Cavazzona di Castelfranco Emilia

Uccise a fucilate moglie e figliastra, Salvatore Montefusco condannato a 30 anni: “No ergastolo, umanamente comprensibile”

Gabriela Trandafir aveva 47 anni, la figlia Renata 22. La Procura aveva chiesto l'ergastolo. "Black-out emozionale" e "abnorme e tuttavia causale reazione dell'imputato". Le motivazioni della sentenza che fa discutere

Cronaca - di Redazione Web

13 Gennaio 2025 alle 16:20

Condividi l'articolo

FOTO DA FACEBOOK
FOTO DA FACEBOOK

Sta facendo molto discutere la sentenza della Corte di Assise di Modena che parla di “comprensibilità umana dei motivi che hanno spinto l’autore a commettere il fatto reato”. Il fatto reato: omicidio, a fucilate, di moglie e figliastra il 13 giugno 2020. Gabriela Trandafir aveva 47 anni, la figlia Renata 22. Niente ergastolo per l’uomo, come aveva chiesto la Procura di Modena, condannato a 30 anni per il duplice omicidio di Cavazzona di Castelfranco Emilia. Immediata la reazione dei familiari delle vittime così come osservazioni sono arrivate anche dal mondo politico.

I giudici hanno riconosciuto le attenuanti generiche – la confessione, la sostanziale incensuratezza, il corretto contegno processuale e la “situazione che si era creata nell’ambiente familiare e che lo ha indotto a compiere il tragico gesto” – rispetto alle aggravanti riconosciute: rapporto di coniugio e aver commesso il fatto davanti al figlio minore della coppia. Esclusi premeditazione, motivi abietti e futili, crudeltà. “Arrivato incensurato a 70 anni, non avrebbe mai perpetrato delitti di così rilevante gravità se non spinto dalle nefaste dinamiche familiari che si erano col tempo innescate”, si legge nella sentenza visionata e citata dall’agenzia ANSA.

Le motivazioni della sentenza del duplice omicidio di Cavazzona di Castelfranco Emilia

Secondo le 200 pagine di motivazioni, il delitto è scaturito da un contesto di forte ostilità tra l’uomo e le due donne. Erano state presentate delle denunce reciproche. Per i giudici il movente “non può essere ricondotto e ridotto a un mero contenuto economico” sulla casa dove vivevano ma è da ricondurre “alla condizione psicologica di profondo disagio, umiliazione e enorme frustrazione vissuta dall’imputato, a cagione del clima di altissima conflittualità che si era venuto a creare nell’ambito del menage coniugale e della concreta evenienza che lui stesso dovesse abbandonare l’abitazione familiare”.

Secondo i giudici è “plausibile” che quando la donna disse al marito di dover abbandonare la casa si sarebbe innescato “nel suo animo, come dallo stesso più volte sottolineato, quel black-out emozionale ed esistenziale che lo avrebbe condotto a correre a prendere l’arma” a pochi metri di distanza e uccidere le due che “mai e poi mai”, secondo quanto affermato dai testimoni sentiti in aula, aveva minacciato di morte prima di quel giorno. Per la Corte, nel giudicare l’equivalenza tra attenuanti e aggravanti, non si può non tenere conto “di tutta quella serie di condotte unilaterali e reciproche che, susseguitesi nel tempo e cumulativamente considerate” se pure non hanno integrato l’attenuante della provocazione “hanno senz’altro determinato l’abnorme e tuttavia causale reazione dell’imputato”.

La reazione della famiglia delle vittime

Immediata la reazione dei familiari delle vittime. “L’ergastolo è per noi”, il commento della sorella di Gabriela Trandafir, citata da Lapresse. L’ANSA invece cita l’avvocata Barbara Iannuccelli, secondo la quale la vittima 22enne voleva fare l’avvocato “per acquisire gli strumenti con cui difendersi dalle quotidiane violenze a cui lei e sua madre erano sottoposte. Oggi le è stata risparmiata l’esperienza di comprendere il perché uno spietato assassino di due donne inermi possa essere destinatario di tanta benevolenza. Circostanze attenuanti generiche che spazzano via qualunque circostanza aggravante per… umana comprensione. Navighiamo tutti in un mare di forte incredulità”.

13 Gennaio 2025

Condividi l'articolo