Dopo i fatti di Pisa
Meloni all’attacco del Quirinale, strappo con Mattarella
“Togliere sostegno alle forze dell’ordine è pericoloso”, è l’intemerata contro il Colle. Schlein: “Inaccettabile”. E Piantedosi difende in aula la polizia
Politica - di David Romoli
Il presidente della Repubblica è furioso ma non lo darà a vedere. Su chi fosse l’oggetto del durissimo, quasi inaudito attacco di Giorgia Meloni non ha dubbi: lui stesso. Di dubbi del resto non possono essercene.
“Togliere il sostegno delle istituzioni a chi ogni giorno rischia la propria incolumità per garantire la nostra è molto pericoloso”, aveva detto la premier e di istituzioni che abbiano preso posizione sui pestaggi di Pisa e Firenze ce ne sono due sole: il governo della stessa Giorgia e il Quirinale.
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Inutile specificare che Mattarella, dati il carattere e lo stile che adotta da sempre, non si infilerà in una rissa con la presidente del Consiglio ma lo sgarbo lascerà il segno. Non che sia la prima volta che tra il governo di destra e il capo dello Stato si innescano tensioni. Ma sinora era sempre stata messa la sordina, erano state tenute sotto traccia. Stavolta invece la premier ha deciso di uscire allo scoperto e in modo clamoroso.
Tutt’altro registro adotta il ministro degli Interni. Piantedosi conosce le regole della diplomazia, sa essere accorto come un democristiano della vecchia scuola. Nell’informativa in Parlamento sulle manganellate di Pisa e Firenze, prima a Montecitorio, poi a palazzo Madama, fa il massimo sforzo di equilibrio: un colpo al cerchio, l’altro alla botte.
Soprattutto è attentissimo a evitare anche il minimo sospetto di polemica col Quirinale e per sottolinearlo adopera lo stesso termine usato da Sergio Mattarella: “Quando si arriva al contatto fisico con ragazzi minorenni è sempre una sconfitta”.
Del resto, confessa di essere rimasto lui stesso “turbato” dalle immagini delle manganellate sugli imberbi e conferma che gli accertamenti del caso sono in corso, “rigorosi e trasparenti”. Esaurite le dichiarazioni di rito, il ministro passa alla difesa delle forze dell’ordine che “hanno il diritto di non subire processi sommari” e subiscono “un clima di crescente aggressività nei loro confronti”.
L’attacco alla Volante di Torino del giorno prima da parte di un gruppo di militanti che provava a liberare un migrante senza permesso e dunque destinato al rimpatrio capita a fagiolo. E comunque le manifestazioni in questione erano “in totale violazione della legge”. Il percorso non era stato comunicato, i tentativi della questura di mettersi in contatto con gli organizzatori del corteo erano rimasti tutti senza risposta né esito di sorta.
Nella sostanza Piantedosi difende le forze dell’ordine, resta allineato sulle posizioni del governo, o più precisamente della premier. Ma lo fa con tatto e felpatezza. Gli interventi delle forze politiche in aula sono molto più polarizzati e schierati di quanto i politici, per la maggior parte, non mostrino nelle dichiarazioni in tv o alle agenzie di stampa.
La destra fa quadrato intorno alle intoccabili forze dell’ordine e al Senato la “moderata” azzurra Licia Ronzulli non usa toni diversi da quelli del truculento Salvini, accusa l’opposizione di aver armato la mano degli aggressori di Torino.
A sinistra la linea è opposta. Schlein considera “inaccettabile” che Piantedosi non abbia espresso solidarietà agli studenti picchiati. Avs martella con la richiesta di numero identificativo e il capogruppo al Senato enumera i Paesi europei nei quali è già applicato: se non proprio tutti quasi.
Ma le parole delle forze politiche in questo caso sono disinnescate in partenza a evitare il rischio grosso, quello di un nuovo scontro con il Colle, ci pensa il “democristiano” Piantedosi, che di sfuggita informa anche sull’assunzione di 15mila nuovi effettivi nelle forze dell’ordine nel 2023 e comunica la disponibilità della premier a incontrare subito i sindacati di polizia per discutere il rinnovo del contratto: “Le esigenze della polizia sono una priorità del governo”.
Ma l’accortezza del ministro non cancella l’intemerata della premier, che peraltro non è facilmente spiegabile. Sinora, infatti, evitare quanto più possibile scontri con il presidente era stato uno dei suoi princìpi guida. Vero è che un discorso non molto diverso si potrebbe applicare anche allo stesso presidente.
Mattarella aveva evitato di entrare apertamente in contrasto anche in casi più gravi di questo, nella convinzione che un clima conflittuale tra governo e Quirinale fosse un danno per il Paese. Qualcosa è cambiato.
Il presidente ha mosso una critica durissima a proposito di una vicenda certo grave ma non macroscopica. La premier ha replicato alzando i toni oltre misura. Qualcosa è cambiato e se ci si chiede che cosa la risposta può essere una sola: la riforma costituzionale, il premierato.
Mattarella non ha intenzione di esprimersi in materia: significherebbe forzare i limiti del suo mandato in maniera per lui inaccettabile. Ma non è un segreto per nessuno che non apprezzi affatto la riforma della destra e probabilmente non si esagera affermando che la considera una sentenza capitale per la Costituzione del 1948.
È ben consapevole di quanto centrale sia, negli argomenti di quello che sarà il Fronte del No, la limitazione dei poteri del Quirinale e di come proprio quell’argomento sia quello che mette più a rischio l’approvazione del premierato nel referendum, sempre che il premierato passi indenne il vaglio del Parlamento.
Anche da questo punto di vista il presidente non può esporsi direttamente. In compenso può dimostrare nei fatti, intervenendo anche in circostanze non epocali come gli insulti contro la premier nei cortei o le manganellate di troppo, quanto fondamentale sia la presenza di un garante anche nella dimensione di una salvaguardia quotidiana della democrazia.
Che sia davvero questa la strategia del Quirinale, di certo è ciò che la premier teme e che spiega l’intervento più ruvido e aggressivo da quando ha vinto le elezioni. Insomma, col premierato di mezzo il barometro, nei rapporti tra governo e Colle, è destinato a segnare tempo pessimo. Forse tempesta.