La pellicola in concorso a Venezia
Queer, recensione del film di Luca Guadagnino con Daniel Craig tratto dal romanzo di William S. Burroughs
La nuova pellicola di Guadagnino, terzo film italiano in concorso, è un inno alla libertà privo di morbosità. Daniel Craig: “Una storia necessaria”
Cinema - di Chiara Nicoletti
Il settimo giorno di Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia pone finalmente i riflettori sul terzo film italiano in concorso, in ordine di apparizione: Queer di Luca Guadagnino. Il regista, che l’anno scorso avrebbe dovuto aprire la rassegna del Lido con il suo Challengers, ritirato post annuncio dello sciopero, porta sul grande schermo il romanzo omonimo, autobiografico, dello scrittore William S. Burroughs, icona della beat generation. Un sogno che si realizza per Guadagnino che sognava di mettere in scena questo libro da sempre.
Guadagnino e il romanzo di Burroughs
Il secondo romanzo di Burroughs, uscito quasi quarant’anni dopo che l’aveva scritto, una storia d’amore tra lo scrittore e il giovane Allerton. “Io credo che la gioia sia stato il punto di partenza – dichiara Guadagnino a inizio della conferenza stampa qui a Venezia. Ho letto il libro a 17 anni, da ragazzo volevo cambiare il mondo attraverso il cinema. Mi ha colpito profondamente la descrizione su pagina di quello che c’è tra questi due personaggi, l’assenza di giudizio, rispettivamente, al comportamento, al romanticismo, all’avventura con una persona che desideriamo e che amiamo”. Per il suo protagonista, un Lee (Burroughs) sconosciuto forse persino ai suoi romanzi, Daniel Craig, che siamo stati fin troppo abituati a vedere nelle più famose vesti del James Bond che non deve chiedere mai. A lui Guadagnino regala scene di desiderio più che di sesso estremo o scandaloso, come è stato erroneamente scritto e gli permette di mostrare le mille sfumature del suo essere interprete versatile.
Daniel Craig e la partecipazione al film di Guadagnino
“Ho detto di sì al film di Luca perché da tempo volevo lavorare con lui- spiega amorevolmente Craig. Se non fossi stato in questo film e l’avessi guardato, avrei voluto esserne il protagonista. È uno di quei film che vogliono vedere, fare, essere, sono sfidanti ma accessibili. Se ripenso al film penso alla gioia, non alla sfida”. Sul vero Burroughs e sul personaggio poi Craig aggiunge: “In molte delle interviste che ha rilasciato, interpretava un personaggio. Ho sempre pensato che non poteva essere veramente lui, forse una parte, una difesa. Ho letto Queer e con Luca abbiamo pensato: dobbiamo cercare l’altra persona, chi era veramente”. A chi gli chiede di questo suo personaggio tormentato dalle dipendenze, Guadagnino risponde: “Adoro l’idea di vedere le persone e non giudicarle, di assicurarci che anche la persona peggiore possa essere una persona con cui ci identifichiamo. Lee sta sprofondando in questa ossessione (per Allerton) che non riesce in qualche modo ad afferrare. Sopravvivono da una lato separandosi e dall’altro aumentando le dipendenze. Il ruolo del regista è cercare l’umanità anche nelle zone più oscure”.