In arrivo la procedura d'infrazione

Gli incubi di ferragosto del governo Meloni: corporazioni ed Europa, altro che lo sciopero balneari

La solita cricca dei balneari fa solo finta di scioperare, ma per il governo i problemi veri arrivano con la procedura d’infrazione

Politica - di David Romoli

10 Agosto 2024 alle 09:00

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Gli incubi di ferragosto del governo Meloni: corporazioni ed Europa, altro che lo sciopero balneari

Se sciopero è stato, non se ne è accorto nessuno: una parte delle associazioni ha preferito non aderire alla “iniziativa spot”. L’adesione, anche tra quelle che avevano deciso di scioperare, è stata limitata e a macchia di leopardo. In ogni caso le due ore di ritardo, con apertura degli stabilimenti solo alle 9.30 ma con i bagnini puntualmente al loro posto, era studiata per limitare al massimo i disagi. Insomma sciopero sì, ma solo simbolico e a maggior ragione dopo la decisione di cancellare le altre due giornate di sciopero previste dopo il pienone di ferragosto. I balneari, insomma, si sono resi conto che in ogni caso arrivare a uno scontro reale con il governo e con la maggioranza da cui sono stati sempre protetti, fino all’ultima proroga del 2022 fino alla fine di quest’anno, non sarebbe conveniente. Molto meglio sperare che palazzo Chigi, di qui alla fine di agosto, riesca a inventarsi qualcosa per attutire per quanto possibile il colpo. Ma il colpo arriverà. Perché l’Europa non è più disposta a temporeggiare e lo ha ripetuto due giorni fa.

Il “parere motivato” fatto pervenire al governo nel novembre scorso è l’ultima spiaggia, poi si passerà al deferimento alla Corte di Giustizia europea e alla procedura d’infrazione. Il governo italiano non può permetterselo. Non con la partita del Commissario ancora tutta da decidersi, certo, ma questo è ancora il meno. Il problema enorme è la trattativa sulla procedura d’infrazione che è già scattata, quella per deficit eccessivo, con la prossima Commissione, che peraltro deve ancora formarsi. Se ne parlerà in autunno e gli effetti si vedranno in un 2025 che nei calendari del governo è già cerchiato in rosso. Quest’anno, senza un soldo da spendere, sarà dura. Il massimo delle ambizioni di Chigi e del Tesoro è confermare il taglio del cuneo fiscale anche per il prossimo anno e anche questo non sarà facile. Ma nel 2025 bisognerà anche sborsare e sarà molto più dura. Il sogno della premier, quello di poter trattare con una nuova Commissione ancor più amichevole di quel che era stata la precedente, e già non era poco, è sfumato con la formazione di un nuovo equilibrio europeo che registra sì una maggioranza Ursula spostata rispetto all’ultimo quinquennio, ma più a destra che a sinistra. La messa a gara, a questo punto, è inevitabile.

La vicenda è rilevante perché si trascina da lustri ma anche per la sua massiccia valenza simbolica. Il governo è stretto tra due pressioni, quella dell’Europa, con la quale non può permettersi lo scontro, e quella della sua base tradizionale, che a conti fatti sono le corporazioni, con le quali pure vorrebbe evitare il fronteggiamento. Anche perché la premier teme che la Lega non perda l’occasione per lucrare sui guai dell’intera maggioranza a scapito proprio del suo partito. Meloni cercherà probabilmente l’ennesima formula ambigua. L’ipotesi più gettonata è proporre a Bruxelles una proroga lunghissima, addirittura sino al 2030, ma solo per le Regioni nelle quali le concessioni attuali coprono meno del 25% della costa. Scontenterebbe tutti, la Ue perché comunque si troverebbe tra le mani una nuova proroga, ma anche i balneari, perché nelle regioni dove gli stabilimenti pullulano si passerebbe alla messa a gara.

Qualcosa dello scontro si vedrà già nella conversione del dl Concorrenza. Magi, leader di + Europa, ha annunciato un emendamento per la messa a gara subito di tutte le concessioni, l’ala sinistra del Campo largo concorda e la maggioranza, pur non temendo sorprese in aula, dovrà scoprirsi più di quanto non abbia fatto sinora. In una situazione oggettivamente molto scomoda, costretta a scegliere tra gli imperativi della Ue e le pressioni della sua base, forse alla premier converrebbe rompere gli indugi e prendere una posizione netta. In fondo è quel che non è riuscita a fare nella sfida per i top job dell’Unione e l’incapacità di scegliere drasticamente tra la destra di Orban e l’europeismo della destra Ppe le è costata la più cocente sconfitta da quando è premier. Nella prossima partita europea, nella quale prima o poi rispunterà inevitabilmente anche quella ratifica della riforma del Mes sulla quale Bruxelles non ha alcuna intenzione di mollare, rischia di ripetere lo stesso errore. Con conseguenze anche più letali.

10 Agosto 2024

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