La nuova rottura
La pace farlocca dura poco, a destra nuova lite sulla Rai
Tajani assicura: “la maggioranza lavora unita”. Ma la Lega deposita subito dopo una proposta di legge per alzare il tetto pubblicitario del servizio pubblico
Politica - di David Romoli
Meno se ne parla, meglio è. La consegna di palazzo Chigi è chiara, i litiganti Tajani e Salvini si uniformano, gli scontri di Torino danno una mano. Lo strappo della settimana scorsa non va solo superato: va dimenticato perché gli effetti di certi spiacevoli fattacci sull’elettorato non sono mai positivi. Salvini fa l’ecumenico già da giorni, anche perché in questo momento fare fronte comune con la premier gli conviene. Dopo mesi passati a tubare Meloni e Tajani hanno cominciato a guardarsi storto e a diffidare l’uno dell’altra e viceversa: dunque l’occasione c’è e per sfruttarla bisogna evitare polemiche.
Tajani stesso conferma, per l’ennesima volta, che non è successo assolutamente niente: “Se ne facciano una ragione a sinistra, non c’è nessun indebolimento della maggioranza. Arriveremo a fine legislatura”. Subito dopo però tiene botta e rilancia sul canone Rai: “Berlusconi era sempre contrario al taglio del canone e lo disse anche a Salvini”. Vagli a dar torto. Ci manca il tentativo di arruolare Berlusconi in una crociata anti Mediaset, con la scusa che anche il canone è una tassa e si sa cosa il Cavaliere pensasse delle tasse. Naturalmente Tajani ha ragione. A Berlusconi l’idea di tagliare il canone, come qualsiasi proposta suonasse come pericolosa per Mediaset non piaceva nemmeno un po’ e non può certo stupire. Solo che ora, alla faccia della pace e dei buoni sentimenti che a destra sembrano impazzare come in un santo Natale anticipato, spunta un nuovo emendamento della Lega che proprio gli interessi dell’azienda madre va a toccare. E stavolta l’ordine consequenziale è rovesciato: se l’emendamento affossato al Senato apriva le porte all’aumento del tetto pubblicitario Rai abbassando il canone, la proposta di legge presentata dal deputato del Carroccio Candiani propone di alzare il tetto per abbassare progressivamente il canone. Se fosse un emendamento a un qualche decreto il nuovo incidente sarebbe assicurato. Ma è una proposta di legge, dunque non sarà difficile congelarla a tempo indeterminato.
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Ci sarebbe un altro focolaio di tensione, in questo caso direttamente nel rapporto tra FdI e Fi e non passibile di congelamento. Ieri Raffaele Fitto ha salutato i colleghi. Da domenica sarà commissario e vicepresidente della Commissione europea. La sua poltrona è vacante. Nel colloquio sul Colle di due giorni fa tra Mattarella e Meloni il presidente avrebbe fatto capire che sarebbe opportuno riempire rapidamente la casella, mentre la premier pensava, e forse ancora progetta, di affrontare la possibile rogna solo in gennaio, dopo aver messo in cascina la legge di bilancio. Non è escluso dunque che la nomina arrivi prima del previsto, secondo alcune voci però non confermate addirittura oggi stesso. Tajani vuole quella postazione, anzi la vorrebbe per la sua Forza Italia. Candidata numero uno, Deborah Bergamini, in subordine Alessandro Cattaneo.
La premier non era intenzionata a mollare il ministero degli Affari europei prima dello sgarbo della settimana scorsa, figurarsi ora che è avvelenata per il voto di FI a braccetto con le opposizioni dopo che Tajani, nell’aperivertice di domenica scorsa, si era impegnato a non partecipare al voto ma evitando il voto contrario. Prima di scegliere il nome del ministro bisogna però decidere quali saranno le sue competenze. L’importanza di Fitto nel governo dipendeva dal gestire l’attuazione del Pnrr e la coesione, capitoli determinanti affidati al ministro da Giorgia in quanto fedelissimo.
Il settore che per il Colle non deve restare vacante è quello. Ma un’altra figura della quale Meloni si fida quanto si fidava di Fitto è difficile trovarla. O meglio c’è, anzi ce ne sono due, ma sono di stanza a Chigi come sottosegretari alla presidenza. I settori chiave saranno probabilmente affidati a loro, Pnrr a Fazzolari, coesione a Mantovano. Quanto al ministero propriamente detto, le ipotesi di Meloni, per ora sono Cirielli, che però ha già il compito di presidiare come viceministro gli Esteri, oppure Elisabetta Belloni, responsabile del Dis, cioè dei servizi segreti a Chigi oggi, funzionaria importante agli Esteri sino a un paio d’anni fa.
Tajani farà buon viso a cattivo gioco, date le circostanze. Però masticherà amaro, sia perché la conquista di un ministero in più serviva a dimostrare l’accresciuta importanza di Fi, “secondo partito della coalizione”, nella maggioranza sia perché l’eventuale entrata in squadra come ministro degli Affari europei di una figura rilevante come Cirielli o, peggio, Belloni, andrebbe a tutto detrimento del suo ruolo, già fortemente ridotto dal dinamismo di Giorgia in politica estera. Non la prenderà bene ma terrà a freno il rancore. Almeno per un po’.