Il progetto della premier
Meloni spalle al muro: il centro la combatte, la destra la isola in Europa
La nascita del gruppo dei Patrioti per l’Europa lascia Giorgia e i conservatori rimasti con il cerino in mano. E Tajani esulta: “Senza i moderati si perde”
Politica - di David Romoli

Lieto evento, peraltro atteso e annunciato, nella destra europea. Il gruppo dei Patrioti per l’Europa è nato ieri: sono 84 e si affermano come terzo gruppo più forte nell’Europarlamento dopo Popolari e Socialisti, scippando il posto ai Conservatori di Giorgia. Potrebbero crescere ancora a breve perché il passaggio del Pis polacco da Ecr al nuovo gruppo è un’eventualità da non escludersi affatto. La delegazione più forte all’interno del nuovo gruppo è quella di Rassemblement National e la presidenza spetta pertanto a Bardella, fresco di batosta. Seguono gli ungheresi di Fidesz e al terzo posto c’è la Lega con 8 eurodeputati, tra i 6 vicepresidenti quello targato Lega è il generale Vannacci.
Nella conferenza stampa di presentazione tutti si sono sbracciati per assicurare che i rapporti con la premier italiana e i suoi Conservatori restano idilliaci. “Non chiudiamo la porta a una collaborazione tra Rassemblement e FdI. Il nostro non è un gruppo monoblocco e ci sono sfumature diverse tra le varie delegazioni nazionali”, ha assicurato l’eurodeputato francese Garraud a nome dello stesso Bardella. “Meloni non si sente tradita e il cameratismo tra noi è forte come prima”, giurano gli spagnoli di Vox, che in realtà Giorgia la hanno appena mollata per il nuovo amore. Anche Borchia, a nome della Lega, garantisce che non ci sono stati “sgarri” nei confronti dei Conservatori. La realtà lo smentisce ma sono cose che si devono dire. In realtà tra gli obiettivi del nuovo gruppone c’era e c’è ancora proprio il mettere alle corde il progetto di Meloni, quello del dialogo tra la destra e il Ppe. Se la premier italiana mira a proporsi come cerniera tra la destra e il Ppe, il grosso della medesima destra si adopera invece per costringerla a scegliere tra l’arruolamento nelle file radicali dei Patrioti, dove tutti segnalano che le porte sono sempre aperte, e una posizione a forte rischio di trasformarsi in appendice del Ppe.
La sconfitta in Francia però ha guastato la festa e almeno in parte rotto l’accerchiamento intorno alla premier italiana. Le elezioni di domenica dovevano dimostrare che a rompere il cordone sanitario ci pensano gli elettori senza più bisogno di sdoganamenti o acrobazie diplomatiche come quelle in cui si produce Giorgia. Ha invece rivelato una realtà opposta, che Forza Italia non manca di esaltare. “La destra da sola è condannata a perdere. L’unico antidoto è l’alleanza con un centro forte”, giubila Tajani. Un discorso simile, pur se non identico, potrebbe fare anche Giorgia: senza dialogo e mediazioni con i Popolari il gruppone di destra è condannato al ghetto, all’isolamento, alla irrilevanza. D’altra parte, però, le elezioni hanno rafforzato Macron, che in Europa è il vero regista della manovra che ha isolato e umiliato la premier italiana e ciò non la aiuta certo nel tentativo di strappare un commissario e soprattutto deleghe tanto rilevanti da permetterle, il 18 luglio a Strasburgo, di votare per Ursula von der Leyen senza per questo apparire, ed essere, subalterna al Ppe.
Ma proprio da quella partita dipende il peso che Meloni avrà domani in Europa: se schiacciata tra una destra più radicale di lei e un centro che di lei non ha bisogno oppure se in grado di riproporsi come unica leader in grado di mettere le due realtà in comunicazione e di indicare pertanto alla destra la via per uscire dal labirinto dell’isolamento. Dalle prime linee di FdI si dicono convinti che ora, senza più i duri all’interno del gruppo Ecr, la trattativa sarà molto più facile. Ma con un gruppo più debole e un Macron rinsaldato e deciso a giocare duro tutto potrebbe essere invece molto più difficile.