Un paese depresso
Rapporto Censis, fotografia di un Paese fermo e rassegnato: la “nazione” di Meloni rassegnata al declino
Spaventato dal futuro, dai migranti, dalla crisi economica, dalle guerre. E soprattutto immobile e impoverito. Il Paese rassegnato al declino
Politica - di David Romoli
Com’è l’Italia? Stando ai nudi dati del rapporto Censis 2024 è un Paese fermo, impaurito e rassegnato. Non è un Paese per giovani ma neppure per vecchi. Non è un Paese per nessuno. Non dovrebbe essere un Paese per migranti, dal momento che il 57,4% del campione sente come una minaccia chi ha regole e abitudini diverse, il 21,8% ce l’ha con chi professa religioni diverse da quella cattolica, il 29,3% intende come nemico chiunque abbia una visione della famiglia diversa da quella egemone in questo momento da noi e per concludere il 38,3% della popolazione vede come nemico interno chi vorrebbe facilitare l’ingresso degli immigrati invece di erigere muri.
Nulla di sorprendente. La paura, per lo più irrazionale, dell’immigrazione campeggia in tutto l’Occidente, da una sponda dell’Atlantico all’altra. Il dato bizzarro è che allo stesso tempo l’Italia è il Paese Ue con il tasso di integrazione più alto, con il maggior numero di cittadinanze ottenute sia nell’ultimo anno che nell’ultimo decennio. La contraddizione è più apparente che reale ma per accorgersene bisogna mettere in relazione il dato sulla fobia per gli immigrati con le altre rilevazioni del rapporto. Più che sugli immigrati l’enfasi dovrebbe infatti cadere sulla paura. I cittadini del Belpaese infatti non hanno paura solo degli stranieri ma di tutto. Il 49,6% della popolazione teme i cambiamenti climatici e si aspetta di conseguenza eventi catastrofici. Il 46% vede con terrore le guerre al confine. Una percentuale appena minore, il 45,6% è spaventata anche dall’incombere di crisi economiche. Insomma tra catastrofi, conflitti armati, crisi devastanti e immigrazione l’italiano medio vive il presente e ancor più il futuro come una minaccia.
C’è però una percentuale ancora più alta di quelle che registrano i vari timori o terrori, tanto alta da essere non solo maggioritaria ma quasi unanime: l’85,5% del campione ritiene che l’ascesa sociale sia ormai più o meno impossibile. Non è che l’ascensore sociale si sia solo fermato: per la stragrande maggioranza degli italiani proprio non esiste più. I dati spiegano, e purtroppo suffragano, questa mesta opinione comune. Tra il 1963 e il 1983 il Pil era più che raddoppiato, segnalando un esplosivo +117,1%, nel ventennio successivo la crescita aveva subìto un drastico ridimensionamento ma era anche comprensibile dal momento che il dato 1963-83 registrava l’uscita della Penisola da una condizione di povertà, anzi miseria, diffusa. Dunque una crescita più che dimezzata tra l’83 e il 2003, +48,4% era ancora comprensibile pur se inquietante. L’ultimo ventennio, 2003-23 vede una crescita del 5,7%: cioè l’immobilità che è anche più marcata nel reddito delle famiglie, passato dal balzo del ventennio 1963-83 (+96,7%) alla stagnazione del 2003-23 (+3%).
Il dato è identico se si sposta il punto di vista non limitandosi ai quattrini e alla crescita. Il ventennio è record per denatalità e astensionismo elettorale ma anche per il crollo del sistema scolastico che il Censis, sbrigativo e caustico, definisce senza mezzi termini “la fabbrica degli ignoranti”. È scarso in italiano, al termine delle medie superiori, il 43,5% dei diplomandi. Figurarsi sulle altre materie. Immobili e impoveriti, gli italiani. Il reddito lordo pro-capite si è ridotto del 7% negli ultimi vent’anni. Il welfare langue ovunque e nel decennio 2013-23 il balzo da giaguaro della sanità privata è un dato più che eloquente: +23%. Vuol dire che solo nell’ultimo anno gli italiani hanno dato alla sanità privata 44 miliardi, spiccietto in più, spiccetto in meno. Non un crollo però. Per questo il rapporto parla di “continuità nella medietà”. Sostiene cioè che in detta medietà “restiamo invischiati senza capitomboli rovinosi nelle fasi recessive e senza scalate eroiche nelle fasi positive”. Il Censis parla di stagnazione ma forse sarebbe più preciso alludere a sabbie mobili nelle quali si sprofonda lentamente.
Che in una situazione simile si avverta una certa tensione e diciamo pure rabbia è comprensibile. Rabbia e disagio che restano passivi: “La sequela di disincanto, frustrazione, senso di impotenza, risentimento, sete di giustizia, brama di riscatto, smania di vendetta ai danni di un presunto colpevole” non induce, o ancora non ha indotto, comportamenti particolarmente violenti. Lo stato della criminalità, peraltro, se paragonato con gli altri Paesi avanzati dell’Occidente è contenuto. Che questa rassegnata e terrorizzata sindrome da impotenza individui nel diverso un pericolo e una minaccia è consueto. Ma la stessa stagnazione induce poi gli spauriti a rendersi conto che di quell’immigrazione che pure temono hanno bisogno. È un equilibrio fragile, a rischio di degenerare da un momento all’altro e gli stessi analisti che hanno redatto il rapporto lo dicono chiaramente: “Non siamo alla situazione delle banlieu francesi. Ma il pericolo di arrivarci c’è”.