata se l’indagine su di lei, Nordio, Piantedosi e Manotovano avviata da Lo Voi fosse trasformata dal Tribunale dei Ministri in richiesta di autorizzazione a procedere. Per quanto la magistratura non faccia apertamente muro intorno al procuratore di Roma, lo scontro non può che riflettersi sui rapporti complessivi tra destra e potere togato.
Ma c’è di più. Evidentemente con l’intento di soffocare sul nascere ogni scintilla di dialogo il capo dei senatori azzurri Gasparri ieri è andato letteralmente all’arrembaggio: “Non ci fermeremo mai. Non c’è solo la riforma. Aspettiamo norme sulla prescrizione e sulle intercettazioni”. Non dovrà aspettare molto. Il ddl Zanettin, già approvato al Senato, infligge un colpo micidiale alle intercettazioni, limitando la possibilità di farvi ricorso per 45 giorni. La legge arriverà questa settimana in commissione a Montecitorio e per la magistratura si tratta di un provvedimento del tutto inaccettabile. In queste condizioni i conati di dialogo non si possono comunque già dare per spacciati. Ma certo già in culla sono più che gracilini.