La sentenza di Palermo

Cosa cambia per Salvini dopo l’assoluzione: il processo flop allunga la vita del leader leghista

La vittoria in aula fa sfumare il sogno del Capitano di diventare un patriota perseguitato, ma lo rafforza sul fronte interno. Ora per i leghisti tradizionali che rivogliono al centro il Settentrione sarà più dura farlo fuori e potrà gridare ai quattro venti che è nel giusto

Politica - di David Romoli

21 Dicembre 2024 alle 09:00

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AP Photo/Salvatore Cavalli – Associated Press/LaPresse
AP Photo/Salvatore Cavalli – Associated Press/LaPresse

Vittoria piena e chissà che, in segretissimo, Salvini non sperasse in un esito diverso. Almeno in questo primo grado di giudizio. Il martirio gli dava una mano, la condanna lo avrebbe reso eroe a tempo pieno per la destra di tutta Europa e anche Oltreoceano. Ma si può accontentare.

La sua politica esce pienamente legittimata dalla sentenza di Palermo e la richiesta comunque esorbitante di condanna a sei anni si ritorce contro i pm che la avevano chiesta, aiuterà il capo leghista a denunciare la persecuzione. Per l’opposizione, o almeno per la triade Pd-M5s-Avs è un colpo duro, avendo sposato senza alcun margine di distinzione la tesi dell’accusa. Le dimissioni, che sarebbero state ovviamente chieste non sarebbero altrettanto ovviamente mai arrivate. Ma sul capo del vicepremier avrebbe pesato come una mannaia la minaccia della condanna definitiva con tutto quel che ne sarebbe conseguito.

La rosa ha qualche spina. L’assoluzione assolve anche il dissenso leghista, in particolare quello strisciante del Nord che chiede al capo di tornare a fare del Settentrione il cuore della politica leghista, dall’obbligo di fare muro intorno al martire. Anche Forza Italia, costretta a propria volta a blindare un leader che andava difeso da ogni attacco, può tornare a muoversi con maggiore agio. Ma nel complesso Matteo Salvini esce rafforzato da una sentenza che gli consentirà di rivendicare tutto quanto fatto in passato aggiungendo come ulteriore carico lo “sbugiardamento” dell’accusa, dunque non solo dei Pm ma anche delle parti civili e soprattutto dell’opposizione.

L’assoluzione è la ciliegina sulla torta. Il processo in sé, a prescindere dalla sentenza, è stato per Salvini una boccata d’ossigeno provvidenziale su diversi fronti, a partire proprio da quello per cui era alla sbarra: le politiche dell’immigrazione o più precisamente la guerra santa contro l’immigrazione. Anche se ufficialmente l’intesa tra la premier e il suo vice leghista è in materia completa la realtà è che invece Giorgia Meloni ha rovesciato come un guanto la strategia di Salvini, pur mantenendo fissi i medesimi obiettivi. Il leghista, leader da comizio per il quale la propaganda fa sempre premio per tutto, puntava e fosse per lui ancora punterebbe su una blindatura a muso duro, molto spettacolare, strillata a pieni polmoni. Nella sua impostazione, poi, il muro contro gli immigrati e la contestazione radicale dell’Unione europea, pur non essendo la stessa cosa, sono almeno strettamente intrecciati.

Meloni ha scommesso su un metodo opposto: piena intesa con l’Europa, politiche dure ma non troppo vistose e fragorose. Proposte forse non realizzabili e abbastanza fumose come il Piano Mattei. Esternalizzazione dei centri di rimpatrio che sarebbe anche un modo per tenere il problema lontano dagli occhi dei cittadini e degli elettori. Non a caso Marine Le Pen, che invece adotterebbe un modello molto più simile a quello del leader leghista boccia senza appello il protocollo tra Italia e Albania. Ma il processo contro Salvini da un lato, il braccio di ferro con la magistratura sul centro albanese dall’altro hanno reso quasi impercettibile la differenza riportando Salvini, almeno sul piano mediatico, al centro di una campagna che nei fatti gli era completamente sfuggita di mano.

In Europa il caso Open Arms finito in tribunale è stato per il leader leghista una mano santa. Con i consensi in fase emorragica e l’alleata rivale lanciatissima il capo della Lega stava scivolando in postazione subalterna anche all’interno dei Patrioti, messo in ombra da figure oggi di molto maggior spicco e peso come Victor Orbàn e Marine Le Pen. Il rischio di una condanna oggettivamente fuori misura, e la conseguente aureola del perseguitato, gli hanno restituito una centralità siglata dal peana di Orbàn, (“Un eroe… il Più grande patriota d’Europa”) e dalla solidarietà della destra continentale di questi giorni. Se come capopartito l’ex ministro degli Interni ha oggi molto meno peso di pochi anni fa come simbolo della battaglia principale per la destra ovunque lo recupera almeno in parte. E non solo da questa parte dell’Atlantico.

21 Dicembre 2024

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