L'anniversario della strage
I grandi misteri italiani e il fascismo: dalla strage di Bologna ai tentati golpe la destra balbetta
I parenti delle vittime accusano il governo: “radici fasciste”. Lei risponde in “romanesco”. Schlein: “La prova che non è adatta a governare il paese”
Editoriali - di Piero Sansonetti
Ci vuole poco a far perdere le staffe a Giorgia Meloni. Basta dire: “fascista”. Lei non ci vede più e inizia ad andare fuori di testa. Ieri è stato Paolo Bolognesi, il Presidente dell’associazione “Familiari delle vittime della strage del 2 agosto 1980” a far scattare la premier. Ha detto, ricordando la strage alla stazione di Bologna di 44 anni fa, che “le radici di quell’attentato oggi figurano a pieno titolo nella destra di governo”.
Meloni non ha aspettato un minuto per reagire con furia alla dichiarazione di Bolognesi: «Sostenere che le “radici di quell’attentato oggi figurano a pieno titolo nella destra di governo” – ha detto – o che la riforma della giustizia varata da questo governo sia ispirata dai progetti della Loggia massonica P2, è molto grave. Ed è pericoloso, anche per l’incolumità personale di chi, democraticamente eletto dai cittadini, cerca solo di fare del suo meglio per il bene di questa Nazione». Bolognesi ha risposto a Meloni di non fare la vittima perché le vittime sono altre. Elly Schlein ha dato ragione a Bolognesi e ha polemizzato con la Premier sostenendo che questa nuova dichiarazione e questa polemica «dimostrano che lei non è in grado di governare il paese».
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La discussione in realtà è molto complicata. E l’unica cosa certa è che ha ragione Schlein quando dice che Giorgia Meloni ha già largamente dimostrato di non essere in grado di governare il Paese. Dopodiché, se vogliamo addentrarci nella analisi sul terrorismo, su cosa fu e quanto pesò in quegli anni, o sulla funzione che ebbero i movimenti neofascisti e il partito di Almirante, o sui rischi del golpismo negli anni Sessanta e Settanta, o sugli autori della strage di Bologna, la questione diventa molto seria. A me sinceramente pare forte e abbastanza ingiustificata la affermazione di Bolognesi secondo la quale le radici del terrorismo fascista degli anni Settanta e Ottanta sono oggi presenti nell’area di governo. Penso che non sia così. E penso che sia fuori dalla realtà attribuire l’idea della separazione della carriere – sostenuta da gran parte del mondo giuridico e del diritto – alla Loggia P2 di Gelli e a un disegno eversivo.
Uso spesso la parola fascista – in quanto categoria politologica e non come semplice insulto – per definire alcune politiche del governo, in particolare in tema sicurezza, lotta all’immigrazione, carceri, repressione e lavoro (nell’articolo della vicepresidente del Senato Mariolina Castellone denunciamo addirittura il rischio schiavismo). Ma una cosa sono le scelte reazionarie di questo governo, altra cosa il terrorismo di Stato che insanguinò l’Italia dal 1969 al 1985. Escluderei francamente che nella maggioranza di centrodestra attuale ci siano responsabilità, o suggestioni amichevoli, verso il terrorismo. Casomai quello che denuncia Bolognesi è il legame tra gruppi fascisti eversivi – e soprattutto tra singoli esponenti dei gruppi fascisti eversivi – e pezzi di servizi segreti italiani e stranieri (in particolare, credo, americani) nella realizzazione della strategia della tensione e negli attentati che ebbero un notevole peso sulla politica italiana: la condizionarono, soprattutto con l’obiettivo di tenere il Pci lontano dal governo, ma anche, in alcuni momenti, con l’obiettivo di qualcosa di molto simile a un golpe.
Sul tema del possibile golpe si sa molto poco. Dalla fine degli anni Sessanta a metà dei Settanta il rischio, nell’Europa Occidentale, ci fu. Soprattutto nei paesi più deboli, come l’Italia e la Grecia (la Spagna e il Portogallo erano già governati da regimi fascisti). In Grecia il golpe fu realizzato. Nel 1967. In Italia fu tentato almeno due volte. Nel 1964, giusto 60 anni fa, in agosto, forse con la copertura di pezzi della Dc e di settori importanti e di vertice dei carabinieri. C’era un piano per arrestare tutti i capi dei partiti di sinistra e dei sindacati. Lo sventarono Moro e Saragat. Poi ci fu un altro tentativo di golpe nel dicembre del 1970, giusto un anno dopo la strage fascio-di stato, di piazza Fontana. Il padre di questo secondo golpe fu il principe Junio Valerio Borghese, l’ex capo della famosa Decima Mas che piace a Vannacci; ma probabilmente quello fu un tentativo un po’ folcloristico. I golpe furono sventati dalla saldezza del corpo grosso della Dc e dalla forza e dal radicamento dei comunisti.
Il Msi fu indulgente verso i servizi segreti golpisti? I servizi segreti agirono su mandato americano o della destra italiana moderata? Nell’establishment qualcuno muoveva le marionette? Sono tutte domande alle quali è difficile rispondere. Anche gli storici si sono mossi più per risolvere i misteri inesistenti del terrorismo rosso (che fu sempre esplicito, dichiarato e cristallino) che per comprendere le trame nere. Noi oggi non sappiamo quali e quanti giovani fascisti fecero da manovalanza alla strategia della tensione (io per esempio credo che la sentenza sulla strage di Bologna sia sbagliata, basata su indizi fragili e senza prove, e che Mambro, Fioravanti e gli altri giovani fascisti condannati per quella strage non ne siano gli autori, né i complici: siano del tutto estranei). Sappiamo però che nel golpismo prevalse l’idea fascista. Per questo in Italia l’antifascismo è ancora molto radicato. Perché è uno schieramento non solo contro il vecchio regime, lontano ottant’anni, ma contro l’eversione di circa mezzo secolo fa. E per questo sarebbe giusto, ragionevole, opportuno, che i capi della destra di oggi – alcuni dei quali, non molti, erano sulla piazza anche in quegli anni – facciano chiarezza definitivamente. Stanno facendo dei passi. Ma hanno paura. Balbettano. Perché invece non condannano senza clausole, non si dichiarano una buona volta antifascisti e non collaborano a un lavoro di ricerca e di scoperta sui misteri di quegli anni?