Il ricordo del professore

Mario Tronti, padre dell’operaismo e dell’autonomia che brindava “alla rivoluzione”

Ai ragazzi che chiederanno: chi era Mario Tronti?, non c’è che una sola risposta. Un comunista in mezzo a “brave persone” senza identità, un filosofo totus politicus. Un maestro che non accetta il lavoro intellettuale senza che questo produca delle conseguenze pratiche.

Politica - di Giulia Gigante

11 Agosto 2024 alle 12:53

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Mario Tronti, padre dell’operaismo e dell’autonomia che brindava “alla rivoluzione”

Alla rivoluzione. Così, era solito brindare il maestro di via Ostiense. Lì, in quel quartiere popolare dinanzi ai mercati generali di Roma, Mario Tronti condusse un’infanzia “semplice ed elementare”. Immaginate una borgata in bianco e nero, aggiungeteci le urla dei venditori ambulanti e una combinazione di banchetti e condomini modesti che allestiscono la scenografia proletaria. Sezione che la cinematografia e le società post-moderne tentano di archiviare, in quanto tematiche poco remunerative ai fini degli incassi. Soggetti (operai e declassati) tenuti in vita dalle riprese di qualche nostalgico rottame del secolo scorso. Exempli gratia, Ken Loach. Anche lui operaista come Tronti. Entrambi anti-moderni, scettici verso quel progressismo che ingolfa la retorica democratica e la way of life dei liberali per inerzia.

Ma non deragliamo dai binari. Qui, il 21 luglio 1931, nasceva Mario Tronti. Nato comunista, battezzato operaista con l’inchiostro di Quaderni Rossi e con la benedizione di Renato Panzieri,formidabile giovane intellettuale che non mi è più capitato di ritrovare, per la passione, l’umanità e il disinteresse…”, rammenterà Tronti intervistato da Pablo Iglesias nel 2017. Embè? Perdonate la diffidenza, ma credo che sia la spontanea reazione dei pochi volenterosi che leggeranno questo frammento commemorativo. Ma d’altronde, la domanda è lecita, soprattutto se ad alzare l’indice sono i giovani: perché ricordare un polveroso professore sempre in lotta con i tempi che corrono? No, sarebbe sbagliato rintracciare la risposta consultando gli scaffali della biblioteca trontiana. Per quello ci sono i suoi scritti, il suo Abecedario. Piuttosto, concentriamoci sulla sua scelta di vita, sulle lezioni che dovrebbero essere orme per i colleghi accademici, per i dirigenti di partito e per la lost generation.

Tanto per cominciare, Mario Tronti non aveva bisogno di ricorrere ad ambigue sfumature per presentarsi al pubblico. Non accettava le definizioni deboli. Liberal socialista, ambientalista, progressista europeo, “cattocomunista”, verde, radical libertario. Chimere evase dalla giungla della Seconda repubblica, biglietti da visita per i neofiti, per coloro che non hanno nulla da dire o da praticare, educati all’abiura, a rinnegare e recidere le radici. Insomma, niente a che vedere con le categorie della politica. Lui era un comunista, un bolscevico sopravvissuto alle macerie del muro. Una posizione che qualcuno potrebbe tacciare di anacronismo. Dopotutto, il comunismo è stato sepolto vivo, le sue sezioni ridotte a musei di provincia, il suo popolo diluito in una diaspora senza fine, la falce e martello (alleanza tra proletari e contadini) annegata nel tramonto della lotta di classe e delle classi stesse.

Dunque, cui prodest tenere in vita un punto di vista di parte, se quella parte è stata spazzata via nello scontro tra storia e politica, nel processo di identificazione che il destino del moderno applica allo sviluppo del capitale? Perché lasciarsi perseguitare da uno spettro che s’aggira solo nella memoria degli ex e che è stato brutalmente ripudiato dai post? A cosa serve rifugiarsi negli “assalti al cielo” del Grande Novecento mentre il millennio della democrazia immediata offerta dai social network, della finanziarizzazione dell’economia, della crisi delle avanguardie artistiche e letterarie e dell’umanesimo politico, della neutralizzazione ideologica, stabilisce i criteri di sopravvivenza nell’unico mondo possibile?

Beh, serve innanzitutto a comprendere. Poi, a porre un punto a quella spoliticizzazione della vita collettiva che accentua la propensione insulare dell’homo oeconomicus (punto di forza e al contempo di debolezza del sistema occidentale) e che mina l’autonomia del politico e dell’unica scuola a cui vale la pena di aderire. La gloriosa tradizione del realismo politico. Da Machiavelli ad Hobbes, da Max Weber all’indispensabile Schmitt, il quale completa la teoria maxista della critica dell’economia con la critica dello Stato. In quelle aule, si apprende la necessità di innescare un nuovo conflitto (civilizzato, si intende) e la contrapposizione amico-nemico. Perché senza conflitto la politica è solo ordinaria amministrazione del presente, e senza la grandezza dell’avversario non può esserci la grandezza della propria “parte”. Ad una grande crisi si risponde con la grande iniziativa dall’alto, perché lo spontaneismo luxemburghiano entusiasma senza incidere. Le anime belle, i seguaci delle opinioni dominanti, non lo ammetteranno mai. Ma di loro, Politica e Storia, Sinistra e Pensiero, non hanno bisogno.

Hanno, invece, un disperato bisogno di spiriti liberi come Mario Tronti. Così distante dalle logiche carrieristiche, dal freddo intellettualismo e dall’arroganza accademica, così affascinato dall’energia, dallo sturm und drang delle passioni umane e dai sentimenti del popolo, incurante delle reazioni dei suoi colleghi senatori mentre commemorava, nell’aula di palazzo Madama, il centenario della Rivoluzione d’Ottobre. Incapace di sostituire, nella gerarchia delle priorità, la transizione sociale con la transizione ecologica, la centralità del lavoro con gli slogan dei movimentisti. Questo era Mario Tronti. Attuale nella sua inattualità. Ricordo ogni dettaglio del nostro primo incontro. Ormai, sono passati molti anni da quel pomeriggio di settembre. Eravamo nel suo studio a Roma. “Professore, le dispiace se accendo il registratore per l’intervista?”. “Suvvia, siamo compagni. Diamoci del Tu”.

Il formalismo intimamente borghese non faceva per lui. La sua morte, avvenuta nella quiete di Ferentillo il 7 agosto dello scorso anno, non è un evento isolato. Commuove e coinvolge tutti. Tutti coloro che in quella bandiera rossa hanno creduto, che continuano a interrogarsi, disposti “a entrare in guerra con il mondo (questo mondo) per ritrovare una pace interiore”. Quindi, ai ragazzi che chiederanno: chi era Mario Tronti?, non c’è che una sola risposta. Un comunista in mezzo a “brave persone” senza identità, un filosofo totus politicus, a cui voler bene, a cui esser grati. Uno sconfitto che cerca ancora la vittoria. Un maestro che non accetta il lavoro intellettuale senza che questo produca delle conseguenze pratiche. Chi pensa deve agire. Sto dimenticando qualcosa? Sì. Alla rivoluzione, Compagno Professore!

11 Agosto 2024

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