Aveva 104 anni

Chi è Iole Mancini, addio alla partigiana che sconfisse Priebke

Aveva 24 anni e faceva la staffetta per i Gap. Suo marito, Ernesto Borghesi, era un partigiano spericolato e lei sapeva dove si nascondeva. Ma non lo disse allo sbirro tedesco che la torturava

Editoriali - di Piero Sansonetti

4 Dicembre 2024 alle 08:00 - Ultimo agg. 4 Dicembre 2024 alle 10:02

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Photo credits: Andrea Calandra/Imagoeconomica
Photo credits: Andrea Calandra/Imagoeconomica

Iole Mancini aveva 104 anni. Era del 1920. Aveva appena qualche mese più di Marisa Rodano, morta giusto un anno fa. Iole e Marisa sono state due partigiane romane. Iole è morta l’altra sera nella sua casa della Balduina. A qualche centinaio di metri, credo, dall’appartamento nel quale ha vissuto gli ultimi anni della sua vita l’ex ufficiale tedesco Erich Priebke.

Non c’era grande differenza d’età tra Iole e il tedesco. Nella primavera del 1944 Iole aveva 24 anni e Priebke aveva da poco superato i 30. Si trovarono per molte ore faccia a faccia. Lei da interrogata, lui da interrogante e inquisitore. Meglio: lei da torturata, Priebke da torturatore. Erano in una stanzetta di via Tasso, l’ufficio di Priebke, che credo all’epoca fosse capitano. Priebke era il vice di Herbert Kappler, il capo delle SS a Roma, quello che poche settimane prima aveva ordinato la strage delle Fosse Ardeatine. Priebke aveva partecipato a quella strage. Lui, tanti anni dopo, disse: “Non potevo disobbedire a un ordine. Uccisi personalmente solo due persone”. Via Tasso era il luogo dove i partigiani romani, dopo essere stati catturati, venivano imprigionati e spesso torturati. Era praticamente impossibile fuggire. Ci riuscì solo Franco Calamandrei (comunista, figlio di Piero) che era molto magro e riuscì a passare dalla minuscola finestrella del bagno.

Priebke voleva sapere da Iole dove si nascondesse suo marito, Ernesto Borghesi, che era stato arrestato per avere cercato di uccidere Vittorio Mussolini, il figlio maggiore del duce. Ma poco dopo l’arresto, mentre era a Regina Coeli, Borghesi (che era anche uno degli autori dell’attentato a via Rasella, ma i tedeschi non lo sapevano) era riuscito ad evadere. Priebke lo voleva. E ragionevolmente lo voleva torturare. Perciò fece arrestare Iole, che era la sua fidanzata, ed era anche lei partigiana ma i nazisti non l’avevano scoperta. La fece arrestare per scoprire dove si nascondesse Ernesto Borghesi. Ernesto si nascondeva a casa del padre di Iole, lei lo sapeva, ma non parlò, fu eroica. Eroica davvero, eh, nel senso letterale della parola.

La portarono in prigione. Restò un paio di mesi. Poi la mattina del 4 giugno la caricarono su un camion, insieme a tanti altri prigionieri politici. C’era anche Carlo Salinari, partigiano e letterato, futuro preside della facoltà di Lettere della Sapienza. Tanti anni fa Salinari mi raccontò quel viaggio in camion verso il Nord, sulla via Cassia. I tedeschi erano in fuga da Roma perché da Sud stava arrivando l’armata americana guidata dal generale Clark, che aveva anticipato gli inglesi di Alexander. I nazisti trascinarono con loro un gruppo di prigionieri su due camion. Sul primo viaggiava ammanettato il capo dei sindacati, Bruno Buozzi, socialista. Sul secondo c’erano, tra gli altri Iole Mancini e Salinari, comunista. Davanti e dietro i camion le autoblindo e le Jeep. Giunti a La Storta, appena pochi chilometri dal centro di Roma, i tedeschi furono avvertiti che gli americani erano a Ponte Milvio. I due camion coi prigionieri si fermarono. Salinari mi raccontò di aver sentito il rumore dei prigionieri che venivano fatti scendere dal primo camion. Rimbombavano gli ordini in tedesco e le imprecazioni in Italiano. Poi si sentirono le raffiche, le grida, e poi il silenzio. Salinari sapeva che ora toccava a lui morire. E anche a Iole. Però passavano i secondi e poi i minuti. Ancora solo silenzio. A un certo punto i prigionieri si resero conto che il camion era circondato da cittadini della via Cassia in festa. I tedeschi avevano avuto paura di non farcela a scappare e avevano abbandonato il secondo camion. La data di morte di Iole era stata fissata al 4 giugno del 44. E invece no. Ottenne una proroga di 80 anni!.

Priebke non lo ha più visto. La sorte ha voluto che all’ufficiale tedesco riuscì di fare proprio quello che era riuscito a Ernesto Borghesi e a Franco Calamandrei: evadere. Priebke, nel 46, fuggì dal campo di concentramento di Rimini, dove era internato in attesa di processo, e con l’aiuto di alcuni preti riuscì prima a nascondersi a Vipiteno e poi a fuggire in Argentina. Fu scovato quasi per caso da alcuni giornalisti americani quasi mezzo secolo dopo. Nel 1994. Fu arrestato, estradato, processato, e poi prima assolto e poi condannato. Di prigione ne fece poca. Era molto vecchio, ottenne i domiciliari. Morì anche lui dopo i 100 anni. Nell’ultima intervista che ha rilasciato, Iole ha raccontato quegli anni, e poi questi anni. E con la sua voce tremante e leggera leggera, ha ripetuto cinque volte la parola libertà: “Libertà di pensiero, libertà di muoversi, libertà di agire, libertà di scegliere”. Ha detto che è la parola più importante del suo vocabolario e della sua vita. L’ha scandita: li-ber-tà.

Iole Mancini forse è l’ultima partigiana attiva che era ancora rimasta viva. La Resistenza non ha quasi più testimoni. E rischia, oggi, di diventare retorica. Mentre è stata un momento fondamentale nella storia del nostro paese. Non so quale contributo militare diede alla liberazione dell’Italia dai tedeschi nazisti. Anche se credo che un contributo non indifferente lo diede. Come riconobbe il comandante in capo di tutto l’esercito americano e futuro Presidente degli Stati Uniti Ike Eisenhower, incontrando il futuro segretario del Pci Luigi Longo. So per certo che diede un contributo morale gigantesco, e diede respiro a un paese che aveva perso la dignità, la guerra, la credibilità, l’entusiasmo. L’Italia, insieme alla Jugoslavia di Tito, è il paese dove la Resistenza è stata più forte. Sul piano della sua ampiezza e dei suoi legami col popolo e sul piano della sua forza militare. E questo ha reso più facile la ripresa.

La Resistenza è stata in grandissima parte sostenuta dalla forza dei comunisti – che erano anche militarmente preparati perché avevano combattuto nella guerra civile di Spagna – e dagli azionisti e dai socialisti. Ma dentro la resistenza c’erano anche i democristiani e i liberali e piccole porzioni dell’esercito. Ebbe meriti enormi e lasciò delle ombre. Come sempre, ogni guerra, lascia delle ombre. Perché la guerra è sempre l’espressione massima e atroce del potere, ed è molto difficile fare la guerra senza innamorarsi del potere. Anche le guerre giuste sono così. Quella partigiana è stata una guerra giusta? Se le guerre giuste esistono, certamente lo è stata, ma non è affatto detto che le guerre giuste esistano.

La Resistenza è stata l’espressione armata dell’antifascismo. Possiamo discutere sul valore dell’“armata”, e dissentire. Non sul valore dell’antifascismo. È un valore assoluto. Che mi pare, oggi, si stia un po’ perdendo. Mettere sullo stesso piano Giorgio Almirante e Iole Mancini è un sacrilegio. Vuol dire negare l’antifascismo. Che resta vivo. Deve restare vivo, perché è un grande fattore di civiltà. In che consiste? In quelle parole finali di Iole: “Libertà di pensiero, di azione, di movimento, di scelta”. E cioè consentire, non proibire. Liberare, non imprigionare. Pensare, non giudicare. Sono queste cose che contano. La retorica no. La retorica è solo tentativo di lucrare su qualcosa. La retorica è sempre opportunismo.

4 Dicembre 2024

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