La riforma costituzionale
Il premierato è da rivedere, fatto così non va bene
Al Senato il convegno sulla riforma promosso da Magna Carta, Libertà Eguale e IoCambio con Ceccanti, Morando, Quagliariello, Salvati e Drago
Politica - di Vittorio Ferla
Fare la riforma della costituzione insieme non solo è auspicabile, ma è anche possibile. È il messaggio bipartisan che arriva da Fondazione Magna Carta, Libertà Eguale e IoCambio, i tre soggetti promotori di un manifesto appello che chiede al governo e ai partiti di procedere sulla riforma del premierato, evitando però le numerose sgrammaticature del testo base del governo.
Riuniti ieri a Roma in conferenza stampa nella Sala Nassirya del Senato, i promotori lanciano anche una maratona oratoria che si svolgerà il 27 febbraio, a partire dalle 10, presso il teatro Sala Umberto nella Capitale, con la presenza di un nutrito gruppo di firmatari di tutti gli orientamenti culturali accomunati dal medesimo spirito riformatore.
“Non siamo tra quelli che dicono no, ma la riforma si può e si deve fare in modo condiviso”, spiega Gaetano Quagliariello, giurista, ex parlamentare di Forza Italia nonché ministro per le Riforme istituzionali del governo Letta, oggi presidente della Fondazione Magna Carta.
“Una costituzione non è un atto di un governo, ma di un popolo che si dà un governo”, chiarisce Quagliariello, citando un celebre adagio. Per Enrico Morando, presidente di Libertà Eguale, “serve portare l’Italia nel novero delle democrazie decidenti, pertanto la riforma costituzionale è più necessaria che mai”.
Anche per evitare il rischio, segnalato dall’economista Michele Salvati, che, in Italia, destra e sinistra scelgano una comune deriva populista che porterebbe alla polarizzazione estrema mettendo in crisi il sistema politico. Sulla stessa lunghezza d’onda è Nicola Drago, Ad di DeAgostini Editore e fondatore di IoCambio, una iniziativa nata per “promuovere riforme capaci di garantire durata, stabilità ed efficacia dei governi contro l’immobilismo decisionale e le degenerazioni del parlamentarismo”.
Tuttavia, perché la riforma si realizzi, bisogna che il governo faccia un duplice passo indietro. In primo luogo, riconoscendo l’opportunità di un’approvazione del Parlamento a maggioranza dei due terzi: è questa, spiega nel corso della conferenza stampa il costituzionalista Stefano Ceccanti citando il presidente della Corte costituzionale Augusto Barbera, “la soluzione gerarchicamente superiore” rispetto all’approvazione a colpi di maggioranza.
In secondo luogo, continua Ceccanti, sarebbe opportuno abbandonare il testo fin qui discusso che prevede l’elezione diretta del capo del governo – misura che pone già dei problemi di equilibrio costituzionale complessivo – ma senza attribuirgli i conseguenti poteri.
A Giuseppe Calderisi, ex parlamentare di Forza Italia ed esperto di riforme elettorali, il compito di ricordare le numerose falle del disegno di legge del governo. “Il sistema che disciplina l’elezione del capo del governo, non prevedendo il ballottaggio, potrebbe produrre l’assurdo di un premier di minoranza. In più, costituzionalizzare il premio di maggioranza, peraltro senza soglia minima, comporta il rischio di dover modificare la Costituzione ogni volta che servirà cambiare di nuovo la legge elettorale. Infine, non è precisato come garantire la stessa maggioranza nelle due camere”, avverte Calderisi.
Ma il più goffo paradosso è quello della cosiddetta norma antiribaltone che prevede che, in caso di crisi, il nuovo incarico possa essere affidato a “un parlamentare” candidato con la maggioranza per portare avanti il programma politico del premier eletto.
Secondo Calderisi, la norma – voluta dalla Lega per blindare la coalizione di maggioranza e, all’interno di questa, i partiti minori – “è un vero e proprio ‘diritto di imboscata’: mentre il premier eletto direttamente potrebbe essere fatto fuori, il premier sopravvenuto senza legittimazione popolare diventerebbe inamovibile”.
Nel testo prevale insomma l’idea di “sottomettere il premier ai diktat dei partiti” piuttosto che legarlo davvero alla volontà popolare. Ammesso che su questi e altri punti la maggioranza sia disposta a trattare, resta il fatto che, finora, Elly Schlein ha mostrato zero interesse a discutere il merito della riforma.
Una cosa che sconcerta non poco i promotori dell’appello. Anche perché per la segretaria del Pd, diventare co-protagonista del processo di riforma, sarebbe l’occasione per riconquistare la guida politica del centrosinistra ai danni di Giuseppe Conte. “Noi vogliamo mettere il piede nella porta, per evitare che si chiuda”, conclude ironicamente Quagliariello.