Crisi alimentare: il Rapporto

Con le guerre e i muri è tornata la fame: così 282 milioni di persone rischiano di morire

La globalizzazione aveva avviato un generale miglioramento delle condizioni di vita. Poi “il particolare” ha prevalso quasi ovunque sul “globale”

Cronaca - di Astolfo Di Amato

8 Maggio 2024 alle 18:30

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Con le guerre e i muri è tornata la fame: così 282 milioni di persone rischiano di morire

Il rapporto globale sulle crisi alimentari 2024, redatto dal Food Security Information Network e pubblicato dalla Rete Globale contro le Crisi alimentari, dà la notizia, secondo quello che riferisce l’ANSA, che per il quinto anno consecutivo è cresciuto nel mondo il numero delle persone non solo in una condizione di povertà assoluta, ma che addirittura sono costrette ad affrontare alti livelli di acuta insicurezza alimentare.

In altre parole, è aumentato il numero di coloro che quotidianamente rischiano di morire per fame. La causa prima di quanto sta avvenendo va individuata sia nei conflitti e sia nei conseguenti shock economici, che stanno drammaticamente segnando gli anni in corso.

Una ulteriore causa è costituita dagli eventi metereologici estremi, che sono progressivamente divenuti più frequenti e più intensi. L’effetto è che, oggi, quasi 282 milioni di persone sono in pericolo di morte per fame. Vanno fatte alcune riflessioni.

All’indomani della caduta del muro di Berlino, e con esso di molti ideologismi, vi fu la naturale ricerca, nel mondo occidentale, di nuove linee di distinzione tra destra e sinistra. Nella confusione che ne è seguita, la sinistra moderata si è posta al fianco della globalizzazione e della finanza, mentre la destra ha mostrato maggiore sensibilità verso i particolarismi nazionali e locali.

Emblematica di quanto accaduto la recente storia americana, che ha visto i giganti della Silicon Valley, campioni della globalizzazione, e le grandi strutture finanziarie appoggiare costantemente e pregiudizialmente i democratici, mentre imprese manifatturiere tradizionali e produttori di petrolio hanno appoggiato i repubblicani.

Dopo alcuni anni di netta prevalenza, sul piano del consenso, delle forze favorevoli alla globalizzazione, occorre registrare, in tutto il mondo occidentale, un netto recupero, che spesso finisce per coinvolgere la maggioranza degli elettori, della destra più sensibile ai particolarismi nazionali e locali (il cd. sovranismo).

Tale recupero è dovuto al fatto che uno degli effetti della globalizzazione è stato l’aumento delle diseguaglianze interne ai singoli paesi. Questo perché la globalizzazione ha reso possibile il trasferimento di interi comparti produttivi da un paese all’altro e tale trasferimento è stato guidato in larghissima misura dalla maggiore convenienza della remunerazione del lavoro collocato nei paesi emergenti.

Il fenomeno non ha riguardato solo il lavoro scarsamente qualificato: si pensi a quei paesi, come l’India, che formano in gran numero professionisti intellettuali, come medici e informatici, altamente specializzati.

Una delle conseguenze è stata che anche la classe media, un tempo spina dorsale delle democrazie liberali, è stata oggetto di un processo di proletarizzazione. Così è accaduto che i primi sono divenuti più ricchi e tutti gli altri più poveri.

A questo primo fattore di disagio sociale, si è accompagnata una gestione del fenomeno migratorio a dir poco superficiale. La politica delle porte aperte è stata perseguita senza darsi carico della circostanza che, senza una adeguata attenzione alla necessità di integrazione, la società sarebbe stata attraversata da tensioni, e conseguenti fratture, ancora più profonde e che per di più sarebbero gravate soprattutto sugli ultimi.

Tutto questo ha fatto sì che, in una sorta di avanzata inarrestabile, il “particolare” ha sopravanzato, quasi dappertutto, il “globale”. Anche laddove questo non è avvenuto, la ricerca del consenso ha comunque spinto tutte le forze politiche, anche quelle di sinistra moderata, a prestare maggiore attenzione alle esigenze del particolare. Sono tornati i muri e, con essi le guerre. Si è anche detto che è tornata la “storia”.

Il Rapporto del Food Security information Network ci dice che con la “storia” è tornata anche la fame. Che, così, si accompagna alla distruzione e alla morte, che portano le guerre. Sono tutti elementi che consentono di fare un bilancio, non più provvisorio, degli effetti del ritorno alla preminenza del “particolare”.

La globalizzazione aveva avviato un percorso di generalizzato miglioramento delle condizioni di vita dell’uomo in tutto il pianeta. Basti dire che, se nel 1989 il tenore di vita in paesi come la Francia e la Germania era venti volte superiore a quello di paesi come l’India e la Cina, oggi quel divario per effetto della globalizzazione si è ridotto di quasi due terzi.

Le diseguaglianze tra i vari paesi sono diminuite drasticamente e, soprattutto, centinaia di milioni di persone sono state sottratte alle condizioni di povertà assoluta, nelle quali hanno vissuto i loro padri.

I dati sull’incremento del numero di coloro che oggi sono esposti al rischio di morte per fame indica che l’inversione di tendenza, che si è registrata nel mondo negli ultimi anni, può portare a conseguenze disastrose, anche laddove non si verificasse l’ipotesi estrema dell’uso di armi devastanti per l’intera umanità.

Certamente la globalizzazione ha avuto momenti di sviluppo selvaggio, che hanno lasciato ferite non rimarginate: si pensi alle offese all’ambiente dei paesi più poveri e all’aumento, cui si è accennato, delle diseguaglianze nei paesi più ricchi.

Le guerre e la fame in aumento indicano, tuttavia, che è una strada che, nell’interesse dell’umanità, non può essere abbandonata. Vanno certamente corretti gli abusi che vi sono stati, ma i fatti confermano una comunanza nel destino dell’umanità, che chi si concentra sul particolarismo spesso non riesce a vedere.

8 Maggio 2024

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