I candidati Ue
Nomine UE, von der Leyen decide senza la Meloni: Antonio Costa presidente e Kaja Kallas agli ‘esteri’
Il Consiglio europeo si riunirà giovedì, ma i sei negoziatori annunciano l’accordo sui vertici Ue trovato senza la premier. Presidenza a Costa
Esteri - di David Romoli
I sei negoziatori dei partiti della “maggioranza Ursula” bruciano i tempi. Senza aspettare la riunione del Consiglio europeo che, giovedì e venerdì prossimi, dovrà indicare ufficialmente i candidati per i vertici istituzionali europei, fanno filtrare la notizia di aver trovato l’accordo sui nomi, riuniti in videoconferenza. Per i popolari c’erano il premier polacco Tusk e quello greco Mitsotakis, per i socialisti il cancelliere Scholz e lo spagnolo Sanchez, per i liberali Macron e l’olandese Rutte. Confermano Ursula von der Leyen per la successione a se stessa come presidente della Commissione europea, senza subordinate o alternative. Il Ppe è tassativo.
La diatriba sulla presidenza del Consiglio europeo è risolta solo a metà. Il Pse aveva indicato l’ex premier portoghese Costa e sarà in effetti lui ma la richiesta del Ppe, che reclamava una staffetta a metà mandato, è accolta solo in parte. Costa resterà in carica per due anni e mezzo, poi si valuterà a seconda della situazione. Un rinvio. Alta commissaria per la politica estera sarà come previsto la premier estone Kaya Kallas, liberale. Manca un nome per la presidenza del Parlamento ma solo perché la scelta è delegata al Ppe che indicherà la maltese Roberta Metsola. Ma solo per i primi due anni e mezzo, come da tradizione, poi cederà il posto a un socialista.
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Il problema, già nella cena fallita di Bruxelles di otto giorni fa non erano però i nomi e neppure il braccio di ferro sulla staffetta alla presidenza del Consiglio. Era Giorgia Meloni, in quanto presidente del gruppo dei Conservatori. Macron, Scholz e l’ala dei popolari rappresentata da Tusk vogliono che con la destra, anche quella meno estrema di Giorgia, non ci siano trattative né rapporti di sorta. Il grosso del Ppe era ed è di parere opposto. La quadratura del cerchio è un classico espediente diplomatico, dunque fondamentalmente ipocrita. I sei hanno deciso senza consultare la reietta di Roma, soddisfacendo così le esigenze di Macron e Scholz. Subito dopo però hanno telefonato alla medesima reproba, però nelle sue vesti di premier italiana, per garantire che all’Italia sarà assegnato un commissario importante, probabilmente con tanto di vicepresidenza della Commissione. I particolari, Meloni dovrebbe discuterli direttamente con l’amica Ursula. Salvo ripensamenti il commissario italiano sarà Raffaele Fitto e la sua promozione a Bruxelles non implicherà rimpasti, parola che Meloni detesta e teme. I suoi incarichi, in particolare la gestione del Pnrr, verranno divisi tra vari ministeri e il Pnrr approderà a Chigi, nelle mani della presidente e dei suoi sottosegretari. Il voto di FdI per von der Leyen, quando il 18 luglio si esprimerà il Parlamento europeo, non mancherà.
La partita però non è chiusa. Il gruppo dei socialisti fa sapere che i nomi vanno bene però “non a scatola chiusa”. Vogliono sapere prima quale sarà la strategia politica dei medesimi vertici istituzionali, insomma dove intendano spingere l’Unione, e stessa risposta attende, sulla sponda opposta, la premier. I popolari sono decisi a spingere la Ue verso destra su due temi fondamentali: l’immigrazione, secondo una linea praticamente identica a quella di Meloni, e il no fermo a tutte le richieste dei verdi, accusati di “ecologismo fondamentalista”. Ma una presidente eletta senza i Verdi, cioè appesa all’ “appoggio esterno” di una parte di Ecr, e una commissione schierata sulla linea Meloni in materia di immigrazione significherebbe una maggioranza di destra non dichiarata ma praticata con il Pse nella ingrata parte della stampella. Accettarlo per i socialisti, per quanto in ginocchio siano oggi, non sarebbe facile.