Il monito del Colle
Mattarella condanna la destra: ira del Presidente della Repubblica per lo stato delle carceri
Mattarella contro “le condizioni strazianti” delle nostre prigioni inzeppate di detenuti e richiama Meloni e soci: meno forche, più rieducazione
Giustizia - di David Romoli

La lunga prolusione sulla libertà d’informazione pronunciata ieri da Mattarella sul tema dell’informazione era volutamente priva di accenti polemici. Come già fatto qualche settimana fa parlando di democrazia il capo dello Stato si è limitato a ricapitolare quel che dovrebbe essere ovvio per chiunque. A rendere quel discorso così affilato sono le parole in libertà che troppo spesso scappano ai rappresentanti della maggioranza e va da sé che di questo Mattarella fosse perfettamente cosciente, ma è questione che riguarda la maggioranza. In compenso il presidente voleva vibrare due colpi precisi diretti al governo e alla maggioranza nello specifico dell’attualità corrente: sulle carceri e sulla mancata nomina del quindicesimo giudice della Corte costituzionale. Sono due passaggi che il presidente ha voluto scrivere di suo pugno invece di limitarsi come al solito a dare indicazioni precise e ai quali teneva moltissimo. Peccato che, a differenza della difesa della libertà di stampa, moltissimi, e nella maggioranza proprio tutti, abbiamo fatto finta di non sentirlo.
Eppure raramente il presidente è stato così diretto, esplicito e appassionato. Citando la lettera dei detenuti di Brescia ha parlato di “descrizione straziante”, di “condizioni angosciose agli occhi di chiunque abbia sensibilità e coscienza”. È andato anche oltre, non essendo certo ignaro dello scontro interno alla maggioranza, risolto di fatto con la vittoria del fronte securitario che è riuscito a svuotare gli emendamenti di Fi. L’inquilino del Quirinale prova a indicare con molta nettezza la direzione opposta: “Vi sono in atto alcune proficue e importanti attività di recupero attraverso il lavoro. Dimostrano che, in molti casi, è possibile un diverso modello carcerario. È un dovere perseguirlo. Subito, ovunque”. Sergio Mattarella non troverà ascolto. Questa maggioranza non ha e non avrà mai il coraggio di sfidare gli umori peggiori, più securitari e forcaioli, di una parte dell’opinione pubblica che ritiene, non a torto, coincida spesso con il proprio elettorato. La formula della destra, ripetuta ieri più volte e da più voci è opposta, è la costruzione di nuove carceri. Ma sarebbe già un passo avanti se l’opposizione, oltre a protestare quando è appunto opposizione, si ricordasse delle proprie posizioni anche quando è maggioranza e sinora non è mai successo. Non si può dimenticare che in un’occasione a modo suo storica come il discorso di Giovanni Paolo II alla Camera, evento mai verificatosi prima, tutti applaudirono l’invito del pontefice ad affrontare la tragedia delle carceri con un’amnistia ma tutte le forze politiche si trovarono concordi al 100% sull’ignorare completamente le parole del Papa.
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Anche il secondo colpo diretto vibrato dal presidente rischia di non avere esiti concreti. Mattarella è letteralmente fuori di sé per la mancata elezione del quindicesimo giudice della Corte costituzionale. Lo ha definito addirittura “un vulnus alla Costituzione compiuto dal Parlamento”. La maggioranza ritarda l’elezione perché vuole procedere con la logica del “pacchetto”, cioè della spartizione. Il capo dello Stato ha messo il dito nella ferita: “Ricordo che ogni nomina di giudice – anche quando se ne devono scegliere diversi contemporaneamente consiste in una scelta rigorosamente individuale, di una singola persona meritevole”. In traduzione, è come aver detto che la maggioranza sta dimostrando una clamorosa assenza del pur minimo senso delle istituzioni. Anche il lungo intervento sulla libertà d’informazione era molto critico ma in modo sensibilmente diverso. Mattarella ha ricordato punto per punto la funzione centrale che occupa nelle democrazie “la documentazione di quel che avviene, senza obbligo di sconti” e anche il carattere costituzionale che la Carta assegna alla funzione dei giornalisti in base all’art. 21. Ma parole che hanno letteralmente fatto trasecolare tutti al Quirinale, come quelle pronunciate il giorno prima dal secondo cittadino dello Stato Ignazio La Russa, presidente del Senato, hanno reso quella lezione in sé quasi ovvia affilata come una lama. E Mattarella non ha finto di non saperlo. Il passaggio più specifico del suo discorso non permette dubbi: “Ogni atto rivolto contro la libera informazione, ogni sua riduzione a fake news, è un atto eversivo rivolto contro la Repubblica”.