50 anni fa lo scandalo
Scandalo Watergate: così Woodward e Bernstein distrussero il giornalismo, genialata degli 007 altro che inchiesta
Richard Nixon si dimise dalla presidenza degli stati uniti il 9 agosto del 1974. Per una grande inchiesta giornalistica? No, perché l’Fbi decise così e imboccò il Washington Post
Editoriali - di Piero Sansonetti
Il 9 di agosto del 1974, giusto mezzo secolo fa, il presidente degli Stati Uniti Richard Nixon, 61 anni, annunciò le sue dimissioni dalla Casa Bianca. Non era mai successo. Nixon era un gigante del partito repubblicano, era stato per otto anni vicepresidente di Eisenhower, aveva perso per un soffio le elezioni contro Kennedy, era rimasto sulla cresta dell’onda e aveva vinto le elezioni del 1968, sconfiggendo il potente Hubert Humphrey e il partito democratico e la valanga del sessantotto e del pacifismo. Si dimise per uno scandalo giudiziario. Mentre era al culmine della popolarità. Fu accusato di essere stato al corrente di una azione di violazione degli uffici elettorali del partito democratico, nel complesso edilizio del Watergate, nella città di Washington, avvenuta durante la campagna elettorale e nel corso della quale furono sottratti dei nastri di un registratore. Nixon resistette, negò e resistette. Poi capì che sarebbe stato votato l’impeachment contro di lui, sarebbe stato deposto e probabilmente anche arrestato.
Si dimise. E ottenne il perdono presidenziale di Gerald Ford, che era il suo vice, diventato presidente per via delle sue dimissioni. Ford, tra l’altro, non era stato eletto. Il vice eletto di Nixon era un certo Spiro Agnew, che però si era dovuto dimettere per una evasione fiscale e, a metà mandato, era stato sostituito da Ford. Lo scandalo che portò al Watergate è stato sempre considerato un capolavoro del giornalismo americano. In particolare del Washington Post, che lo condusse lancia in resta. Grazie alla convinzione del suo direttore, Ben Bradlee, e di due giovani cronisti che con quel servizio passarono alla gloria mondiale: Bob Woodward e Carl Bernstein. Il direttore aveva assegnato a loro due il compito di scavare nello scandalo e loro furono bravi. Bob, curiosamente, era un ex ufficiale della Marina. Noi non sappiamo in quale rapporto coi servizi segreti.
Bernstein invece era un giornalista, che fu affiancato a Woodward, si disse, perché era anziano ed esperto. In realtà aveva 10 anni di giornalismo, che sono un po’ pochi per essere considerati esperti. I due giovani erano semplicemente di assoluta fiducia del direttore. E probabilmente di qualcun altro. Il Watergate, dal punto di vista delle cose avvenute, fu uno scandalo assolutamente minore. Se chiedete non dico a un lettore di giornali italiano, ma a un americano colto e istruito, in cosa consistesse lo scandalo, nessuno ve lo saprà dire con precisione. Né vi saprà dire in che modo furono danneggiati i democratici. La campagna elettorale del ‘72 era una tranquillissima campagna nella quale nessuno metteva in discussione la vittoria di Nixon. I democratici avevano preferito al moderato Ed Musk (anche lui affondato con uno scandaletto) il socialista George McGovern, 50 anni, punta di lancia della sinistra democratica, collaboratore ed erede di Bob Kennedy e di Eugene McCarthy. I sondaggi lo davano indietro di dieci punti. Il 7 novembre del 1972, giorno del voto, il distacco era arrivato a 24 punti: 61 a 37. Dei 50 Stati McGovern vinse solo il Massachussets. Per quale ragione Nixon doveva tentare azioni spericolate e illegali contro di lui?
Noam Chomsky anche recentemente ha fatto notare che nello stesso periodo del Watergate scoppiò lo scandalo Cointelpro. Ed era una vicenda davvero clamorosa. Disseminata di morti, furti, provocazioni, abusi, tutti a carico dell’Fbi contro le opposizioni di sinistra e soprattutto contro i movimenti antirazzisti. Era stato anche ucciso uno dei capi del Black Panther. Però i giornali ignorarono quello scandalo, non lo portarono mai in prima pagina, e montarono il Watergate. La differenza di fondo tra i due scandali stava nel ruolo dell’Fbi. Nel Cointelpro l’Fbi di Edgard Hoover era il colpevole. Nel Watergate l’Fbi era l’accusatore. Le abilità giornalistiche dei due eroi, che poi furono interpretati addirittura da Dustin Hoffman e da Robert Redford in un film celeberrimo e di gran successo, erano praticamente nulle. I due (anzi, per la precisione, di solito solo l’ufficiale di marina Woodward) scendevano in un garage e lì ricevevano i documenti da una talpa chiamata, in codice, “Deep Throat” che vuol dire “Gola profonda” ed era il titolo di un film porno di gran successo in quegli anni. Chi era Gola profonda? Lo si è saputo solo trent’anni dopo. Si chiamava Mark Felt ed era niente meno che il numero due dell’Fbi. Forse, addirittura, ne era il vero capo.
Il Watergate scoppiò pochi mesi dopo la morte di Edgar Hoover che era stato il capo dell’Fbi per quasi mezzo secolo. Ed era il vero padre padrone dell’America. Dopo Hoover l’Fbi sbandò, cambiò diversi direttori. Tutte figure di secondo piano. Felt era uno degli uomini di fiducia di Hoover e probabilmente aveva nella sue mani una bella porzione di potere. Fu lui a guidare tutto.
Il Watergate non è un trionfo giornalistico. È il trionfo dei servizi segreti che da quel momento, in tutto il mondo, entrano nelle redazioni e anche nelle direzioni dei giornali. Negli Stati Uniti forse un po’ meno. Ma solo un po’. In Italia comandano. Perché Felt decise di eliminare Nixon? Aveva dei mandanti. Ovvio. Una parte maggioritaria della borghesia americana non sopportava più il repubblicanesimo moderato. Nixon non era un reazionario. Fece anche leggi importanti, liberal, come le “affermative action”. La borghesia americana voleva una netta svolta liberista. A destra. Sognava già Reagan, all’epoca governatore della California. Iniziò con il Watergate la sua marcia, e sei anni dopo andò a dama.