La traballante logica sul conflitto

Ezio Mauro schiaffeggia il pacifismo riluttante, l’etica del tank e la guerra di civiltà in Russia

Chissà se davvero la Russia è una potenza di argilla su cui il furore purificatore della vendetta ucraina dovrebbe scagliarsi. L’indomita tempra gladatoria di Repubblica e la logica traballante

Editoriali - di Michele Prospero

15 Agosto 2024 alle 14:30

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Foto LaPresse – Arata / Palli 
04-06-2015 Genova (Italia) 
Cronaca 
Il neo Presidende della Regione Liguria Giovanni Toti partecipa all incontro inaugurale del Festival di La Repubblica delle Idee. 
Nella foto: Ezio Mauro

Photo LaPresse – Arata / Palli  
June 04, 2015 Genoa (Italy) 
News 
The new president of the Liguria region Giovanni Toti
takes part in the Festival La Repubblica delle Idee. 
In the pic: Ezio Mauro
Foto LaPresse – Arata / Palli 04-06-2015 Genova (Italia) Cronaca Il neo Presidende della Regione Liguria Giovanni Toti partecipa all incontro inaugurale del Festival di La Repubblica delle Idee. Nella foto: Ezio Mauro Photo LaPresse – Arata / Palli June 04, 2015 Genoa (Italy) News The new president of the Liguria region Giovanni Toti takes part in the Festival La Repubblica delle Idee. In the pic: Ezio Mauro

Impressiona l’inno sacro alla guerra – pardon, alla “pace giusta” – scritto su Repubblica da Ezio Mauro, che schiaffeggia il pacifismo riluttante davanti al fragore della polvere da sparo, bollandolo come “un’inversione morale e una bestemmia politica”. Nel rapimento totale raggiunto dinanzi all’estetica del carro armato, che con un blitz a sorpresa avanza per trenta chilometri e obbliga alla fuga le guardie di frontiera russe, Mauro bastona “l’Occidente” il quale, per semplice viltà, ha costretto l’Ucraina a “combattere ad handicap”, cioè “con un braccio legato dietro la schiena”. Le democrazie, intimando a Zelensky freni nell’uso dei missili e “scelte contingentate”, hanno contenuto la riparatrice furia guerresca di Kiev: il presidente “in mimetica”, qualora fosse stato autorizzato a offendere senza i gravosi vincoli, avrebbe inferto indubbiamente una sonora lezione ai tutt’altro che invincibili soldati dell’Orso e alla sua “democrazia dispotica”.

Sostenere, come fa la penna di Repubblica, che nei rovesci del fronte orientale è in ballo anzitutto il destino della “Europa libera e civile”, per giunta simbolicamente “quasi un secolo dopo Monaco”, significa alludere non già a una normale guerra difensiva – la sola legittima secondo il diritto internazionale –, bensì a una guerra di civiltà, intrapresa al fine di evirare definitivamente l’aggressività illimitata di un dittatore glaciale, e però con l’anomalia di essere condotta per interposto Paese. Proprio in questa oscillazione tra locale (l’Ucraina soggiogata da Putin è l’unico soggetto sulla scena, dunque deve assumere decisioni da sé) e universale (l’Occidente con le sue autonomie è complessivamente in pericolo) sta il vizio dell’argomentazione di Mauro: se lo scontro in ultima istanza verte non su questioni territoriali ed equilibri geopolitici – essenzialmente suscettibili di contrattazione – ma attorno a dogmi e principi non negoziabili, dal momento che il nemico “colpisce regole e valori di tutto l’Occidente”, non si comprende perché, per la protezione delle belle libertà e la “vittoria militare” su un redivivo Hitler, gli europei debbano farsi sostituire sul campo dalle reclute ucraine in quella che, nei termini in cui la presenta Mauro, si rivela essere una palese guerra per procura.

L’approccio di Ezio Mauro è, a conti fatti, propedeutico a una zuffa infinita a sfondo religioso, dove vigono “tutti i criteri di distinzione tra il bene e il male”. In un simile scenario, se si vuole essere conseguenti, non basterebbe neppure elargire sempre più sistemi di difesa aerea, comunque affidati alla discrezione di Zelensky, ma occorrerebbe che i cittadini occidentali allacciassero gli anfibi per venire incontro alla dolce morte in battaglia. Un valore indisponibile, se viene delegato ad altri attori in divisa, non è veramente da reputare tale. Perciò, scartato il compromesso (impossibile) con il tiranno, il sacrificio estremo si impone come il solo strumento adeguato alla custodia dei beni morali supremi. La firma di Repubblica, invece, dopo aver tratteggiato l’irriducibile urto tra l’autocrazia blindata di Putin e “l’Occidente”, non tira le fila del ragionamento, e anzi, con una certa dose di retorica, si chiede perfino “a che titoloeuropei e americani, i quali si ostinano a spendere centinaia di miliardi per tenere in piedi (non solo militarmente) Kiev, si arroghino la pretesa di “insegnare come difendersi” agli ucraini, ponendo fastidiosi lacci e veti.

Animato da un’indomita tempra gladiatoria, l’editorialista di Repubblica punzecchia il “mal sottile dell’eterna realpolitik”, che ha esitato nell’affondo risolutivo per via dei superflui tentennamenti dovuti a un eccessivo calcolo dei rischi. La resurrezione della teologica nozione di guerra giusta, a cui sono estranee le tregue e gli accomodamenti negoziali, spinge Mauro a giudicare cartastraccia lo Statuto dell’Onu, le motivazioni storiche all’origine dell’Unione europea, il “ripudio” bellico scolpito nella Costituzione repubblicana e la legge ordinaria del 1990 che vieta la vendita di armi a Paesi in guerra. Al contrario, immaginando la Carta repubblicana quale “costituzione della Terra”, egli si lamenta del fatto che nessuno degli opinionisti, con la medesima solerzia esibita verso l’Ucraina, abbia “invocato l’art. 11 della Costituzione” nei confronti della Russia aggressore, a cui tuttavia lo Stato italiano – non è un dettaglio secondario – non fornisce armamenti.

In ogni impostazione moralistica la logica traballa visibilmente, e quindi pure su Repubblica, da un lato, Mosca è dipinta in qualità di belva mostruosa che incombe con ambizioni intimidatorie su scala globale, mirando – sono parole di Ezio Mauro – a “fondare un nuovo ordine mondiale”, a “creare il diritto del nuovo secolo”, a prendersi “la rivincita sull’intero Occidente”, dall’altro, essa sembra una potenza di argilla su cui il furore purificatore della vendetta ucraina dovrebbe scagliarsi. Un commento apparso lo stesso giorno sul quotidiano diretto da Molinari, dai toni completamente opposti, descrive infatti una Russia “vulnerabile”, “più debole di quanto pensino gli alleati di Kiev”, che “non riesce a gestire con successo neanche la guerra di attrito nel Donbass” dove ha ottenuto solamente “modesti guadagni territoriali”. Una volta manifestatasi, a seguito dello sconfinamento ucraino, la friabilità dell’armata di Putin, che “non è in grado di reggere all’escalation che minaccia come ritorsione”, è opportuna – questo il sottinteso – un’accelerazione decisiva da parte occidentale. Così per Repubblica l’etica si coniuga con l’azzardo, e giocare a mosca cieca sulle sorti del pianeta diviene un imperativo morale.

Se la guerra di difesa all’inizio aveva un suo fondamento teorico “naturale”, diverso peraltro da quello “metafisico” di chi alla maniera di Mauro canta le lodi di una santa lotta per la democrazia – a proposito, un recente report dell’Economist classifica l’Ucraina come un “regime ibrido” provvisto di eclatanti tratti illiberali –, la trasformazione dell’autotutela (per definizione, provvisoria e sottoposta a limitazioni non valicabili) in un tentativo (velleitario o meno, poco importa) di accasamento oltreconfine (e non di recupero delle province di propria pertinenza) non possiede solide giustificazioni, né politiche né normative. Con la bandiera giallo-blu issata in Russia, e con le trincee scavate nei distretti di Kursk, la contesa ha mutato di segno. Andando al di là delle azioni di terrorismo verso persone comuni compiute sul suolo moscovita, le pratiche di sabotaggio contro infrastrutture civili e gasdotti, attualmente si profila una volontà di generalizzazione delle ostilità. Ormai è difficile corroborare la finzione per cui macchine da guerra e supporti occidentali irrompono sulla superficie russa senza che il clamoroso atto di forza coinvolga l’Europa in una esplicita posizione di cobelligeranza.

Alcun dato giuridico sorregge una smisurata estensione temporale e spaziale del diritto all’autodifesa che, trascorsi trentuno mesi ininterrotti di fuoco, si dilata ora fino allo spettacolare movimento di veicoli e truppe alla conquista di aree abitate e centrali nucleari oltre frontiera, con l’obiettivo espresso di trasferire in casa del rivale lo stesso terrore vissuto dai civili ucraini. Le tipologie classiche dell’invasore e dell’invaso sfumano anche sulle pagine dei giornali, con gli analisti e gli osservatori maggiormente sensibili alle ragioni dell’Ucraina che adesso accennano all’attacco preventivo: un’operazione dall’impatto emotivo, ad effetto (qualcuno l’ha ribattezzata “un gesto simbolico per tirare su il morale”), da valutare con il parametro esclusivo dell’utilità, del rapporto costi-benefici. L’entità e la durata della “occupazione” di Kursk decideranno se l’acquisizione manu militari di porzioni di terra nelle quali ostentare i vessilli di Kiev configuri la conclusiva metamorfosi della “resistenza” (non tanto “della popolazione ucraina”, come ricama romanticamente Ezio Mauro, ma soprattutto delle sue milizie ben equipaggiate) in una più tradizionale disputa tra due Stati sovrani con il contributo di protagonisti stranieri.

Dove l’etica nella versione di Mauro vede un elettrizzante cammino dell’Idea cui ripugnano “le vergognose condizioni” di “una pace qualunque”, il realismo scorge una situazione che in un attimo può precipitare nell’indicibile. I finanziamenti a getto continuo e la distribuzione di sofisticati attrezzi d’offesa hanno garantito a una forma di governo “ibrida” – in che modo è compatibile questo status con le promesse di un ingresso imminente nell’Ue? – risorse e dotazioni che la rendono uno dei più potenti eserciti in circolazione. E’ un colosso marziale talmente forte – capace persino di ignorare le cautele tattiche suggerite dal Pentagono – da coltivare addirittura l’ardire di inoltrarsi in Africa e lì incalzare i russi agendo a stretto contatto con il jihadismo. Non soltanto – come la Germania arriva a proclamare – il territorio della Russia nel suo insieme è da considerare spazio di guerra, ma il mondo intero diventa per Kiev un teatro di inimicizia in cui immergersi senza remore.

Ezio Mauro trascura che il principio cardine dell’ordinamento internazionale non può essere la ricerca di una eticamente orientata “pace giusta (evanescente categoria dello Spirito), ma la condivisione del problema della sicurezza e la salvaguardia di sane relazioni interstatali, che rigettano l’antagonismo permanente come mezzo di risoluzione delle controversie. In nome della mistica di una “pace equilibrata”, la quale sconsiglia l’apertura di ogni tavolo di trattative, Mauro non si avvede che è il canone moraleggiante da lui proposto (bene vs. male; democrazia vs. autoritarismo; Occidente vs. Oriente) a recidere qualsiasi gracile possibilità di una governance multipolare, entro cui il conflitto si accompagna sempre alla ragionevole cooperazione tra le parti. Il negoziato con la Russia non avrebbe affatto le ricadute di sistema che egli paventa, ovvero uno scacco alla libertà e al progresso dei moderni, ma inciderebbe sulla stabilità regionale che va rimodulata su basi concordate. Il disordine mondiale scaturisce, oltre che dalla violazione russa dell’integrità territoriale dell’Ucraina, anche dalla sopravvivenza fuori tempo massimo dell’aspirazione occidentale a dominare all’interno di uno schema unipolare che intende assorbire finanche la steppa dell’Est sotto le insegne atlantiche.

15 Agosto 2024

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