The Donald detta il calendario della guerra
Trump a Netanyahu: finisci il lavoro prima del mio ritorno
Il candidato repubblicano alla Casa Bianca il mese scorso aveva detto in un comizio: “Se non vinco penso che Israele sarà sradicato”. Ultimo tentativo di Biden di far tacere le armi
Esteri - di Umberto De Giovannangeli
Donald detta i tempi al caro amico Bibi. Vai avanti con la guerra, non importa quanti ne fai fuori, ma fai in fretta.
L’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha detto al premier israeliano Benjamin Netanyahu che desidera che Israele concluda la guerra a Gaza entro il suo eventuale ritorno alla presidenza, qualora vincesse le elezioni. Lo hanno rivelato al Times of Israel due fonti a conoscenza della questione. Secondo un ex funzionario dell’amministrazione Trump e un funzionario israeliano, il messaggio è stato trasmesso per la prima volta quando il candidato repubblicano alla presidenza ha ospitato il premier israeliano nella sua residenza di Mar-a-Lago, in Florida, lo scorso luglio.
Sebbene Trump abbia confermato pubblicamente di aver detto a Netanyahu di voler vedere Israele vincere rapidamente la guerra, le fonti che hanno parlato con il Times of Israel sono le prime a rivelare che a tale richiesta era stato associato un calendario preciso. Un passo indietro, molto breve, nel tempo. Venti settembre scorso. «Se non vinco, penso che Israele sarà sradicato», così Trump. Parlando quel giorno all’Israel American Council, il tycoon ha assicurato che, se sarà eletto, ripristinerà il suo “travel ban” e lo amplierà per prevenire ai rifugiati di Gaza di entrare negli Stati Uniti.
«Vieterò il reinsediamento dei rifugiati dalle zone infestate dal terrorismo come Gaza, sigillerò il confine e ripristinerò il travel ban», ha detto Trump. Per poi affermare che «con Kamala Harris Israele sarà annientata. Gli ebrei che votano Harris dovrebbero farsi vedere». E ancora: «Quando ero presidente non avevate problemi», mentre «se Harris sarà eletta, l’Iran otterrà rapidamente armi nucleari in grado di uccidere molte persone. Con me respingeremo l’antisemitismo che dilaga, ma tutto questo inizia con il respingere Kamala Harris». «Per tutto quello che ho fatto per Israele ho avuto solo il 24% nel 2016. Poi sono stato il miglior presidente possibile per Israele: sono stato il miglior amico che Israele abbia mai avuto. Nonostante questo, nel 2020 ho avuto solo il 29%», ha aggiunto Trump. «Ora, secondo i sondaggi, sono al 40%, il che significa che il 60% degli ebrei americani sono per Kamala Harris. Non sono stato trattato bene dagli elettori ebrei», ha aggiunto.
Conclusione: «Il mio messaggio è molto semplice: se volete che Israele sopravviva dovete votare Donald Trump. Siete sotto attacco come mai prima. Io sono il presidente più pro-Israele, Kamala Harris è anti-Israele e considererà un embargo alle armi per Israele. Con Harris Israele sarebbe condannato, e sparirebbe in due anni».
L’ultimo tentativo di Biden per far tacere le armi
Intanto, l’amministrazione Biden, alla vigilia del voto, fa quello che sarà probabilmente l’ultimo tentativo di far tacere le armi a Gaza e in Libano: il consigliere per il Medio Oriente del presidente americano Joe Biden, Brett McGurk, e il suo inviato speciale Amos Hochstein sono in viaggio per incontrare il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e altri alti funzionari, al fine di discutere le condizioni di un possibile cessate il fuoco con Hezbollah. Uno sforzo diplomatico che potrebbe però aver vita breve: secondo la Cnn, l’Iran potrebbe rispondere ai recenti attacchi di Israele in maniera “definitiva e dolorosa” e, probabilmente, prima del voto americano. L’emittente cita una fonte iraniana, senza comunque fornire una data precisa per la “risposta”.
Definire in salita la strada della tregua a Gaza è peccare di ottimismo. Hamas ha ribadito la sua opposizione a qualsiasi proposta di sospensione temporanea dei combattimenti a Gaza, insistendo su un cessate il fuoco permanente. «L’idea di una pausa temporanea nella guerra, solo per riprendere l’aggressione in seguito, è qualcosa su cui abbiamo già espresso la nostra posizione. Hamas sostiene una fine permanente della guerra, non temporanea», ha dichiarato un alto esponente del gruppo militante palestinese, Taher al-Nunu. Secondo una fonte vicina ai colloqui, i mediatori dovrebbero proporre ad Hamas una tregua di “meno di un mese” con uno scambio tra ostaggi israeliani e detenuti palestinesi e l’aumento degli aiuti a Gaza. Questa ipotesi è stata al centro delle discussioni avute tra domenica e lunedì tra il capo del Mossad, David Barnea, il direttore della Cia, William Burns, e il Primo ministro del Qatar a Doha. Nunu ha detto che Hamas non ha ricevuto finora alcuna proposta, aggiungendo che se ricevesse un piano del genere, risponderebbe. Allo stesso tempo, ha ribadito le richieste ripetute in questi mesi dal gruppo: «Un cessate il fuoco permanente, il ritiro (delle forze israeliane) da Gaza, il ritorno degli sfollati, sufficienti aiuti umanitari alla Striscia e un serio accordo di scambio di prigionieri».
L’accordo tra Israele e Unrwa
«L’Ue condanna ogni tentativo di abrogare l’accordo del 1967 tra Israele e l’Unrwa o di ostacolare la capacità dell’agenzia di adempiere al proprio mandato. Se attuate, queste leggi avranno conseguenze di vasta portata, fermando tutte le operazioni dell’Unrwa in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, impedendo di fatto le operazioni vitali a Gaza». Lo scrive in una nota l’Alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell. «È essenziale che l’Unrwa possa continuare a svolgere il suo lavoro cruciale in linea con il mandato adottato dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1949 e rinnovato successivamente», evidenzia l’Ue, ricordando che l’Unrwa «fornisce servizi essenziali a milioni di persone a Gaza, in Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, e in tutta la regione, compresi Libano, Siria e Giordania».
L’Ue, si legge ancora nella nota, «ribadisce il ruolo fondamentale» dell’agenzia dell’Onu «nella risposta umanitaria per i rifugiati palestinesi nella regione, offrendo un supporto salvavita a una popolazione che affronta esigenze critiche e immani» e ne conferma il suo sostegno. «Fino a quando non ci sarà una soluzione sostenibile al conflitto, il mandato dell’Unrwa rimarrà essenziale», viene sottolineato.
Infuria la battaglia nel sud del Libano
Da un fronte all’altro. Per il terzo giorno consecutivo infuria nel sud del Libano la battaglia di Khiam tra militari israeliani, che hanno invaso il paese dall’inizio di ottobre, e combattenti di Hezbollah che resistono all’aggressione nemica lungo la fascia di territorio più a ridosso della linea di demarcazione. Secondo media di Beirut, i soldati israeliani si sono arroccati su alcune posizioni nella piana di Khiam, a sud-est della cittadina posta su una collina da cui si dominano le direttrici viarie verso nord. Hezbollah dal canto suo ha affermato anche stamani di aver preso di mira con lanci di mortai gruppi di soldati nemici che tentano di raggiungere la cittadina.
Khiam è tristemente nota per aver ospitato a lungo, durante la prima occupazione militare israeliana del sud del Libano (1978-2000), la famigerata prigione e luogo di tortura dove Israele rinchiudeva i combattenti libanesi, palestinesi e di altre nazionalità che resistevano allo Stato ebraico. Nel luglio del 2006, durante l’ultima guerra tra Hezbollah e Israele, a Khiam furono uccisi in un bombardamento di Israele quattro caschi blu dell’Onu: un austriaco, un canadese, un finlandese e un cinese.
Cinque persone sono state uccise dal lancio di razzi e un’altra persona è rimasta gravemente ferita a Metula, città israeliana al confine con il Libano. Lo ha reso noto il presidente del Consiglio della città, secondo Haaretz. È avvenuto in una zona agricola, 4 delle vittime sono lavoratori stranieri provenienti dalla Thailandia e uno è un cittadino israeliano. Altre due persone, una donna e un ragazzo, sono rimaste uccise a causa del lancio di razzi sempre dal Libano in direzione di Haifa. «Qualsiasi tregua che venga raggiunta con Hezbollah sul Libano deve garantire la sicurezza di Israele». Lo ha affermato Netanyahu ai due inviati americani del presidente Joe Biden, Brett McGurk e Amos Hochstein. Chi garantisce chi. La guerra continua.