Il confronto tra i due romanzi storici

Levi, De Céspedes e la resistenza tradita: storie di rivolta e disincanto

Due romanzi storici e di denuncia pubblicati a un anno di distanza, scritti in forma di memoriale, ambientati a Roma durante e dopo la Liberazione. Due sguardi diversi sul tradimento degli ideali. Due autori lontani, ma con qualcosa in comune

Cultura - di Filippo La Porta

4 Dicembre 2024 alle 18:30

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Levi, De Céspedes e la resistenza tradita: storie di rivolta e disincanto

L’Orologio di Carlo Levi è il più importante romanzo politico del secondo dopoguerra, romanzo struggente sul tradimento della Resistenza scritto da azionista, cospiratore e partigiano (pubblicato nel 1949). Ad esso si è dedicato un convegno a cura della Fondazione Carlo Levi il 28 e 29 novembre a Villa Altieri. A proposito di questo libro atipico, un po’ romanzo e un po’ memoir, suggerisco un accostamento azzardato, e forse l’azzardo non sarebbe spiaciuto al suo autore, al suo indubbio radicalismo etico-intellettuale.

Vorrei metterlo a confronto con Dalla parte di lei di Alba De Céspedes, uscito l’anno seguente, nel 1950, e apparentemente distantissimo. Due romanzi storici e al tempo stesso di denuncia pubblicati a un anno di distanza, scritti in forma di memoriale, ambientati a Roma durante e dopo la Liberazione, nei quali il tradimento degli ideali della Resistenza viene affrontato da angolazioni diverse: il fallimento sul piano delle istituzioni, della cosa pubblica, della gestione della politica, e il fallimento sul piano esistenziale e sul piano delle relazioni personali. Per ribaltare la chiave di lettura più ovvia suggerisco dunque una lettura “politica” del romanzo apparentemente intimistico di De Céspedes, e una lettura invece tutta risolta su un piano coscienziale del romanzo di Levi. Nel primo l’eroe partigiano Francesco, tutto preso dalla politica e dalla propria carriera (la terza e decisiva parte del libro) tradisce un patto tacito d’amore con la protagonista e io narrante, cui riserva un’attenzione distratta, nel secondo il fallimento del governo Parri, durato tre mesi, è il tradimento di una comunità fraterna, di un universo di amicizie. I due libri formano un dittico del disincanto.

Certo, autori distanti per storia e formazione, eppure qualcosa ce l’hanno in comune: l’impegno antifascista e l’esperienza del carcere (entrambi furono arrestati nello stesso anno, il 1935: De Céspedes solo per alcuni giorni, Levi come sappiamo a più riprese e mandato al confino per dieci mesi), la direzione di una rivista nel dopoguerra (De Céspedes “Mercurio” , dal 1944 al 1948, Levi “Italia libera” da settembre 1945 e per pochi mesi), e l’orientamento politico, cioè il Partito d’Azione. Quando compone Dalla parte di lei De Céspedes viene dal successo dei romanzi rosa degli anni ‘30. Dalla parte di lei scritto dalla protagonista Alessandra (accusata di uxoricidio) in una cella come memoria difensiva all’imminente processo, si divide in tre parti distinte. La terza, e decisiva, è il racconto della guerra e della Resistenza a Roma, sino alla reclusione della protagonista: l’iscrizione alla facoltà di Lettere, il lavoro, l’amore per Francesco (docente universitario, poi impegnato nella Resistenza), il matrimonio, l’impegno politico, sino all’omicidio del marito e alla scrittura della sua memoria (dall’ottobre 1941, data dell’incontro con Francesco, al giugno 1944, a ridosso della Liberazione di Roma). Infine: la scelta del silenzio davanti alla Corte il suo stupore e avvilimento davanti alle testimonianze tutte contrarie delle donne al processo.

Il romanzo colpì subito per la sua inusitata radicalità. Le recensioni critiche, perlopiù di maschi, stroncarono il romanzo o comunque ne stigmatizzarono gli eccessi. La recensione dell’autorevole Emilio Cecchi sull’ Europeo, sempre ottobre del 1949, si sofferma sullo scandalo dell’uxoricidio, sul “delirio” che spinge Alessandra a uccidere il marito mentre dorme con una pistolettata. Le rimprovera la frettolosità della scena finale al processo, suggerendo una ipotesi improbabile e davvero più rivelatrice di sé che dell’autrice, secondo lui alla fine avvertita “d’essersi lasciata trascinare troppo in là con quella revolverata: di averla fatta un po’ grossa”. E ancora: “Francesco, per conto suo è ineccepibile, anzi eroico; ma ha il torto d’occuparsi più delle circolari del partito d’azione che di comprare ogni tanto un mazzolino alla moglie…”.

Ecco, qui si capisce la totale refrattarietà di un critico più grande alla problematica del romanzo: no, Cecchi non era in grado di capirlo. Il marito è un intellettuale di ottime letture (insegna diritto), e inoltre un eroe della Resistenza probabile candidato a un ruolo istituzionale di rilievo (sottosegretario). Perché Alessandra lo uccide allora? Non per qualche gesto brutale, di prevaricazione, o per un comportamento scorretto, ma semplicemente per la sua indifferenza, per il suo non-amore. Che enormità, vero? Che esagerazione? Però in questa evidente esagerazione troviamo una radicalità di sguardo troppo avanti per quei tempi.

Nell’Orologio Levi racconta in una prosa nitida, insieme riflessiva e lirica, il fallimento del progetto azionista e la fine del governo Parri da quello De Gasperi e liquidato dalle correnti allora prevalenti nella assemblea della consulta (democristiana e comunista). Buona parte del libro è occupata dagli scambi intellettuali e dalle passeggiate romane di alcuni personaggi che furono protagonisti di quella stagione politica, e delle sue disillusioni: Foa, Rossi-Doria, Valiani, Spinelli, lo stesso Levi. È un romanzo-saggio on the road. Al centro del libro la celebre distinzione tra “contadini” e “luigini”: i primi sono “quelli che fanno le cose, che le creano e le amano, che se ne contentano”, i secondi sono la “ameboide piccola borghesia”…”con tutti i suoi moralismi e immoralismi…sono quelli che dipendono e che comandano”.

Carlo Levi viene a Roma, come rappresentante di quel Vento del Nord della Resistenza mesi) dello spirito ciellenista, che però nella città eterna trovava un clima avverso. Lo storico Claudio Pavone ebbe modo di osservare che la DC governò gli italiani non tanto e solo perché i cattolici avevano partecipato alla Resistenza ma per il realismo con cui accettava gli italiani come sono, ormai stanchi morire per un ideale o per un mito politico. Per Pavone si contrapponeva la esperienza di democrazia diretta che era stata fatta a Nord nei 20 mesi di lotta partigiana ai miasmi di Roma, città infetta, abitata da una umanità disperata e solo alla ricerca della sopravvivenza, e governata “dall’oscura trama del compromesso”.

Insomma da una parte la democrazia fondata sul conflitto, la rottura del principio autoritario “ciascuno al suo posto”, e dall’altra la democrazia fondata sulla pratica del compromesso permanente. Insomma l’Orologio e Dalla parte di lei sono storie anche storie di una rivolta: nell’un caso rivolta di genere, nell’altro la rivolta dal basso della Resistenza antifascista. Se proviamo a sovrapporre i due testi concludiamo che Francesco, il professore antifascista e marito integro, eroe politico e abile amministratore di se stesso, è al fondo un tipico “luigino”: evidentemente gli piace comandare e obbedire, e rinuncia volentieri all’amore di Alessandra per inseguire successo e carriera.

4 Dicembre 2024

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