Il già presidente dello IAI
“Trump può davvero scatenare l’inferno in Medio Oriente, Europa a pezzi senza una leadership franco-tedesca”, parla Silvestri
«Delle affermazioni alla conferenza stampa di Mar-a-Lago è quella più preoccupante perché la più facile da attuare. Speriamo che il sistema America regga anche a quest’ultimo ciclone Trump»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Scatenare l’inferno a Gaza e in Medio Oriente. Usare le maniere forti con Panama e la Groenlandia. Fare del Canada il 51° stato USA. Esigere dagli alleati europei di alzare al 5% le spese per la difesa. Trump 2.0. L’Unità ne discute con uno dei più autorevoli analisti italiani di politica estera e geopolitica: Stefano Silvestri, già presidente dello IAI (Istituto Affari Internazionali) e oggi consigliere scientifico. Il professor Silvestri è stato anche docente sui problemi di sicurezza dell’area mediterranea presso il Bologna Center della Johns Hopkins University e ha lavorato presso l’International Institute.
Professor Silvestri, nella conferenza stampa di Mar-a-Lago, il presidente eletto, e dal 20 gennaio insediato, degli Stati Uniti ha detto molte cose. Quali quelle che l’hanno colpita di più?
Quella che mi ha preoccupato di più, perché potrebbe essere l’apertura di un nuovo fronte conflittuale molto serio, è quando Trump ha minacciato tuoni e fulmini, un inferno, sul Medio Oriente. Mi preoccupa anche perché è quello che può più facilmente applicare. Nel senso che Trump, da presidente della più grande potenza mondiale, può effettivamente scatenare un inferno sul Medio Oriente, in particolare sull’Iran, che è poi quello auspicato dal suo amico e alleato israeliano, Benjamin Netanyahu. Salvo poi non avere la possibilità di riportare il Medio Oriente a un equilibrio accettabile, lasciandoci tutti a dover gestire dei cocci mostruosi.
Questo è quello che mi ha più preoccupato…
E il resto?
Diciamo che le preoccupazioni di Trump variano molto. Ci sono quelle più motivate da ragioni di politica interna, come il respingere le limitazioni di Biden all’estrazione di gas e di petrolio, che è un interesse politico molto sentito da Trump e dalle munifiche corporation che l’hanno sostenuto. Poi ci sono cose più ideologiche, da “Far West”, come mostrare i muscoli a Panama o alla Groenlandia, estendendo la logica della frontiera anche al Canada, che Trump descrive, anche nella bandiera a stelle e strisce postata sui social, come il 51° stato americano. Detto per inciso, il Canada è una federazione di stati, come gli Stati Uniti, e non potrebbe essere uno stato americano. Forse il presidente entrante difetta di conoscenze storiche e costituzionali, diciamo che non ha fatto mente locale. Che cosa voglia davvero, è tutto da decifrare, si possono avanzare delle ipotesi…
Quali, professor Silvestri?
Sicuramente Trump è convinto di tutto quello che dice. Però non sai se stiamo assistendo alla chiacchierata liberatoria, ideologica, del vincitore, che si pavoneggia, oppure è l’annuncio anticipato di un programma di governo che caratterizzerà i quattro anni del secondo mandato presidenziale del tycoon. Se siamo alla poesia o alla prosa. In un certo senso, Trump ha parlato così ancora da semi privato cittadino. Questo permetterebbe ai governi che hanno rapporti con gli Stati Uniti e che sono stati insultati o trattati a pesci in faccia, di ignorare questa politica americana e di trattarla come l’opinione di una persona, rimandando il tutto al momento in cui, e non manca molto, quella persona diventa a tutti gli effetti il presidente degli Stati Uniti, e come tale misurabile dagli atti e non più solo e tanto dalle esternazioni o dai tweet. Se doveva sfogarsi, è meglio che l’abbia fatto adesso. Perché poi l’abbia fatto, non so se sia l’annuncio di ciò che vuole effettivamente fare o se sia una sorta di atteggiamento da “suk”: io ti dico che voglio acquistare un tappeto, tu mi dici che vuoi mille euro, e in realtà quello che speri è che alla fine del negoziato te ne dia cento. Se è una tattica negoziale, la ratio è: la sparo grossa e poi vediamo.
Dentro questo “suk” global c’è la partita europea. Su questo Trump ha messo paletti e avanzato richieste molto chiare e impegnative, a cominciare dalle spese per la difesa.
Indubbiamente ha sparato alto. Se il suo obiettivo fosse davvero il 5% più le responsabilità dell’Europa nei confronti della Russia, ivi inclusa l’Ucraina, tutto questo gli Stati Uniti lo vogliono subito, non tra dieci-quindici anni. Credo che questo sia effettivamente un grosso problema per l’Europa e potrebbe risultare, alla prova dei fatti, anche molto divisivo. Potrebbero esserci vari tipi di reazioni a una cosa di questo genere…
Ad esempio?
Uno potrebbe essere mi adeguo per il possibile, la “linea all’italiana”: dico di sì su tutto e poi non allargo i cordoni della borsa per quello che mi viene richiesto, sull’innalzamento delle spese per la difesa e non solo. Però politicamente ti appoggio. Ma questa è una cosa che non possono fare tutti gli europei. L’altra possibilità è di dire, allora se perdiamo l’alleanza con l’America, dobbiamo metterci d’accordo con la Russia e con la Cina. Una linea alla Orban, che sarebbe, a mio avviso, ancor più divisiva per l’Europa. Della terza ipotesi, ne vedo dei segni politici soprattutto nel nord Europa e in alcuni paesi dell’ex Europa dell’est. Quella di dire, in estrema sintesi, se dobbiamo cominciare a pensare cose tipo spesa per la difesa al 5%, allora dobbiamo pensare in maniera diversa. Un pensiero tutt’altro che pacifista o disarmista….
Quale sarebbe questo “brutto pensiero”?
Pensare, ad esempio, ad una deterrenza nucleare europea. Il ragionamento che la sottende è un po’ questo: giunti a questo punto, non abbiamo molte alternative, perché anche aumentando le spese per la difesa, comunque non saremmo in grado di contrastare la capacità nucleare russa senza la garanzia assoluta americana e della Nato, che poi sono la stessa cosa. A quel punto siamo costretti a fare le cose in maniera diversa. Questo significherebbe la fine del sistema dell’ordine internazionale in maniera molto esplicita. Una capacità nucleare seria, beh, significherebbe una nuova potenza nucleare e questo cambierebbe tutto. Non so quanto in favore di Trump, ma un multilateralismo equilibratore fondato su allargamento del “club nucleare” non mi pare francamente un orizzonte tranquillizzante.
Un’altra area esplosiva, e molto cruciale per l’Italia, è quella del Mediterraneo. Su questo che scenario è possibile adombrare?
La situazione nel Mediterraneo e in Africa dipende molto, in realtà, da come si risolve quella in Medio Oriente e da come la Russia uscirà da due crisi che la investono direttamente…
Quali?
Per restare in Medio Oriente, da come la Russia uscirà dalla crisi in Siria. Su questo versante, mi par di capire che per il momento si trova a far fronte a una situazione di stallo, nel senso che sembra che il nuovo governo siriano voglia mantenere, almeno per adesso, le basi russe. Non mi pare che abbia interesse ad aprire un contenzioso con Mosca. Per il momento, lì la Russia può stare relativamente tranquilla. Il problema più grosso resta quello dell’Ucraina. Come Mosca esce fuori dal pantano ucraino. Per allargare il giro di orizzonte geopolitico, ad oggi la Russia fa molta politica in Africa, per cui è evidente che a seconda di come si risolverà il rapporto con l’Ucraina, questo potrebbe rafforzare o indebolire la sua presenza in Africa. Il futuro del Mediterraneo dipende dal futuro dei rapporti con la Russia e, in parte, con la Cina. Naturalmente la prima cosa è vedere quali saranno i nuovi equilibri che si determineranno in Medio Oriente che avranno una influenza immediata su altri conflitti, in special modo in Nord Africa.
Per tornare a Mar-a-Lago. Comunque si voglia leggere la vulcanica conferenza stampa di Trump, resta il fatto che l’Europa o si rafforza o rischia di essere ancor più un soggetto vassallo.
Prima che soggetto vassallo, l’Europa rischia di andare in pezzi. Con i ventisette membri dell’Unione che vanno, da soli o in piccoli gruppi, in direzioni diverse se non opposte. In una situazione che è già politicamente difficile, questo indebolirebbe ancor di più la posizione europea e anche la capacità di gestire quello che compete nell’immediato all’Unione Europea, come, ad esempio, i rapporti commerciali. D’altro canto, non è che scopriamo oggi il problema. Già Trump aveva avuto un effetto divisivo sull’Europa durante il suo primo mandato presidenziale, in parte compensato, all’epoca, da una leadership abbastanza forte tedesca e in parte francese. Stavolta non vedo una leadership europea, a trazione franco-tedesca, molto forte.
Professor Silvestri, Trump, la sua ideologia, la sua concezione di “America first”, colgono gli umori e le aspettative di una parte, elettoralmente maggioritaria, della società americana. Ma il “trumpismo” non sta intaccando i pilastri di quella democrazia liberale, da sempre vanto dell’Occidente e in esso dell’America?
Trump non è certamente sulla linea liberaldemocratica alla Biden. Nella storia, abbiamo avuto gli Stati Uniti che hanno spesso oscillato tra destra e sinistra, per metterla genericamente. Non è una novità. Il sistema americano fino ad oggi ha retto, con il bilanciamento dei poteri e salvaguardando le garanzie costituzionali. In questo modo, quello americano è riuscito ad essere se non un modello, un punto di riferimento per il sistema liberaldemocratico, sia se i suoi presidenti fossero di destra o di sinistra. Mi auguro che il sistema americano regga anche a questo ultimo “ciclone Trump” malgrado tutte le modifiche e gli scossoni sociali, culturali, tecnologici, di sistemi di comunicazione con cui l’America ha a che fare.