A Budapest il Consiglio europeo
Trump occasione per Meloni in UE, la premier si gioca la carta Musk: dazi, spese militari, export
Per contrastare i dazi promessi dal tycoon e le richieste di maggiori esborsi per la Nato la premier rilancia: “Fuori dal bilancio le spese militari”
Politica - di David Romoli
A Budapest, nella riunione del Consiglio europeo, Donald Trump è qualcosa in più del classico convitato di pietra. È l’ombra onnipresente, quel che hanno in mente tutti di qualsiasi cosa parlino.
Mario Draghi è ospite d’onore. Deve illustrare il suo Rapporto sulla competitività, quello commissionato da Ursula von der Leyen nel quale propone investimenti da 800 miliardi all’anno come condizione per rilanciare l’Europa. Il ritorno di Trump gli fornisce un argomento in più: “I rapporti tra Usa e Ue cambieranno, non solo in senso negativo. Trump incentiverà l’innovazione tecnologica ma proteggerà quella tradizionale, centrale nel nostro export. Dovremo negoziare”. Solo che negoziare non basta. L’Europa deve imparare a camminare sulle proprie gambe. “Non chiedere cosa gli Usa possono fare per l’Europa ma cosa l’Europa può fare per se stessa e una sola cosa non si può più fare: posticipare”, duetta Giorgia Meloni.
Trump vuol dire (probabili) dazi ma vuol dire anche spese militari, perché la Nato non deve più pesare essenzialmente sulle casse americane. Per Draghi lo spazio fiscale per arrivare ovunque a quella spesa militare pari al 2% del Pil c’è: “Si può fare rispettando il Patto di Stabilità”. Giorgia Meloni è d’accordo su tutto tranne che su questo punto: “Quell’aumento non lo possono pagare i cittadini”. Tradotto vuol dire che la spesa militare va esclusa dai conti del Patto e del resto la premier italiana martella proprio su questo punto: se l’Unione vuole realizzare gli obiettivi ambiziosi a cui mira deve dotarsi degli strumenti necessari. Deve investire.
Sono solo le prime avvisaglie già fragorose. È probabile che la vittoria di Donald Trump negli Usa sia lo shock che costringerà un’Europa divisa e acefala, con il cancelliere tedesco sull’orlo delle dimissioni e il presidente francese azzoppato dagli elettori, a fare i conti con i propri – e sono molti – nodi irrisolti, nei rapporti con gli Usa e soprattutto al proprio interno. Non a caso la resa dei conti nella mai davvero nata maggioranza tedesca è arrivata proprio a ridosso delle elezioni americane anche se il ruolo di freno falco Lindner alle Finanze era già evidente da mesi. È un rischio per tutta l’Unione. È un’opportunità per alcuni e soprattutto per Giorgia.
Per quel negoziato che cita Draghi e che tutti sanno essere tanto necessario quanto delicatissimo per la quale la premier si propone in veste di mediatrice e canale di comunicazione: “Non bisogna avere paura di Trump”, dice ai colleghi capi di governo a porte chiuse: “Dobbiamo dialogare e costruire relazioni perché il nodo non è Trump ma la risposta alle sfide che abbiamo davanti”. Come leader di una destra europea che, a differenza di quella dei Patrioti di Orban e Salvini, ha rapporti idilliaci con il Ppe, come premier dell’unico governo del G7 oltre a quello Usa che possa contare su stabilità e nonostante le tensioni sostanziale compattezza, Meloni è convinta di poter e dover giocare ora le sue carte in Europa. A partire da quella che spera si riveli la più vincente di tutte: un rapporto personale solido con l’uomo oggi forse più potente d’America, Elon Musk.