Dopo il voto francese

Intervista a Matteo Orfini: “Le elezioni in Francia e Inghilterra hanno insegnato alla sinistra il valore del coraggio”

“Sbagliato discutere di modello inglese o francese: il punto è sapere intercettare la richiesta diffusa di discontinuità nella società, a partire dall’antifascismo. Fanpage dimostra che è un valore molto attuale”

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

10 Luglio 2024 alle 08:00

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Intervista a Matteo Orfini: “Le elezioni in Francia e Inghilterra hanno insegnato alla sinistra il valore del coraggio”

Matteo Orfini, parlamentare e membro della Direzione nazionale del Partito democratico: qual è il segno prevalente del voto francese e cosa dice alla sinistra italiana?
Il segno è la frenata del tentativo della destra di prendere la guida di uno dei principali Paesi fondatori dell’Europa. La sconfitta del Rassemblement National della Le Pen è indubbiamente un dato politico. Vedo che molti, soprattutto a destra, cercano di raccontare questa sconfitta come figlia di un trucco elettorale. Ma in Francia c’è il doppio turno. Le elezioni si fanno con le regole del gioco stabilite e condivise da tutti. È chiaro che in un meccanismo a doppio turno, non conta il risultato del primo. Per usare una metafora calcistica: in tempi di europei di calcio, il primo turno rappresenta il primo tempo di una partita che si decide alla fine, cioè al secondo turno. Conta il risultato finale, e in Francia il risultato finale dice che le forze che si sono opposte all’estrema destra si sono dimostrate largamente maggioritarie in Francia. Questo ovviamente non risolve tutti i problemi della Francia e della sinistra francese che però ha avuto un risultato molto importante. Lo hanno avuto forze legate al socialismo europeo e al Partito democratico. Mi riferisco ai socialisti francesi che in queste elezioni sono praticamente rinati. Nelle precedenti tornate elettorali erano messi male, fortemente indeboliti, quasi inesistenti. In queste legislative, hanno ripreso forza e centralità dentro il Nuovo Fronte popolare. Ora la sfida è costruire un governo, facendo sintesi tra visioni diverse che esistono tra le forze che hanno sconfitto la destra. Su questo lavoreranno e i primi segnali mi sembrano dettati dalla consapevolezza non soltanto del pericolo scampato, ma dalla necessità di dare alla Francia un governo riformatore.

Per quanto riguarda l’Italia?
Sono sempre abbastanza diffidente dal tentativo, che viene fatto quotidianamente, di trasferire valutazioni che riguardano un altro Paese sul nostro. Leggo anche dentro al Pd un dibattito su modello inglese o modello francese…Penso che sia un dibattito sbagliato e anche molto, molto superficiale. In politica ogni Paese ha la sua storia, le sue caratteristiche, la sua legge elettorale, le sue dinamiche e i suoi problemi. Il tema nostro non è scegliere il modello inglese o quello francese, ma costruire un modello italiano. Mi sembra che poi è quello che stiamo facendo. Tutto sommato, anche noi veniamo da una tornata elettorale molto positiva. Alle europee il Partito democratico è andato ampiamente al di sopra delle aspettative, dimezzando il distacco che aveva da Fratelli d’Italia alle politiche, e ha stravinto una tornata amministrativa che sulla carta si presentava molto difficile, riconquistando città importanti, strappandole alla destra. Più che dividerci su quale modello esterno scegliere, mi concentrerei sul costruire il nostro, cosa che stiamo provando a fare anche con qualche successo.

A proposito di transfer. In una recente intervista al Corriere della Sera, Giorgio Gori, neo europarlamentare Pd ed ex sindaco di Bergamo, ha sostenuto, riferendosi alle elezioni britanniche e al successo del Labour Party di Keir Starmer, che la sinistra vince se fa fuori i massimalismi. Siamo rimasti alla contrapposizione riformisti-massimalisti?
Evidentemente secondo qualcuno sono ancora categorie analitiche valide. Io le lascerei agli anni 90, quando ci dividevamo su questo. Il tema non è riformismo contro massimalismo, o viceversa. Il nuovo premier inglese, appena insediato, una delle prime cose che ha detto è che gli accordi per la deportazione di migranti in Ruanda erano da considerarsi morti e sepolti dopo la sua vittoria. Questa è una posizione che in Italia sarebbe considerata massimalista, radicale. È invece una delle prime dichiarazioni di un premier, Keir Starmer, considerato un riformista.
Noi abbiamo l’esigenza di costruire un progetto credibile, ma anche di dare una risposta all’enorme tema dell’astensionismo e dell’esclusione sociale e spesso anche nei percorsi di partecipazione. Chi è escluso dai processi produttivi si autoesclude, o almeno tante e tanti lo fanno, da quelli di rappresentanza, quindi non va a votare, non partecipa, perché non crede più che la politica possa dare delle risposte. È chiaro che la nostra soluzione non può essere quella del populismo di sinistra. Però c’è anche bisogno di risposte che intercettino la richiesta, diffusa, di radicalità e di discontinuità che c’è nella società. Se vuoi recuperare la fiducia di chi si è autoescluso, devi saper dimostrare che vuoi cambiare radicalmente quello che non ha funzionato.

Tornando alla Francia. Si dice, a ragione, che senza memoria non c’è futuro. La grande maggioranza dei francesi ha dimostrato di avercela ben viva la memoria storica. Hanno detto, come ha titolato a tutta pagina l’Unità, «Siamo tutti antifascisti». Non crede che questo tema in Italia sia alquanto sottovalutato o quanto meno banalizzato?
Non solo l’hanno detto, ma l’hanno detto in italiano. I cori cantati erano in italiano. E questa è la dimostrazione di quanto sia corretta la sua domanda, nel senso che quello che abbiamo visto in queste settimane, dimostra che da noi, soprattutto da chi governa, c’è una sottovalutazione. Noi siamo dentro ad un clima brutto, che si sta creando, in cui a fronte di fenomeni inquietanti, quelli emersi dall’inchiesta di Fanpage, ma anche tante aggressioni di stampo razzista o fascista, che ormai quotidianamente ci sono nel Paese, la risposta del governo, dei ministri e della destra, è stata sempre quella di minimizzare, di sminuire, di dire «Ma c’è anche altro», quando invece dovrebbe essere patrimonio condiviso che la violenza va rigettata e che il fascismo non deve avere cittadinanza nel nostro Paese. Io non sono tra quelli che ama urlare al fascismo, al pericolo del regime… Detto questo, è chiaro che è inquietante che la presidente del Consiglio ci abbia messo due settimane a rispondere su Fanpage e lo abbia fatto in modo abbastanza fiacco, che tre quarti del suo partito abbiano sminuito quanto accaduto, soprattutto di fronte al crescere di un clima pessimo nel Paese, in cui gli studenti vengono aggrediti di ritorno da una manifestazione, e musicisti e altri vengono picchiati per strada… La sensazione è che non avere preso con forza le distanze da questi fenomeni, fa sentire autorizzati gli scemi in circolazione ad andare per strada a picchiare. Noi questo clima dovremmo stroncarlo, insieme. I primi a dire che fascismo e violenza non devono avere diritto di cittadinanza, dovrebbero essere il ministro degli Interni, la presidente del Consiglio e i principali leader dei partiti di centrodestra. Invece così non è. È sempre una sfilza di «Sì, ma», di «Sì, però» che alla fine servono per sminuire la gravità di certi fatti, se non addirittura a coprirli.

In questo richiamare alla memoria, c’è anche il possente grido d’allarme della senatrice Liliana Segre.
Le cui parole sono strazianti per chi ha a cuore la democrazia. Quelle parole dimostrano il dolore di chi ha già vissuto una stagione terribile, atroce, drammatica della nostra storia e si chiede se alcuni di quei comportamenti e di quei rischi sarà obbligata a vederli tornare. Dobbiamo dare tutti una risposta forte, non formale ma sostanziale.

Guardando ai nuovi equilibri nel nuovo Parlamento europeo e alla partita aperta sulle nomine più importanti nelle cariche europee, anche alla luce dei risultati delle elezioni francesi, l’Italia ne esce indebolita?
Non c’è dubbio. L’Italia avrà un ruolo importante a prescindere: siamo un Paese fondatore e l’Europa non può fare a meno di noi. Detto questo, va subito aggiunto che non c’è dubbio che la strategia seguita dalla Meloni ha isolato completamente il Paese. È partita a gennaio dicendo che avrebbe votato la von der Leyen, poi è andata in campagna elettorale spiegando che avrebbero vinto le destre estreme e quindi che l’Europa sarebbe cambiata. Questo non è avvenuto, e dopo le elezioni ha cercato di giocare una partita guidando l’estrema destra europea, e questa è già una scelta grave, perché è uno spostamento nell’estremismo antieuropeo del nostro Paese da parte di chi lo guida. Meloni si è messa con persone e Paesi che vogliono distruggere l’Europa invece di rafforzarla. Ed è riuscita nel “capolavoro” di dividere pure quelle forze. L’operazione Salvini-Le Pen, con il gruppo dei “Patrioti”, isola persino l’estrema destra di Meloni. Siamo di fronte a un disastro tattico, strategico e politico da parte della presidente del Consiglio, che fa pagare un prezzo molto alto all’Italia che oggi è residuale nella discussione europea. C’è poi un’altra questione, mica da poco, da segnalare…

Quale?
Si dice sempre, con l’indice accusatore puntato, che «Voi a sinistra avete politiche differenti sulla politica estera». Faccio notare che l’Italia ha un governo costituito da tre forze. Forza Italia è in prima linea nel sostegno della von der Leyen a presidente della Commissione europea, come tutto il Ppe di cui Forza Italia fa parte. Salvini costruisce il gruppo dei “Patrioti” sulla linea “mai la von der Leyen”. Meloni cambia posizione ogni giorno. Le tre forze della maggioranza che governa il Paese, hanno tre posizioni diverse su una questione decisiva come è quella degli equilibri europei.

A proposito di collocazione europea. Il Movimento5Stelle ha deciso di far parte nell’Europarlamento del gruppo “Left”.
Come sa, ne abbiamo parlato tante volte, in questi anni sono stato uno di quelli che ha criticato di più il Movimento5Stelle e anche il presidente Conte, per l’ambiguità della loro collocazione, per il trasformismo di questi anni. Devo riconoscere che con questa scelta c’è una evoluzione molto importante del M5s. Il fatto che si scelga una collocazione chiara nel campo progressista, non a parole ma con l’adesione a un gruppo europeo, è un fatto importante. E lo è anche perché per quella scelta si paga un prezzo. Le scelte convenienti sono quelle più facili. Con questa scelta, il presidente Conte apre di fatto un fronte interno, perché, come è noto, non tutto il Movimento5Stelle è convinto di questa decisione e probabilmente mette in conto anche di pagare un prezzo elettorale ad una scelta di campo così definita. Questo mi fa dire che è una scelta seria, vera, che va apprezzata, in quanto li colloca in una prospettiva definitivamente progressista.

10 Luglio 2024

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