A Washington
Più morto che NATO: l’Occidente al tramonto si arma fino ai denti, la folle corsa al disastro
Durante il summit della Nato è stato deciso un impegno storico verso l’Ucraina che sarà vincolante anche per le future amministrazioni. Ma la grande novità è la partecipazione della Cina
Editoriali - di Michele Prospero
Riuniti a Washington per festeggiare i 75 anni della Nato, presidenti chiaramente in declino e capi di governo con ben visibili i freschi segni dell’insuccesso, prima di mollare lo scettro, hanno concordato decisioni impegnative per garantire una “assistenza storica all’Ucraina”. Proprio perché in marcia sul viale del tramonto e quindi a corto di un’autentica legittimazione, i leader d’occidente hanno scelto di vincolare anche le future maggioranze che assumeranno la guida delle democrazie alle loro ineluttabili strategie di guerra. Sinora i famigerati F-16 erano stati banditi dalla stessa Alleanza atlantica come armamenti indisponibili per Kiev, in quanto si temeva che col ricorso a questi delicati jet sarebbero aumentati a dismisura i pericoli di un’estensione del conflitto. Adesso invece i sofisticati aerei da combattimento vengono indirizzati sui cieli orientali senza nemmeno spiegare alle opinioni pubbliche occidentali il senso di un mutamento così radicale della dottrina militare.
Le ultime forniture e l’annuncio solenne dell’ingresso dell’Ucraina nella Nato, sebbene in assenza di una data certa per il lieto evento, preludono a pratiche di guerra illimitate. La partecipazione pervasiva dell’Europa – considerate anche le recenti fughe in avanti della Polonia autorizzata a colpire nello spazio aereo ucraino – sconfina in un’ancora più aperta cobelligeranza. Che la inevitabile disputa territoriale e militare seguita alla dissoluzione dell’Urss innescasse un turbamento complessivo dell’ordine mondiale, non era un fenomeno imponderabile e privo di alternative. Invece di agire come una Unione interessata al dialogo e alla cooperazione nella cura delle situazioni di emergenza, il vecchio continente è stato stritolato dai costi di un allargamento indiscriminato ad est gestito con lo scambio allettante tra offerta di benessere economico agli ex satelliti dell’impero del male e loro pronta adesione al servizio dei vessilli militari occidentali. Neppure le sorti della guerra di attrito hanno stimolato iniziative politiche minime, e anzi, al cospetto di uno scontro che sembra oramai aver preso una piega precisa, la Nato delibera che la opzione preferibile rimane la escalation bellica.
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Il fatto nuovo del summit di Washington è però il coinvolgimento esplicito della Cina, accusata di dare un sostegno determinante (economico, tecnologico-militare) alla Russia e di essere pertanto il vero architetto della crisi ucraina. Presentando ufficialmente Pechino come “un facilitatore decisivo della guerra della Russia contro l’Ucraina”, vengono enfatizzate le implicazioni negative di un soccorso prestato a un Paese aggressore (con un doppio standard, tuttavia, la categoria di aiuto all’aggressore non vale a Gaza). Tale imputazione di responsabilità è in realtà l’espediente retorico che serve per proporre una dilatazione geopolitica delle mansioni della Nato, che dal quadrante atlantico ha spostato la sua attenzione alle spinose questioni dell’Indo-Pacifico. L’equazione per cui fermare con ogni mezzo Putin in Ucraina è la carta cruciale per bloccare anche Xi a Taiwan – poco importa che soltanto una manciata di Paesi irrilevanti riconosca l’isola come Stato sovrano – rischia di giustificare non solo l’imposizione di scivolose misure economiche (dazi sulle auto elettriche cinesi che finiscono per penalizzare il mitico consumatore finale), ma anche di diktat militari propedeutici ad un urto egemonico generalizzato.
È evidente che la mistica della sicurezza suggerisce provvedimenti ostili che diffondono una insicurezza su scala globale. Il collegamento Kiev-Taiwan conduce ad una competizione a tutto campo con la Cina – brandita quale principale nemico planetario – che affida alle armi il riscatto dalle sconfitte subite nel settore della concorrenza (Pechino da sola muove circa il 20% della potenza industriale totale). Sfuma così il ruolo originario di difesa promosso dal Patto atlantico e, a causa del sempre più difficile contenimento dell’onda gialla mediante meccanismi solamente economico-commerciali, cresce la sollecitazione a convertire la creatività della vecchia Europa in un laboratorio avanzato attrezzato per amministrare un’economia di guerra. Dopo i poderosi carri armati, i droni di grido, gli ordigni a lunga gittata e i jet all’avanguardia, si promettono inediti euromissili come strumenti definitivi di deterrenza. Il vangelo apocrifo secondo cui se vuoi la sicurezza devi produrre l’incertezza sistemica minaccia di portare il mondo verso una vulnerabilità che evoca l’indicibile.