L'intervista
Massimo Cacciari ricorda Mario Tronti: “Siamo stati sconfitti”
Cultura - di Umberto De Giovannangeli
“Caro Mario, le stelle di quel pensiero critico che ti ha sempre ispirato, non brillano più in questa povera Italia annichilita da un pensiero unico che ha fatto strame di ogni criticità. Siamo stati sconfitti, ma non per questo ti sei, ci siamo arresi o peggio ancora passati al nemico”. Mario Tronti e l’Italia di oggi. La parola a Massimo Cacciari.
Mario Tronti, il suo pensiero, la sua praxis e l’Italia di oggi. Cosa ne resta, professor Cacciari?
È un altro mondo. È molto difficile stabilire dei rapporti. Mancano tutti quei riferimenti. Navighiamo sotto un altro cielo. Non ci sono più le stelle che c’erano allora. Mario sapeva benissimo che la rotta non poteva più essere quella, che non si trattava semplicemente di naviganti inesperti, ma si trattava di navigare sotto un altro cielo. Non c’erano più le stelle polari d’allora. Quei riferimenti sociali, quei soggetti, nel senso letterale del termine, quelle forze che sostenevano la tua azione, la tua prassi, sono venute meno. Non è possibile istituire paragoni.
- “Mario Tronti era una speranza di pensiero nel deserto della sinistra”, il ricordo di Sergio Cofferati
- La morte di Mario Tronti porta via una forma, uno stile
- È morto Mario Tronti, si è spento a 92 anni il “padre” dell’operaismo
- Chi era e cosa ha fatto Mario Tronti, cercò di salvare Marx dal naufragio del Novecento
A unirvi è stato un percorso di ricerca politica e culturale che ha lasciato un segno nella sinistra.
Oggi francamente non so, ma certo è stata una esperienza, un’avventura collettiva indimenticabile per quanti l’hanno vissuta. Penso agli anni a cavallo tra la fine degli anni ’70 e gli inizi degli anni ’80, quando con Mario si tentano esperimenti tipo Laboratorio politico e Il Centauro, nei quali lavoravano tutti gli intellettuali che nel bene e nel male hanno fatto la storia culturale italiana degli ultimi trent’anni. Si lavorava attorno alla coscienza che cambiavano le costellazioni, in cielo e in terra, sia i riferimenti ideali che i soggetti pratici, organizzati, politici. Iniziare una nuova rotta, definire nuove forme organizzative, individuare nuovi soggetti. Questo fu lo sforzo di quegli anni. Non è mancasse la coscienza, in Mario tanto meno. Quando si passa dal discorso operaista classico, tra gli anni ’60 e ’70, al tema dell’autonomia del politico. Lì c’è un salto netto. Si capisce che quel soggetto a cui si faceva riferimento negli anni ’60, viene meno. E viene meno per due fattori fondamentali…
Quali, professor Cacciari?
L’incapacità da parte di quello che allora si diceva movimento operaio di organizzare un esito politico alle lotte sviluppate tra gli anni ’60 e ’70, l’autunno caldo. L’inadeguatezza totale, su cui Laboratorio politico insistette molto, del compromesso storico, che fu una grande iniziativa politica ma del tutto inadeguata per dare risposta ai contenuti di quelle lotte, da un lato. E dall’altro, la controrivoluzione capitalistica globale, rappresentata dai Reagan, dalle Thatcher, dalla crisi delle socialdemocrazie e dei socialismi in Europa. Ricordo un lungo, ficcante saggio di Umberto Coldagelli sulla crisi della sinistra francese. Non è che mancasse l’analisi, la consapevolezza. C’è un ceto intellettuale, da Mario, per un verso, ma anche De Giovanni dall’altro, Asor, o i più giovani, come Marramao, me, Giorgio Agamben, Roberto Esposito, che consapevolezza ne aveva. Ma non ce l’abbiamo fatta. È stata una sconfitta. Una sconfitta di cui Mario è dolorosamente consapevole in tutti gli anni successivi. Senza per questo arrendersi. Non è che quando sei sconfitto devi arrenderti e tanto meno passare dalla parte del nemico. Ad accompagnarci è stato anche un certo disincanto, che forse è stato una lezione di vita. Dolorosa ma formativa.
In che senso?
Non siamo mai rimasti incantati o illusi sulle nostre capacità e sulla situazione in cui ci riversavamo. Questa è la storia. La storia di due generazioni, quella di Mario, di Asor, per un verso molto lontano ma pur analogo di Toni Negri, e quelli più giovani. Quelli della generazione ancora successiva appartengono ad un’altra era glaciale. Può esistere una sinistra senza un pensiero forte… Certamente non può esistere una sinistra senza pensiero critico. Questo è pacifico. Prim’ancora che si potesse parlare di sinistra, di destra, è tutta la origine illuministica e pre-illuministica di tutto ciò che si potesse dire vaghissimamente di sinistra, nasce dal pensiero critico. È un pensiero critico. Un pensiero che non si adatta alla situazione da nessun punto di vista. Se manca ironia e paradossalità, che erano grandi doti di Mario, non ci può essere sinistra. La sinistra può essere tutto quello che vuoi ma non può non essere pensiero critico. È un punto di vista, un atteggiamento culturale, intellettuale, di radicale, costante insoddisfazione rispetto allo stato di cose esistenti. Se manca questa energia, se tutto si risolve in adattamento e compromesso, tutto ci può essere fuorché una sinistra. Dopo di che è chiaro che si deve passare ai contenuti, ai programmi, ai progetti e tutto deve essere realistico, non ci deve essere utopia, benissimo. È la lezione che abbiamo sempre cercato di combinare tra il miglior Marx e i Max Weber, gli Schumpeter ecc. Questo va rivendicato a merito di questa “scuola”. Nessuna ideologia, nessun vogliamoci bene, nessun irenismo. Nulla a che fare o a che vedere con questo dulcorame che è diventata la cosiddetta sinistra, per carità. Pensiero critico può essere la scuola di Francoforte, può essere quello che vuoi, ma prima di tutto è un atteggiamento nei confronti della realtà che caratterizza una cultura di sinistra.
Lei parla di una sinistra “edulcorata”…
C’è stato uno smottamento di tutta la sinistra, anche sindacale, dalla capacità di rappresentare quella che storicamente è la loro base sociale. Basta vedere la geografia del voto delle ultime elezioni. Se avessero votato quelli sopra i 65 anni il Pd avrebbe il 28%, se avessero votato solo quelli sotto i 25 anni il Pd avrebbe il 12, se avessero votato quelli con il reddito medio alto il Pd sarebbe il primo partito, se avessero votato i più poveri sarebbe l’ultimo. Questi qui hanno pensato che siccome non c’era più la centralità della fabbrica, della classe operaia si fosse giunti al punto della famosa società liquida, dove i partiti diventano semplicemente movimenti di opinione senza più differenze, ed hanno perso completamente di vista il fatto che la società è fatta di tanti settori molto differenziati e le disuguaglianze aumentano. I partiti della sinistra non si sono resi conto di questo e hanno smesso di rappresentare queste disuguaglianze in una situazione nella quale le differenze si moltiplicano.
Temi cruciali, peraltro affrontati con la consueta passione civile e lucidità intellettuale da Mario Tronti nella sua ultima intervista, concessa a l’Unità. E qui torniamo al pensiero critico: Un pensiero non può non riguardare un tema cruciale, di drammatica attualità come è quello della guerra.
È evidente. Nessun irenismo pacifistico. Fintanto che ci saranno uomini, ci saranno nemici, citazione di Petrarca. Detto questo, il comprendere realisticamente le cause dei conflitti, sapere che nel mondo contemporaneo il conflitto è produttivo, a differenza dell’idiotismo che ti racconta che le guerre sono solo distruzione, sono solo sciagure, follie, questo irenismo pacifistico non porta da nessuna parte. Capire che le guerre sono grandi e tragici momenti costituenti. Costituenti di ceti politici, di classi dirigenti, di diritti… Comprenderne le cause, e aggiornare questa comprensione. Non potremmo più accontentarci di spiegazioni vetero marxiste del tipo che le guerre sono semplicemente frutto di contraddizioni intercapitalistiche, imperialistiche. Continuo sforzo critico di aggiornamento senza nessun irenismo e con la volontà ferma di giungere alla eliminazione della guerra come guerra tra popoli, come guerra tra nazioni, e invece la positività del conflitto interno. Questo è il punto fondamentale. Il conflitto interno. Il conflitto tra interessi, il conflitto tra idee, il conflitto tra strategie, è l’anima dello spirito europeo. Quindi positività del conflitto e di ogni sforzo per eliminare la guerra tra Stati, che rappresenta la combinazione virtuosa nel pensiero di Mario.
Una idea di conflitto che genera riconoscimento reciproco.
Questa idea di un conflitto che crea riconoscimento è l’idea fondamentale per intendere come il rapporto e la genesi delle identità e delle differenze siano un processo, una dinamica e non possano essere ridotte ad una serie di definizioni a priori immutabili e valide in ogni momento e in ogni luogo.
Lei ha usato il termine conflitto, un tempo si sarebbe detto lotta di classe.
Certo che sì.
Ma perché se ne ha così tanta paura, anche solo ad evocare la lotta di classe?
Perché hanno vinto quelli che hanno fatto credere che c’è il popolo, che c’è la gente. È passata questa straordinaria ideologia, ideologia nel senso critico, marxiano del termine, per cui, appunto, noi siamo “un popolo”, “una gente”, e tutte le differenze interne al concetto di popolo scompaiono, totalmente cancellate. Differenze interne al popolo che erano presenti anche ai tempi dell’antica Roma. Popolo è un concetto politico, non è tutto il popolo. Il popolo è quella parte di Roma che era organizzata nei suoi comizi, che ha una sua valenza politica la sua autonoma rappresentanza politica e confligge, un concetto quello di “cunfliggere” in cui vale anche il “cun”, non soltanto la lotta, con il Senato. Mentre è passata una ideologia del tutto funzionale al potere dominante per cui siamo un popolo e dentro quel popolo non c’è conflitto, o non deve esserci conflitto. Tipico del pensiero non critico. Critico vuol dire “crisi”, vuol dire divisione, vuol dire distinzione, vuol dire discernere, tutto questo vuol dire critico. Il pensiero non critico è il pensiero che tende sempre, per propria natura, ad essere pensiero unico. Pensiero unico è letteralmente l’opposto del pensiero critico. Il pensiero critico è pensiero che si sa parziale, che si sa in conflitto, il che non vuol dire che ciò con cui confliggi è sia il tuo “Nemico” assoluto. Questa è una semplificazione “schmittiana”, tra amico-nemico ci sono infiniti intermedi. Ma certo non c’è il “popolo”. È una invenzione del pensiero dominante, cioè del pensiero unico. Contro cui Mario si è sempre battuto.