Il nuovo sequestro
Il decreto Piantedosi e la guerra alle Ong: fermo amministrativo per la Sea Eye 4
Fermo amministrativo per la nave tedesca “colpevole” di aver salvato 144 naufraghi, di cui 40 minori. L’accusa è di non averli consegnati agli aguzzini libici
Editoriali - di Angela Nocioni
Anche la SeaEye4 è stata sequestrata dallo Stato italiano. Fermo amministrativo nel porto di Reggio Calabria dove la nave tedesca aveva chiesto il permesso di sbarcare – con i 144 naufraghi tra cui 40 minori salvati negli ultimi giorni – per poter fornire migliori cure a terra a due bambini di 6 e 12 mesi in gravi condizioni.
L’accusa è sempre tragicamente quella di non aver obbedito alla guardia costiera libica. La dinamica dei fatti si ripete sempre uguale: l’equipaggio compie il salvataggio in acque internazionali, i miliziani libici che compongono la guardia costiera non rispondono al telefono, se e quando rispondono di solito non sono in grado di comunicare in nessuna lingua internazionale e anche quando si riesce a comunicare con loro in una lingua che comprendono non danno indicazioni attendibili per l’operazione di soccorso.
A parte il fatto che loro non soccorrono mai nessuno, sono pagati non per soccorrere ma per acciuffare i naufraghi e riportarli nei lager libici dai quali si esce o morti o dopo aver pagato soldi, malmenati e violentati, a una lunga catena di agenti vari.
Nonostante ciò sia noto da molto tempo, i Tar lasciano che si applichi senza batter ciglio il decreto Piantedosi, dichiarato nei fatti illegale da varie sentenze di tribunali italiani che lo stanno smontando pezzo a pezzo.
La catena di provvedimenti di fermo delle navi di soccorso delle ultime settimane è probabilmente una reazione a quelle sentenze in difesa di chi i naufraghi li salva.
Il provvedimento di fermo è un atto assai meschino perché non solo blocca per 20 giorni la nave in porto impedendole di fare salvataggi, non solo multa la ong per migliaia di euro, ma può arrivare a bloccare la nave per due mesi in caso di cumulo di infrazioni.
In questo caso la decisione del sequestro di due mesi la deve prendere il prefetto che così si assume personalmente la responsabilità di lasciare per due mesi uno specchio di mare con continui naufragi in mano alle scorribande dei miliziani libici.
Impedendo salvataggi e togliendo di mezzo preziosi testimoni. Per quanto riguarda la SeaEye fermata a Reggio Calabria il prefetto è Vaccaro.
Stessa sorte è toccata alla nave Sea Watch5. Dopo il salvataggio di 56 persone in difficoltà in mare in acque internazionali il 6 marzo, è stato deciso il fermo per 20 giorni.
Si tratta dell’equipaggio che ha fatto a turno nel coprire di ghiaccio il corpo di un ragazzo di 17 anni morto a bordo perché Italia, Malta e Tunisia si sono rimpallate troppo a lungo le responsabilità dell’evacuazione medica. Lui nel frattempo è morto.
La Guardia costiera italiana arrivata a prelevare persone in condizioni pessime si è rifiutata di prendere il corpo del ragazzo e quindi all’equipaggio non è restato altro che tentare di freddare il cadavere a mano fino all’arrivo a Pozzallo.
Sabato pomeriggio alla nave di Emergency, Life Support è stata negata la possibilità di intervenire in aiuto di 40 naufraghi arrivati sulla piattaforma gas tunisina Miskar.
Dopo aver ricevuto un mayday relay da parte di Sparrow 4, un aereo di Frontex che aveva individuato 40 persone a bordo della piattaforma gas tunisina Miskar, nel Golfo di Gabes, in acque internazionali, in zona Sar maltese (la zona Sar è l’area in acque internazionali in cui teoricamente il coordinamento dei soccorsi è affidato allo Stato più vicino), teoricamente perché sia Tunisia che Libia che Malta non coordinano quasi mai nulla e qualsiasi nave abbia notizia di un rischio naufragio in corso ha invece il dovere di effettuare prima possibile il salvataggio, evitando respingimenti collettivi illegali verso paesi che non rispettano i diritti umani.
E la Libia e la Tunisia sono tra questi. “La Life Support, a poche miglia nautiche di distanza, si è recata sul posto e ha constatato la presenza di persone sulla piattaforma vicino all’acqua e un gommone distrutto alla deriva – spiega Emergency – dopo aver comunicato con Sparrow 4, ha chiamato via radio la piattaforma Miskar, ottenendo l’autorizzazione per avvicinarsi. La Life Support ha anche cercato di mettersi in contatto con il Centro di coordinamento soccorsi di Malta e quello di Roma senza avere risposta. Dopo aver messo in acqua i due gommoni di soccorso, arrivati a poche centinaia di metri dalla piattaforma, la Life Support ha ricevuto un’altra chiamata dalla piattaforma Miskar che ha negato il permesso di avvicinarsi, contrariamente alle indicazioni precedenti. Miskar ha raggiunto che una nave della Marina nazionale tunisina si stava avvicinando alla piattaforma per fare il soccorso”.
A quel punto, dice Emergency “i due rhib sono stati richiamati verso la Life Support. Il comandante ha comunicato alla piattaforma che saremmo stati in grado di fornire assistenza medica se necessario. Miskar ha rifiutato l’offerta, chiedendo però alla Life Support di trasferire le circa 40 persone dalla piattaforma all’assetto della Marina tunisina in arrivo. La Life Support ha comunicato che non avrebbe effettuato questa manovra perché la Tunisia non è un Paese sicuro dove riportare i naufraghi. Una nave si è avvicinata alla piattaforma poco dopo il tramonto. La Life Support ha continuato le operazioni di ricerca e soccorso tutta la notte, rimanendo in prossimità della piattaforma con il meteo in continuo peggioramento e cercando di mettersi in contatto con Miskar senza ricevere mai una risposta. Al momento – conclude Emergency – non sappiamo se le persone sono state portate a bordo dell’assetto navale durante la notte o se si trovano ancora sulla piattaforma Miskar: abbiamo chiesto alle autorità competenti l’esito delle operazioni di soccorso e dove sono stati portati i naufraghi senza per ora avere risposta”.
Non c’è traccia nemmeno delle 85 persone di cui Alarm Phone aveva ricevuto l’Sos sabato scorso. Non si sa se sono affogate o se sono state prese dai libici e deportate nei lager.