La storia
Giacomo Passeri in carcere in Egitto, detenuto da 11 mesi e torturato per una dose di marjuana

Da circa undici mesi si trova in carcere in Egitto, dove è stato arrestato lo scorso agosto, mentre era in vacanza nel Paese, per possesso di marijuana. È la vicenda che coinvolge un 31enne italiano di Pescara, Luigia Giacomo Passeri.
Una storia che sta emergendo solamente negli ultimi giorni grazie all’interessamento di alcuni giornali locali abruzzesi, alle denunce dei familiari di Passeri ea duna raccolta fondi messi in piedi dai quattro fratelli di Giacomo per pagare la parcella da 40mila euro dell’avvocato egiziano. La storia di Giacomo è finita anche in Parlamento, grazie ad una interrogazione presentata da Marco Grimaldi, vicecapogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera.
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Grimaldi in particolare ha chiesto l’intervento del governo Meloni tramite il ministro degli Esteri Antonio Tajani e dell’ambasciata italiana al Cairo, per “garantire assistenza e supporto e muoversi perché si svolga un equo e giusto processo in tempi celeri” ed evitare “altri casi Salis, tantomeno altri Regeni”.
La storia di Giacomo Passeri
Passeri, che viveva a Londra, era in vacanza al Cairo quando è stato arrestato il 23 agosto dello scorso anno. I suoi fratelli hanno raccontato che Giacomo è scomparso, salvo poi riuscire a telefonare alla famiglia raccontando di essere in carcere, arrestato per possesso di droga, una piccola quantità di marijuana per consumo personale che invece per le autorità egiziane farebbe configurare il reato di possesso e traffico di sostanze stupefacenti, almeno secondo i pochi documenti scritti in arabo che la famiglia Passeri è riuscita solo recentemente ad ottenere dall’Egitto.
In alcune lettere inviate ai genitori e ai fratelli, l’ultimo risalente a giugno ma recapitata soltanto martedì 9 luglio, Giacomo ha raccontato lo stato di detenzione in cui è costretto nel carcere di Badr, a nord della capitale: Giacomo ha denunciato di esser stato “torturato”, “rinchiuso per ore in una cella piena di feci, urine, scarafaggi, con le manette talmente strette da non far più scorrere il sangue nelle dita”, quindi trasferito in una cella “con dodici detenuti accusati di omicidio, tentato omicidio”, quindi operato di appendicite salvo poi essere “abbandonato senza cure per giorni”.
La famiglia tema gesti estremi di Giacomo, autolesionismo o peggio. Anche perché la tenuta fisica e psicologica del 31enne detenuto da 11 mesi è al limite: “Non ce la faccio più, non mi fido di nessuno, ho paura, non riesco più a stare qui come un topo di fogna, non so se esco vivo da questa situazione”, l’allarme lanciato da Giacomo nella sua lettera.
Il processo a Giacomo Passeri
Undici mesi di prigione anche perché lo svolgimento del processo è stato a dir poco ambiguo. Le udienze, come raccontato dai familiari del 31enne, continuano a essere rimandate perché i testimoni dell’accusa non si presentano, facendo allungare i tempi.
C’è poi la questione dei costi. Andrea, uno dei quattro fratelli di Giacomo, ha avviato lo scorso giugno una raccolta fondi per mettere insieme i 40mila euro necessari per pagare l’avvocato egiziano che sta seguendo il caso e gestendo le comunicazioni tra Giacomo e la famiglia. Nel post pubblicato per la raccolta fondi ha scritto che è una cifra alta ma più abbordabile rispetto a quella che avrebbe chiesto l’ambasciata italiana, circa 60mila euro.