Povera politca!
Gli statisti non esistono più, ora siamo in mano a burocrati e agit-prop
Kennedy in America, De Gaulle in Francia, Adenauer in Germania, Fanfani in Italia. Oggi siamo finiti con Trump, Vance, Metsola e von der Leyen
Editoriali - di Piero Sansonetti

Quando eravamo ragazzini ci occupavamo di politica anche alla scuola media. La politica era una cosa molto seria. E i personaggi della politica erano persone eccezionali. Ricordo che in seconda media mi diedero un tema sull’Europa. Eravamo ai primi passi. E ricordo anche in quell’anno chi erano i leader del mondo. Kennedy in America, De Gaulle in Francia, Adenauer in Germania, Fanfani in Italia. Il capo dell’Unione sovietica era Krusciov, che proprio quell’anno, dopo un drammatico braccio di ferro con Kennedy, aveva risolto la crisi dei missili di Cuba che aveva fatto tremare il mondo. Capo del governo israeliano era Ben Gurion. Il segretario generale dell’Onu si chiamava U Thant, era birmano ed ebbe un ruolo decisivo nel risolvere molte crisi gravissime, per esempio quella tra India e Pakistan che nel ‘63 sfiorarono la guerra atomica.
Che differenza c’è tra i leader di allora -, i nomi che vi ho citato -, e i capi politici di oggi? C’è un abisso. Sono personalità diversissime. Allora i capi della politica erano statisti. Si occupavano degli interessi dei propri paesi e anche del mondo. Qualcuno molto bene, altri meno, ma il loro compito era quello: governare lo Stato e immaginare il futuro di quello Stato. Oggi nessuno dei grandi leader mondiali è uno statista. Alcuni sono agit-prop, come Trump, come Giorgia Meloni, come Macron. Altri sono semplicemente burocrati, come von der Leyen o Scholz. O anche la Metsola che ieri è stata confermata presidente del Parlamento europeo. Se penso che nel ‘79 la prima presidente del Parlamento europeo fu Simon Weil, rabbrividisco. Poi ci sono personaggi come Putin e Netanyahu che sono veri e propri criminali di guerra. Ma questa non è una novità, purtroppo, nella storia dell’Occidente e dell’Europa. Le dittature, e i regimi illiberali ci sono sempre stati. Anche atroci, infami, come quelli di Hitler, di Mussolini, di Stalin, di Franco.
Come mai sono spariti gli statisti? Come mai oggi trionfano gli agit-prop? Non credo che sia una crisi antropologica. Credo che ci sia stato un progetto. Fondato sulla delegittimazione della politica. Che è venuta avanti per via dello sgomitare e dell’impancarsi di due nuovi poteri che negli ultimi trent’anni hanno in modo smisurato aumentato la propria influenza: quello giudiziario e quello dell’informazione. La politica, nell’immaginario collettivo, è passata dall’essere considerata una delle massime espressioni dell’attività intellettuale – al pari dell’arte, dell’eccellenza scientifica, della filosofia – al diventare marchio di infamia della pratichetta di sottogoverno, dell’imbroglio, dell’interesse personale. Da noi, in Italia, il rovesciamento del valore della politica è avvenuto in pochi anni. L’inchiesta Mani Pulite ne ha demolito la credibilità. Gli dei erano diventati i magistrati, che chiamavano il popolo in piazza a combattere contro i corrotti. E poi c’erano i semidei, i giornalisti, specialmente quelli apertamente al servizio delle Procure. Se per un giovane che usciva dalla scuola, negli anni 70, la politica era un mito, una vera aspirazione, per un giovane di oggi la politica, al massimo, è un ripiego. A quelli del baby boom se chiedevi: “vuoi fare il deputato o il chirurgo?” ti rispondevano, in maggioranza: “il deputato”. Oggi se a un ragazzo chiedi se preferisce fare politica o l’agente di commercio è certo che risponde convinto: “l’agente”.
In questo clima è andato in frantumi il castello della politica alta, colta, appassionata. Che teneva in un solo mondo, anche se amplissimo, gli studenti dell’autonomia operaia e i democristiani. I consiglieri comunali e i giornalisti, gli intellettuali e gli attivisti in fabbrica. C’era molta selezione. Ci volevano anni per conquistare un posto di influenza. C’era bisogno di fatica, di studio, di capacità di scrivere, di parlare, di spiegare. Serviva l’oratoria e la conoscenza dei problemi e anche della storia. Tutto questo non c’è più. E la marginalizzazione della politica ha portato sulla cima del potere l’economia. È lei che comanda, liberata finalmente dal dovere di rispondere alla politica e alla democrazia. E succede che un vecchio ragazzotto che per tutta la vita si è occupato solo di raccattare soldi – e che probabilmente se gli parli di Mc Carthy, o di Goldwater o di Mcgovern, oppure del regime di Vichy, ti guarda stupito pensando che stai elencando nomi di attori -, si trasformi in un eroe della politica, alzi il pugno chiedendo all’America di inchinarsi al suo potere e conquisti per la seconda volta la Presidenza degli Stati Uniti.
Sto parlando di Trump. Il quale quasi certamente sarà il prossimo capo del mondo. E che viene descritto come un eroe solo perché dopo l’attentato, prima si è accucciato e poi immediatamente si è alzato in piedi e ha gridato: “lottate, lottate”. È stato coraggioso? Può darsi. C’è chi è arrivato alla politica dando prove maggiori di coraggio. Passando anni in prigione. Ricordo ancora le immagini del Parlamento spagnolo, nel 1981, invaso da un gruppo di golpisti armati guidati da un certo colonnello Tejero, che sparavano con le rivoltelle. Gridarono: “Todos al suelo”. E tutti i deputati si accucciarono sotto i banchi. Come ha fatto Trump. Tranne due. Uno all’estrema sinistra, Santiago Carrillo, capo del partito comunista. E uno a destra, Adolfo Suarez, capo dei liberali. Restarono in piedi, se ne infischiano dei golpisti. E il colpo fallì anche per il coraggio del Re, Juan Carlos, che si comportò da statista, sfidò Tejero e riuscì a farlo arrestare. Trump, finora, ha solo dato prova di saper muovere l’assalto al Parlamento. Non di saperlo difendere. Lui è il capo degli Agit Prop. E dietro di lui si riconoscono i volti sorridenti dei Le Pen, di Salvini, di Orban…