Legge di bilancio a rilento
Canone Rai, si spacca la maggioranza: Forza Italia vota con l’opposizione, non passa il taglio
Scontro in commissione Bilancio: la Lega chiede la riconferma della tassa a 70 euro, ma FI si oppone e il voto sull’emendamento salta
Politica - di David Romoli
La manovra inciampa nel canone Rai e la maggioranza finisce a gambe all’aria nella commissione Bilancio della Camera quando si arriva al voto sull’art. 1 del decreto fiscale, accantonato nel pomeriggio di martedì per evitare il guaio che in quel momento sarebbe stato certo.
Dario Damiani, relatore e presidente della Bilancio, forzista, aveva garantito che per l’alba di ieri l’intesa ci sarebbe stata. Neanche a parlarne. I leader della maggioranza hanno cercato la quadra tutto il giorno: è finita muro contro muro. Fi chiede alla Lega di ritirare l’emendamento che conferma anche per l’anno prossimo la decurtazione del canone da 90 a 70 euro per poi riparlarne, eventualmente, nella legge di bilancio vera e propria, alla Camera. Il Carroccio ha subodorato la trappola, e non è che ci volesse molto. Niente da fare. La Lega contropropone riformulazione, tutta da definirsi, dell’emendamento incriminato ma qui è Fi a puntare i piedi. “Siamo irremovibili. La responsabilità non è nostra ma di chi porta temi divisivi”. Allusione non casuale. Damiani si riferiva al discorso della premier in apertura del vertice-apericena di domenica pomeriggio in casa sua, presenti i leader della maggioranza, incluso Lupi, e il ministro Giorgetti. Si possono prendere in considerazione solo gli emendamenti condivisi da tutti, aveva detto Giorgia. Quello sul canone non lo era ma la Lega ha finto di non accorgersene.
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Arrivati al voto questa mattina in commissione Bilancio, la maggioranza è finita KO. L’emendamento del Carroccio è stato appoggiato solamente da Fratelli d’Italia, con Forza Italia che ha votato contro assieme alle opposizioni: la conta in commissione finisce 12 a 10, ai dieci senatori delle opposizioni si aggiungono i due del partito di Tajani.
L’incidente è grave, soprattutto perché si tratta di pioggia abbondante sul già fradicio. Un’altra mazzata per la Lega ed è lecito iniziare a chiedersi sino a quando Salvini potrà incassare senza fare una piega come sta facendo ormai da un pezzo. L’emendamento dello scandalo non è di quelli particolarmente rilevanti. Costo 400 milioni e probabilmente passerebbe proprio perché poco esoso nel giudizio finale, delegato dalla premier a Giorgetti. Inoltre si tratta di una conferma, non di un taglio ex novo. L’irrigidimento di Fi che ha portato alla prima plateale spaccatura in aula della maggioranza è pertanto difficilmente spiegabile e certo non serve alla bisogna la giustificazione ufficiale offerta dagli azzurri, prima da Tajani in persona, poi dal capo dei senatori Gasparri: “Quei 400 milioni dovrebbero sborsarli comunque i cittadini per via fiscale. La misura è quindi inutile”.
Le spiegazioni reali sono altre e convergenti. In parte il taglio spiace a Mediaset, che resta l’azionista di maggioranza di Fi. Con 400 milioni in meno mamma Rai potrebbe essere tentata di colmare la perdita alzando il tetto della pubblicità e quello è un campo che solo a nominarlo fa innervosire la famiglia Berlusconi. Poi c’è l’irritazione del leader azzurro nella probabile, anzi quasi certa, ipotesi che il suo cavallo di battaglia, l’abbassamento del secondo scaglione Irpef dal 35 al 33%, venga respinto e quello della Lega fatto passare. Non che si tratti di un favoritismo. L’Irpef costa 2 miliardi e mezzo, non ci vuol molto a capire perché il rigido Giorgetti è ostile alla richiesta forzista e non a quella della Lega a prezzi di sconto.
Forse la spinta principale arriva però dal braccio di ferro tra i due partiti in corso ormai da mesi sulla nomina del presidente del cda Rai. Bloccata è la forzista Simona Agnes, presidente nominata ma in attesa del gradimento della commissione di Vigilanza. Ieri la votazione è andata a vuoto per la quinta volta, avendo la maggioranza disertato la riunione per evitare di votare e di bruciare la candidata. Ma gli azzurri sospettano, non a torto, il consigliere anziano Antonio Marano, che sino al voto della vigilanza fa le funzioni di presidente, di ostacolare e rallentare tutto, su mandato di Salvini per non mollare la poltrona e procedere anzi a un paio di nomine importanti a favore del Carroccio.
Sono tutte e ciascuna motivazioni credibili. Ma il problema è molto più grande. È che la maggioranza di oggi non è più quella che aveva vinto le elezioni due anni fa. Si sono ribaltati i rapporti di forza tra gli azzurri e i leghisti e l’equilibrio col quale maggioranza e governo erano partiti traballa. Fi si sente il vento in poppa, pretende un ruolo maggiore, sgomita per affermarsi definitivamente come vera “seconda gamba” della maggioranza per poi tentare di insidiare, partendo dalla posizione centrista e legata al Ppe, il primato della destra FdI. La Lega è precipitata in una crisi sempre più grave, è stata scalzata dal ruolo di seconda forza del centrodestra e ha dunque i nervi a fior di pelle. Nessuno, soprattutto non Giorgia, ha le doti politiche necessarie per tenere a bada le spinte centrifughe della coalizione come sapeva fare da maestro Berlusconi. L’incidente Rai, un sassolino diventato nei giorni valanga, è il primo esempio di cosa il nuovo squilibrio nella destra implichi.