I dubbi del Tribunale di Bologna
Decreto Meloni, un Paese che perseguita qualcuno non è sicuro per nessuno
Confido che la Cgue faccia chiarezza sulla corretta applicazione del diritto europeo in una materia che ha subito pesanti interferenze politiche per obiettivi che nulla hanno a che fare con il diritto di asilo
Editoriali - di Gianfranco Schiavone

L’ordinanza del Tribunale di Bologna (R.G. 14572-1/2024) del 25.10.24 sui paesi di origine sicuri è di grande rilevanza in quanto affronta questioni cruciali della normativa europea su questa tematica. Si tratta di un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) ai sensi dell’art. 267 T.F.U.E., ovvero un procedimento con il quale il Tribunale chiede quale sia la corretta interpretazione delle norme dell’Unione che vanno applicate, attuata nell’ambito di una decisione di merito sul rigetto della domanda di asilo di un cittadino del Bangladesh.
Le questioni sono ben due: con il primo rinvio il Tribunale interpella la CGUE per sapere se “in caso di contrasto fra le disposizioni della Direttiva 2013/32/UE in materia di presupposti dell’atto di designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro e le disposizioni nazionali, sussista sempre l’obbligo per il giudice nazionale di non applicare queste ultime, in particolare se tale dovere per il giudice di disapplicare l’atto di designazione permanga anche nel caso in cui detta designazione venga operata con disposizioni di rango primario, quale la legge ordinaria”. Il riferimento è chiaramente alla decisione del governo italiano di prevedere, con il dl 24.10.24 n.158 non ancora convertito in legge, che l’indicazione del governo su quali siano i paesi di origine sicuri abbia forza di legge. Anche richiamando alcune importanti decisioni della stessa CGUE, il Tribunale di Bologna sostiene però, ritengo con piena ragione, che in forza del principio della preminenza del diritto comunitario, le normative Ue hanno l’effetto, nei loro rapporti col diritto interno degli stati membri, di rendere inapplicabile qualsiasi disposizione contrastante contenuta nella legislazione nazionale di un dato paese. Ad avviso del Tribunale “il pericolo di trasferimenti coatti da un paese all’altro, che siano eventualmente valutati ex post in contrasto con il diritto europeo, non può essere prevenuto con il giudizio di convalida” ed è per questa ragione che ha ritenuto di effettuare un rinvio pregiudiziale alla Corte europea.
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L’altro rinvio alla CGUE riguarda l’annosa questione della nozione stessa di paese di origine sicuro. Come ho già richiamato su queste pagine il 23.10.24 la nozione di “Paese di origine sicuro” è disciplinata dalla Direttiva 2013/32/UE ed in particolare dal suo allegato n.1 in base al quale si può considerare di origine sicura un paese in cui, “sulla base dello status giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell’articolo 9 della direttiva 2011/95/UE, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”. Per effettuare tale valutazione si deve tenere conto dell’insieme delle normative del Paese in questione e la loro effettiva applicazione, del rispetto del divieto di non-respingimento, dell’esistenza di un sistema giudiziario indipendente e della connessa possibilità per la persona di accedere a forme di ricorso effettivo, nonché del “rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e/o nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e/o nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura”.
Alla luce di tali criteri di valutazione, il Tribunale bolognese chiede alla CGUE se “il parametro sulla cui base debbono essere individuate le condizioni di sicurezza che sottendono alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro debba essere inderogabilmente individuato nella carenza di persecuzioni dirette in modo sistematico e generalizzato nei confronti degli appartenenti a specifici gruppi sociali e di rischi reali di danno grave” nei confronti degli stessi gruppi e “in particolare se la presenza di forme persecutorie o di esposizione a danno grave concernenti un unico gruppo sociale di difficile identificazione – quali ad esempio le persone Lgbtqia+, le minoranze etniche o religiose, le donne esposte a violenza di genere o a tratta ecc… – escluda detta designazione”. Il ragionamento condotto dalla sezione specializzata in materia di asilo del Tribunale di Bologna mi sembra estremamente limpido e stringente. Il Tribunale osserva, a ragione, che “il sistema della protezione internazionale è, per sua natura, sistema giuridico di garanzia per le minoranze esposte a rischi provenienti da agenti persecutori, statuali o meno. Salvo casi eccezionali (lo sono stati, forse, i casi limite della Romania durante il regime di Ceausescu o della Cambogia di Pol Pot), la persecuzione è sempre esercitata da una maggioranza contro alcune minoranze, a volte molto ridotte” (…). Sempre il Tribunale evidenzia che “se si dovesse ritenere sicuro un paese quando la sicurezza è garantita alla generalità della popolazione, la nozione giuridica di Paese di origine sicuro si potrebbe applicare a pressoché tutti i paesi del mondo, e sarebbe, dunque, una nozione priva di qualsiasi consistenza giuridica”.
Ad avviso del Tribunale emiliano, dunque, l’obbligo, contenuto nel diritto unionale, di escludere dalla nozione di paese di origine sicuro un paese se in esso si verificano generalmente e costantemente persecuzioni va inteso nel senso di “escludere la designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro se nello stesso vi sono fenomeni endemici di persecuzione rivolta verso minoranze, anche piccole, della popolazione, in specie se le stesse non siano immediatamente identificabili”. Su un percorso interpretativo del tutto opposto si è mosso il governo italiano, impugnando presso la Corte di Cassazione (Cont. 34729/24) la nota ordinanza della sezione specializzata in materia di asilo del Tribunale di Roma del 18.10.24 (RG 44260/2024), con la quale non ha convalidato il trattenimento dei richiedenti provenienti da paesi ritenuti sicuri dal governo italiano (Bangladesh ed Egitto) nei centri previsti dal protocollo tra Italia ed Albania.
Nel ricorso, il governo ritiene che il Tribunale di Roma abbia affermato un principio di diritto errato e che la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea del 4 ottobre 2024 escluda dalla nozione di paese di origine sicuri solo quei paesi “che presentino eccezioni per alcune parti del proprio territorio” e che un Paese possa essere considerato di origine sicuro anche se vi sono invece persecuzioni e danni gravi verso determinate categorie di persone e il richiedente asilo non invochi gravi motivi per cui ritiene che in ragione della sua specifica condizione soggettiva, il paese non sia sicuro. Secondo il Tribunale di Bologna, invece, “la contrazione dei tempi della procedura di prima istanza può trovare giustificazione soltanto quando il paese di origine non presenti alcuna forma di persecuzione diretta contro gruppi sociali minoritari, sicché appare coerente che in tal caso la persona invochi da subito la propria specifica “situazione particolare” in ragione della quale il proprio paese non sia sicuro per lei”.
Confido che la Corte di Giustizia dell’Ue, investita dal rinvio pregiudiziale del Tribunale di Bologna, faccia dunque chiarezza sulla corretta applicazione del vigente diritto dell’Unione in una materia che può presentare indubbiamente profili di non limpida chiarezza, ma che è stata oggetto di assai pesanti interferenze politiche finalizzate a traghettare indebitamente la nozione di “paese di origine sicura” dall’ambito giuridico normativo a quello di “atto politico” utilizzabile discrezionalmente dal potere esecutivo per finalità di politica internazionale del tutto estranee al diritto d’asilo. Ritengo che l’interpretazione del diritto Ue che viene prospettata dal Tribunale di Bologna sia pienamente corretta; un paese di origine di uno straniero che chiede asilo alla Repubblica italiana può presuntivamente essere considerato sicuro (legittimando dunque l’applicazione di misure di forte contrazione dei diritti del richiedente in sede procedurale) solo se, come dispone il citato allegato alla direttiva 2013/32/UE, si può ragionevolmente concludere che il Paese in oggetto abbia un ordinamento di base democratico che sia rispettato nella sostanza.
È contraddittorio ed incoerente ritenere che un dato Paese possa perseguitare sistematicamente ed impunemente intere categorie di persone e gruppi sociali, preservando nonostante ciò la natura di stato di diritto. Quando ciò avviene, il rischio di esposizione a persecuzioni e violenze non è circoscrivibile ai gruppi sociali “target”, ma investe potenzialmente la popolazione in generale, e il Paese non può certo essere considerato di per sé sicuro.