I patti sui migranti

“Libia, Turchia e Albania: accordi che violano la Costituzione”, parla monsignor Gian Carlo Perego

“Sono paesi che non hanno firmato la Convenzione di Ginevra. L’articolo 10 della nostra Carta, che tutela il diritto d’asilo, viene negato. Le risorse del patto con Tirana si sarebbero potute usare per l’accoglienza diffusa sul territorio”

Interviste - di Umberto De Giovannangeli - 21 Febbraio 2024

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“Libia, Turchia e Albania: accordi che violano la Costituzione”, parla monsignor Gian Carlo Perego

Un j’accuse possente, emozionante, documentato. A lanciarlo, nell’intervista a l’Unità è monsignor Gian Carlo Perego, Arcivescovo di Ferrara-Comacchio, Presidente Cemi (Commissione per le migrazioni della Cei) e Fondazione Migrantes, la cui finalità è indicata dall’articolo 1 dello Statuto: “La Fondazione Migrantes è l’organismo costituito dalla Conferenza Episcopale Italiana per accompagnare e sostenere le Chiese particolari nella conoscenza, nell’opera di evangelizzazione e nella cura pastorale dei migranti, italiani e stranieri, per promuovere nelle comunità cristiane atteggiamenti e opere di fraterna accoglienza nei loro riguardi, per stimolare nella società civile la comprensione e la valorizzazione della loro identità in un clima di pacifica convivenza, con l’attenzione alla tutela dei diritti della persona e della famiglia migrante e alla promozione della cittadinanza responsabile dei migranti”. Un impegno che dura da oltre 36 anni. Dalla parte dei più deboli. Per dar voce, e un futuro, alle tante e tanti ai quali viene negato.

Monsignor Perego, Lei ha usato parole molto dure nel commentare l’approvazione da parte del Senato dell’accordo Italia-Albania. Soldi buttati in mare. Perché?
Perché le stesse risorse potevano diventare importanti per rafforzare un piano di accoglienza diffusa sul territorio che avrebbe riguardato almeno l’accoglienza di 60.000 persone in dieci anni. Un Paese di 60 milioni di persone non può essere al 16° posto per accoglienza di richiedenti asilo e rifugiati, in un mondo in cui i migranti forzati crescono di anno in anno e sono ormai nell’ultimo anno arrivati ad essere 110 milioni. Non sappiamo poi se nei 673 milioni di euro che riguardano i due centri sono comprese le spese per l’accoglienza, se sono compresi i viaggi di andata e ritorno delle navi che porteranno in Italia chi ha diritto a un titolo di protezione internazionale (mediamente il 40%) o chi dopo il ricorso vinto (oggi il 60% dei ricusati).

Quell’accordo non è un fatto isolato. Lei lo ha definito “una nuova sconfitta della democrazia”. C’è un prima, dunque.
Certamente l’accordo con l’Albania si aggiunge ai due accordi europei in Libia e in Turchia, due Paesi che come l’Albania non hanno firmato la Convenzione di Ginevra che tutela il diritto d’asilo. Anche in Albania come in Turchia e Libia che garanzie abbiamo che venga rispettato il diritto d’asilo? I noti fatti in Libia, più volte denunciati, ci dimostrano il contrario. C’è poi l’incognita di un accordo svanito con la Tunisia. L’art.10 della nostra Costituzione, che tutela il diritto d’asilo viene di fatto negato.

Monsignor Perego, non ritiene che dietro una visione securitaria del problema migranti, vi sia anche una regressione culturale? L’altro da sé vissuto come minaccia e mai come una risorsa che arricchisce la comunità?
Certamente c’è una cultura politica che legge nell’altro l’hostis (il nemico) più che hospes (l’ospite), perdendo la dimensione umanistica e personalistica che ha caratterizzato la cultura italiana ed europea. Dentro questa cultura non c’è spazio per l’altro se non quando è funzionale a se stessi, comunque non rispettato nella sua identità e cultura, che deve ‘adattarsi’ e dove un processo d’integrazione non è mai biunivoco e dove la cittadinanza è rimandata sempre di più (in Italia oggi servono quasi 14 anni per avere la cittadinanza). Dentro questa cultura non si aprono le porte, ma si costruiscono i muri, si favoriscono i respingimenti e la delocalizzazione delle accoglienze, perché non siano verificate nella loro qualità umana e democratica.

Si tagliano i fondi per la cooperazione, s’incrementano le spese per gli armamenti. Papa Francesco ha parlato più volte di una “guerra mondiale a pezzi” in atto da tempo, dall’Ucraina al Medio Oriente, passando per i tanti conflitti colpevolmente “dimenticati”.
È un dato di fatto: le spese per la cooperazione non hanno mai raggiunto in Italia lo 0,7 del PIL – come sarebbe dovuto avvenire da dieci anni – mentre le spese militari nel mondo sono cresciute del 3,7% e anche in Italia dello 0,8%, a fronte di nuovi conflitti dove si muore per le armi fabbricate anche in Italia. Crescono i conflitti gravi. Secondo il rapporto annuale di SIPRI, sono 56 gli Stati che nel 2022 si trovavano in situazioni di conflitto armato, 5 in più dell’anno precedente. È veramente una guerra mondiale a pezzi, con molti conflitti che non hanno mai avuto attenzione sui nostri quotidiani, conflitti dimenticati, come titolava il primo report di Caritas Italiana nel 2003.

Spesso si parla e si scrive di solidarietà, accoglienza, molto meno di inclusione. È come se l’altro da sé, nel migliore dei casi, debba essere “tollerato”, nulla in più.
L’accoglienza da sola, il vitto e l’alloggio e basta, come prevedono le convenzioni con le Prefetture nei Cas non basta e diventa anche insufficiente per costruire un reale percorso che vede solo nella tutela, nella promozione e nell’inclusione il suo percorso reale ed efficace. La sola accoglienza ha portato il 90% delle persone sbarcate in dieci anni sulle nostre coste ad andarsene in altri Paesi europei – come la Germania – e costituire la risorsa umana importante per lo sviluppo economico del Paese. La sola accoglienza non favorisce un inserimento lavorativo, scolastico, sociale, un senso di appartenenza a un Paese e non diventa una componente importante per la rigenerazione di un Paese, tra i più vecchi d’Europa.

Monsignor Perego, quanto è importante la parola “testimonianza”, guardando ai più indifesi tra gli indifesi?
Testimoniare la giustizia, denunciare le ingiustizie è un atto d’amore al proprio Paese, è un atto che aiuta a far crescere la democrazia. Testimoniare la giustizia è una forma di partecipazione, è rendere esigibili i diritti. Per la Chiesa, poi, la scelta preferenziale dei poveri è una dimensione costitutiva del suo essere e agire – come hanno testimoniato Benedetto XVI e Papa Francesco – come pure la denuncia – come ricordava don Primo Mazzolari – è “un atto d’amore” nei confronti delle persone, soprattutto più deboli e indifese.

21 Febbraio 2024

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