L'intervista

“Von der Leyen non ripeta gli errori degli ultimi due anni andando a braccetto con Meloni”, parla Marco Tarquinio

«Nel gruppo S&D sono state fatte sentire le ragioni della pace, un fatto politico nuovo. Per questo mi sono astenuto sulla risoluzione sulle armi all’Ucraina. Von der Leyen? Bisogna tenere alta la guardia perché non ripeta gli errori degli ultimi due anni, quando è andata a braccetto con Meloni»

Esteri - di Umberto De Giovannangeli

26 Luglio 2024 alle 11:30

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“Von der Leyen non ripeta gli errori degli ultimi due anni andando a braccetto con Meloni”, parla Marco Tarquinio

Marco Tarquinio, definire politicamente scoppiettante l’inizio dell’esperienza da europarlamentare è un eufemismo. Primi voti, prime polemiche, già strumentalizzate in chiave interna. Sull’invio di armi a Kiev e sull’uso delle stesse contro il territorio russo, lei e Cecilia Strada vi siete astenuti. Apriti cielo! “Il PD si spacca subito all’Europarlamento…”.
Lo scoppiettio politico-mediatico è un problema perché anche stavolta non è soltanto una metafora, è l’eco di ben altri scoppi. Quelli delle bombe che continuano a massacrare gli uomini e le donne e i bambini gettati nella fornace della guerra d’Ucraina. Di fronte alla Risoluzione su questa guerra, proposta alla plenaria del Parlamento, Europeo, Cecilia Strada e io abbiamo votato in modo uguale e ugualmente forte. Alcuni “sì”, diversi “no” e astensione sul testo complessivo alla luce di ciò che avevamo potuto formalizzare grazie al voto per parti separate sui vari paragrafi. In sintesi: sì al sostegno politico e umanitario alla popolazione ucraina aggredita dalla guerra di Putin, no al continuo invio di armi, no alla fine di ogni restrizione al loro uso, no ad attacchi con esse in territorio russo, no insomma a una guerra per procura fatta precipitare tragicamente dall’invasione russa decisa da Vladimir Putin e in cui gli ucraini mettono i corpi e la Nato le armi.

Ma avete o no spaccato il PD?
A Strasburgo il 17 luglio 2024 è accaduto qualcosa di molto rilevante. E non è affatto una spaccatura. In una sede politico-istituzionale così solenne, il PD ha deciso di dire no alla “dottrina Stoltenberg” ovvero ad attacchi contro la Russia decisi anche autonomamente dai singoli Stati della Nato fornitori di armi delle forze armate di Kyiv. Una posizione già espressa, diverse settimane fa, dalla segretaria Schlein. Ne abbiamo dibattuto a fondo in una riunione nella nostra Delegazione ed è emersa questa decisione: il no del PD sul punto sarebbe stato formalizzato nel voto per parti separate.

E lei e Strada avete ritenuto che questo passaggio fosse importante
Esatto. Importante tanto quanto la posizione fermissima di Elly Schlein e del PD contro la guerra di Netanyahu alla popolazione civile di Gaza e della Cisgiordania. E sono grato alle colleghe e ai colleghi europarlamentari del PD per la qualità del dibattito tra di noi e nel gruppo S&D, dove sono state fatte sentire le ragioni della pace o quantomeno non solo quelle della guerra. È questo fatto nuovo politico e istituzionale che mi ha portato a cambiare orientamento e a decidere per l’astensione finale, rinunciando al voto contrario che avrei dato “secondo il cuore”, e sulla base di un ragionamento serrato e amaro. La Risoluzione, infatti, fa proprio il lessico Nato sulla “irreversibilità” del processo di adesione dell’Ucraina all’Alleanza atlantica. E non contiene neppure un accenno al “cessate il fuoco” e alla via negoziale per uscire dal conflitto bellico. È paradossale che sia così, mentre il presidente ucraino Zelensky invita la Russia alla Conferenza di pace che si riunirà novembre nella capitale ucraina! Eppure, alla luce di ciò che sta cominciando ad accadere, ho deciso di astenermi, cioè di non approvare il testo, ma senza contrappormi alla delegazione e al gruppo di cui faccio parte dando valore alla presa di parola e al passo avanti decisi dal PD.

Con Cecilia Strada vi siete confrontati?
Parliamo spesso, ovviamente. Ma nell’occasione l’abbiamo fatto esclusivamente insieme agli altri, dicendo la sua e la mia, posso ben dire la nostra. Solamente in aula, dove sediamo una accanto all’altro – lei nel nostro gruppo è l’ultima delle “S”, io sono il primo delle “T” – abbiamo scoperto di aver sviluppato anche un successivo ragionamento analogo: tutti i voti che ci apprestavamo a dare erano perfettamente sovrapponibili. I sì, i no, l’astensione finale. La cosa ha fatto sorridere entrambi. E mi ha fatto un gran piacere.

Le elezioni passano, le guerre continuano. E l’Europa?
L’Europa ancora non cambia passo. E ho sempre nuove conferme che nell’Unione abbiamo un problema con quelli della “F”…

Cioè, cosa vuol dire “F”?
“F” come “Frugali”, i beghini del perfetto equilibrio di bilancio, costi quel che costi ai più poveri e ai meno garantiti nei Paesi dell’Unione. Ma anche “F” come “Frontalieri”, coloro che interpretano da anni il loro confine geografico con la Russia come un’inevitabile linea del fronte. Frugali sempre pronti a stoppare quelli dell’Europa meridiana e mediterranea, vera o presunta “cicala”. Frontalieri decisi alla battaglia contro Putin, che se lo merita pure, e al dito alzato e ammonitore contro i pacifisti, cioè gli oppositori della guerra, della politica di guerra e dell’economia di guerra. In più di un caso, frugali e frontalieri coincidono. E devo dire che in qualche misura si possono capire. Hanno ragioni e preoccupazioni fondate, ma insieme hanno anche ossessioni, di quelle che fan perdere orientamento e senso delle proporzioni. Nel senso che ho appena spiegato, a Bruxelles e a Strasburgo ho ascoltato e visto all’opera diversi leader ed esponenti di delegazioni partitiche, per nulla escluse quelle di sinistra, che sono “frontalieri” nella realtà o anche solo nell’anima.

Lei considera nemici i frontalieri?
No, questo no. Non ho nemici e non vorrei averne, anche se qualcuno lo vedo e lo subisco mio malgrado… So che i “frontalieri” sono interlocutori duri, poco inclini all’ascolto. Ma su questo voglio esser chiaro: è una condizione che apprezzo per il contenuto di solidarietà che, a tratti, emerge in essa, per la resistenza alla paura e allo scoramento che contiene. E perché ho imparato e sperimentato che la frontiera è il luogo della separazione, ma anche, e soprattutto, resta il luogo dell’incontro. Bisogna renderlo possibile, e questo è compito della politica. Al tempo stesso, però, la postura dei frontalieri mi preoccupa enormemente, per l’adesione quasi fideistica alla guerra come strumento della giustizia e dell’unica difesa ritenuta possibile, quella militare. Constato che così si crea un vuoto politico in cui si possono dispiegare le manovre di chi trama contro la democrazia, la libertà e la pari dignità di tutte e tutti e, magari, si propone come alfiere della pace…

Mi sembra che anche lei ce l’abbia con Viktor Orbán…
Sì, ce l’ho con il premier ungherese, perché sta sciupando una chance di dialogo che non andava gestita in modo autoreferenziale e scollegato nel pur stonato concerto europeo di oggi. E ce l’ho con le forze di centrosinistra, che stanno ancora lasciando a un pezzo della destra anti-europea la possibilità di prendere come in ostaggio le attese della gente comune e la ricerca della pace, speculando sulla sacrosanta paura di chi non ha dimenticato, e comunque sente, che la guerra è solo un’immorale e intollerabile follia in cui si mescolano orrore e affari.

Il discorso di reinvestitura pronunciato da Ursula von der Leyen è stato un esercizio di equilibrismo politico volto a non scontentare i più. Fare fronte contro i “Patrioti”. E poi?
Quel discorso di Ursula von del Leyen ha diverse facce. Soltanto Manfred Weber, capo del Ppe e teorico dell’abbraccio tra popolari e populisti, magari con il greco Mitsotakis al timone, è riuscito a farmi digerire certi passaggi e alcune omissioni. Frontex concepita come arma antimigranti, un’idea di difesa solo armata che mi fa rabbrividire… Sono però soddisfatto anch’io dell’accoglimento, da verificare passo passo, di due grandi richieste del gruppo dei Socialisti & Democratici: il rinnovato impegno sul Piano Verde e quello per il rafforzamento del Pilastro Sociale dell’Unione anche con il varo di un programma e un commissario ad hoc per le politiche abitative. E sono contento del rinnovato “cordone sanitario” che blocca quasi del tutto le destre nazionalsovraniste e antieuropee. Bisognerà mantenerlo alto, perché la signora VdL non ripeta gli errori che le abbiamo visto fare negli ultimi due anni, attraversati spesso ostentatamente a braccetto con la signora Meloni. La collaborazione istituzionale non può mai degenerare in comunella propagandistica.

A proposito di voti e letture varie. Qual è la sua su quelli in Francia e Gran Bretagna?
Buone notizie. Da prendere sul serio. E da non sopravvalutare. Il pacato Starmer, a Londra, ha vinto raccogliendo, in un contesto favorevole per il Labour, meno voti di Corbyn e l’esaurimento del conservatorismo sfasciatutto degli ultimi 14 anni. Spero faccia bene. In Francia, invece, i cugini d’Oltralpe stanno sperimentando alla loro maniera “repubblicana” l’avanzamento di un processo già sviluppatosi in Spagna: finito il bipolarismo Gollisti-Gauche, consumatasi la spinta propulsiva del Macronismo, che tuttavia non è archiviato, devono misurarsi con la sfida di costruire politiche di coalizione “à l’italienne”. Spero che le forze europeiste e di progresso sappiano essere solide, creative e – come è stato detto subito dopo il voto – “adulte”.

Grande è il disordine sotto il cielo d’America. L’attentato a Trump, l’abbandono forzato di Biden, la candidatura di Kamala Harris. C’è chi sostiene che i Democratici si sono condannati al suicidio elettorale e che la strada della Casa Bianca è spianata per “The Donald”.
Altro che sogno americano, con l’imperversare di Trump siamo all’incubo. Non ci sono strade spianate per nessuno negli States. Con una battutaccia direi che purtroppo, lì, vedo soprattutto armi spianate. In molti sensi. Faccio naturalmente gli auguri a Kamala Harris. Ma sogno una rivoluzione copernicana, che ha il nome di Michelle Obama.

Da giornalista. Come descriverebbe l’ambiente in cui trascorrerà i prossimi cinque anni?
Sono stato eletto in un luogo della democrazia reale e rappresentativa dove si può progettare, dibattere e fare. Una “babele ordinata” da princìpi saldi, a cominciare da quello di solidarietà, che mi è sommamente caro, Princìpi da custodire nella consapevolezza che non sono scontati e, come insegna il nostro presidente Sergio Mattarella, sono più che mai “da inverare”. Un luogo, soprattutto, nel quale si possono avviare e far avanzare processi politici e legislativi al servizio della vita, della dignità e del lavoro delle cittadine e dei cittadini europei nel nostro tempo funestato da guerre, disuguaglianze e sfida all’umano. Un altro grande, papa Francesco, ci ricorda che avviare processi di futuro vale molto di più dell’affannarsi per occupare spazi nel presente. So che è così. Fare politica, nell’Europa al bivio difficile e impegnativo di oggi, è cercare di onorare questo dovere.

26 Luglio 2024

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