Il nuovo libro di Pietro Perone
La Napoli di Pino Daniele secondo Pietro Perone, viaggio alla riscoperta di un cantautore di protesta
Nelle pagine del giornalista de “Il Mattino” il racconto di una città in cerca di riscatto e di un artista che ne ha vissuto sulla pelle le mille contraddizioni. Non un biopic, ma la riscoperta di un cantautore di protesta
Cultura - di Graziella Balestrieri
“Pino Daniele, Napoli e l’anima della musica, dal mascalzone latino a Giogiò”, è il titolo del nuovo libro del giornalista del Mattino e scrittore Pietro Perone pubblicato da San Paolo Edizioni. Non solo un libro, intessuto di ricordi, testimonianze e aneddoti, ma anche una realtà, quella di Napoli, della Napoli di Pino Daniele, fatta di amore, rabbia e delusione. E speranza, perché la parola speranza, accanto a Napoli, non manca mai.
Un racconto dettagliato e minuzioso, quello sapientemente costruito dal caporedattore centrale del Mattino, che non lascia scampo. E che racconta concretamente il dolore e la lacerazione di una città, di cui tutti parlano ma che in fondo nessuno conosce davvero. L’autore vena le sue pagine della stessa tenera e struggente malinconia che corre per i vicoli di Napoli, di quella speciale verità che appartiene all’anima di una popolo e di una terra che ha dato carne e sangue ai più grandi tra attori e musicisti (e su questo non ci sono proprio dubbi) e che ha fatto dei suoi figli a volte degli eroi e a volte dei traditori.
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Nelle pagine di Pietro Parone, Napoli come sempre ti accoglie nel suo abbraccio stretto e forte, un abbraccio da cui a volte devi proteggerti perché a volte rischia di soffocarti. Un viaggio nel passato di un’artista che ha incarnato appieno i mille colori della città, ma anche un cammino a ritroso che cerca le tracce che ci hanno condotto a questo presente nel tentativo di giungere a un futuro diverso, attraverso le parole e le canzoni di Pino Daniele. Una stretta di mano, non a Napoli, ma su una spiaggia di Sabaudia: è così che inizia questo viaggio con Pino Daniele. Da lontano, non molto ma pur sempre fisicamente lontano da quella città, dalla terra che Pino sentiva tanto, tantissimo, fino a desiderare il ritorno, quando i figli sarebbero stati ormai grandi e sistemati e lui sarebbe potuto tornare al suo quartiere, al suo mare, a quel silenzio e a quelle urla a cui non ci si abitua mai, tranne che tu sia nato sul posto.
Quello di Pietro Perone è un viaggio dentro una Napoli che prima era un sogno disperato di cambiamento, e oggi è una Napoli dove il cambiamento sembra esserci stato ma la disperazione continua a esserci ancora. È la disperazione di chi ha visto il giovane talento della musica Giovanbattista Cutolo, detto Giogiò, perdere la vita nei vicoli di Napoli, ucciso da una pistola. È la disperazione della differenza, di chi sceglie di camminare per Napoli con una chitarra in mano e chi invece cammina per Napoli con un’arma in tasca. Napoli e i napoletani, dove la musica non è musica, la musica è andare avanti, combattere, campare. Quando si canta a Napoli si lotta. E non è più solo una dimensione di ballo, di festa, si tratta di una dimensione autenticamente politica, che è stata anche, e soprattutto, la dimensione del giovane Pino Daniele. Dell’uso della lingua napoletana come segno di appartenenza, come segno di lotta, come strumento di connotazione politica, Pino Daniele ha fatto la sua arma. E così ha continuato a fare dopo essersene andato.
Pino non ha mai avuto bisogno di restare a Napoli per schierarsi con Napoli, persino quando le muoveva critiche. Ed è qui che giungiamo al cuore del libro che racconta il nostro bluesman per eccellenza. Il blues sarà anche nato in America ma alla Napoli di Pino Daniele spetta lo scettro e la medaglia sul campo. Pino Daniele e la città di Napoli, Pino Daniele e la politica. Nelle pagine di Perone sfilano i politici che l’hanno portata in alto e quelli che l’hanno abbandonata fino a farla strisciare nella vergogna. I giovani che marciavano con don Riboldi per sfidare la camorra e i preti di periferia lasciati da soli a combattere contro gli assassini. E allora di questo viaggio è importante portarsi dietro i nomi, i fatti, i luoghi. Il primo sindaco comunista Valenzi, che donò a Pino la possibilità di sentirsi amato nella sua terra, una folla immensa e grata ad uno dei figli più veri e puri nella sua arte e nel suo pensiero, radunata in quella Piazza Plebiscito che non aveva aria ma solo cielo e musica, in quel lontano 1981.
Era quella la stessa Napoli dell’amore nei confronti di Pino, la Napoli che voleva lottare e cambiare, che era stanca di camorre e guerre, di fame e povertà e di pregiudizi stampati come i cartelloni pubblicitari. E c’è poi spazio per Bassolino, a Pino sempre caro, e il tempo politico di Rosa Russo Iervolino, che negò all’artista l’uso dell’allora San Paolo, e anche l’ippodromo di Agnano. Napoli, la Campania, a un certo punto hanno smesso di credere in lui. È il caso di quel progetto in cui Pino aveva creduto tanto, ci ricorda Perone, una scuola di musica a Castelvetere, poi naufragato per mancanza di fondi e ritardi burocratici. Naufragato, così è stato in molti momenti il sogno di Pino Daniele che aveva donato a Napoli una nave che non poteva affondare, che non doveva farlo, ma che aveva preso a bordo anche qualche sabotatore. Di questo Daniele se ne era accorto per tempo, ed era rimasta una delle più grandi amarezze che gli si erano annidate in petto. Sbaglierebbe di grosso chi immagina questo saggio come un biopic sospeso tra l’agiografia e l’entusiasmo di una fanzine.
Il pregio del libro è quello di non fare di Pino Daniele un idolo delle folle postumo, ma di restituirlo alla sua dimensione più autentica di cantautore di denuncia, di protesta, di lotta e lotta senza mezze misure. Non è la malinconia struggente di Napule È ciò di cui narra Pietro Perone, ma la denuncia, quella di un Pino Daniele diciottenne che vede una madre (Napoli) trattata come la peggiore schiava del reame, che invece di indossare abiti meravigliosi porta addosso solo stracci. Altri artisti e altre forme di racconto oggi raccontano di Napoli. Ma l’autore traccia tra questi e Pino Daniele un fondamentale spartiacque. Se i vari Mare Fuori, Gomorra o il Geolier di questi tempi non convincono l’autore perché “semplici narratori”, Pino Daniele non cantava solo per sé stesso, non raccontava solo il suo riscatto. Non è che ora che sei pulito (tu artista) anche tutte le strade di Napoli lo sono.
Per vivere a Napoli devi avere un cuore forte, di sentimento si intende: ogni cosa ti spezza dentro, ogni ingiustizia, ogni panno lasciato ad asciugare o ad aspettare chissà quale luce. Per gli altri quella luce sembra destinata a non arrivare mai, per il napoletano, la luce invece prima o poi arriverà, ed è quella speranza di credere in qualcosa o in qualcuno che li rende così rumorosi, così che nessuno si dimentichi di loro. Eppure, in alcuni casi i colpi di pistola sono arrivati prima di ogni speranza, si sono sentiti prima delle voci che urlano per sperare, prima i colpi di pistola si sono sentiti degli sciami di motorini carichi di ragazzini, che fra gli stretti e i bassi cercano di farsi spazio, non solo per le strade ma anche in una vita che gli appare per come non dovrebbe mai apparire a un bambino. Se non hai un cuore forte Napoli ti fa male.
È una città che non ha mezze misure: o vivi o muori, o stai in silenzio o urli. Non capisci, non lo sai, pensi di saperlo, attraverso pregiudizi e maldicenze, ma Napoli non è fatta per le maldicenze, Napoli non è una città che teme niente, i napoletani vivono con il fuoco sotto ai piedi, e gli altri non sanno cosa significa. Aveva il fuoco sotto ai piedi anche Pino, testardo fino alla fine, senza paura, con il cuore già spezzato, ma tenendo strette le mani di chi gli era accanto, insieme alle loro storie. ”O sap tutto o munn ma nun sape a verità”. E allora la verità ce la racconta Amanda Bonini, l’ultima compagna di Pino, lanciata con lui in un disperato viaggio in macchina verso l’ospedale.
”Pino era perfettamente cosciente e continuava a chiedere di salire in auto per raggiungere l’ospedale Sant’Eugenio di Roma. Era convinto che soltanto l’équipe del suo cardiologo avrebbe potuto salvarlo. Lui, e nessun altro, diceva, conosce le condizioni del mio cuore, sa come intervenire», racconta Amanda, rivelando che «qualche volta nei mesi precedenti siamo partiti da Magliano diretti all’ospedale solo per calcolare il tempo di percorrenza e avevamo nel Suv due navigatori nel caso malauguratamente uno non funzionasse. Durante il drammatico viaggio, in cui ho guidato a velocità elevatissima, Pino è rimasto vigile, mi ha tenuto la mano per tutto il tempo, fino a quell’ultima doppia stretta, l’estremo saluto, il suo ciao». L’estremo saluto a un amore estremo, quello di Pino Daniele, rabbioso e struggente per la sua città.