Gli attacchi al Pd
Perché Conte vuole il premierato, così cerca il sorpasso su Schlein
Nell’intervista al Corriere Conte lascia trapelare la sua vera ambizione: diventare il candidato della coalizione in quanto leader del partito più votato
Politica - di David Romoli
Cosa vuole Giuseppe Conte? Perché il suo Movimento sembra ogni giorno di più impegnato in una guerra corsara contro il partito con il quale dovrebbe allearsi, quello di Elly Schlein? La competizione fisiologica in vista delle europee spiega qualcosa ma non tutto.
Altre delucidazioni, esplicitamente e fra le righe, le offre Giuseppe Conte nell’intervista uscita ieri sul Corriere della Sera. “Giuseppi” martella su temi già citati più volte nelle ultime settimane, in particolare l’impossibilità di allearsi a fronte di divisioni troppo profonde sulla politica estera. Ma la posta è più ampia, è la richiesta di un “rapporto alla pari” che va oltre le spine dell’Ucraina o di Gaza.
Conte chiede che il Movimento non sia considerato un satellite, o “un cespuglio” come si diceva ai tempi dell’Ulivo e ha tutte le ragioni per farlo perché il vizietto di considerarsi la tolda di comando di ogni alleanza il Pd non lo ha davvero mai perso.
Però, sommando i vari fronti che l’ “avvocato del popolo” cita e che non si limitano affatto alla politica estera trapela un’ambizione più elevata: quella di passare alla guida di una eventuale coalizione o almeno di essere considerato pienamente in corsa.
È una questione che tocca davvero una quantità di scelte politiche ma che ha anche una ricaduta personale immediata e diretta: “rapporto alla pari” vuol dire anche proporsi come leader di una coalizione la cui linea sarebbe dettata in ampia misura proprio dal Movimento.
Certo, ove alle europee o anche solo nei sondaggi lo scarto tra i due partiti principali dell’opposizione risultasse schiacciante a favore del partito di Elly le ambizioni di Conte dovrebbero essere riposte di corsa.
Ma in caso di scarto limitato o peggio minimo le cose starebbero diversamente perché il leader dei 5S può a tutt’oggi vantare un vantaggio molto più ampio in termini di popolarità personale. Elemento che, se passerà il premierato proposto dal governo, diventerà essenziale e più determinante dello scarto tra i partiti.
Conte inoltre potrà far pesare la precedente esperienza come capo del governo, nella quale aveva riscontrato indici di popolarità tali da spingere gli allora vertici del Pd a considerarlo, e a volte a definirlo apertamente, “insostituibile”.
Non è detto che la riforma passi però e senza premierato il discorso sarebbe diverso. La regola attuale dice che a esprimere il premier è il partito che nella coalizione prende più voti. La sola strada percorribile per Conte sarebbe superare il Pd anche se solo di un soffio e non c’è dubbio sul fatto che il massacrante lavoro ai fianchi nel quali i 5S sono impegnati miri anche a questo risultato.
Però, qualunque sia l’esito del referendum, è probabile che mettere mano alla legge elettorale si riveli comunque inevitabile. L’Italia, per inciso, è priva di una vera legge elettorale, decisa cioè dal Parlamento e non prodotta dalla scure della Corte costituzionale sui testi approvati dalle Camere, dal 2006 e se 18 anni vi sembran pochi… Dunque la stessa regola del partito maggioritario che esprime il capo del governo potrebbe decadere.
In realtà se il referendum decretasse una sconfitta che per la premier potrebbe essere politicamente fatale, e probabilmente lo sarebbe, la strada per il ritorno al proporzionale sarebbe spianata e in quel caso, senza la personalizzazione estrema del premierato, ma anche senza quella moderata dei capipartito di fatto candidati alla guida del governo, la sfida tra i due galli nel pollaio dell’opposizione, tra “Giuseppi” ed Elly, sarebbe in buona misura disinnescata. La competizione tornerebbe infatti a essere più tra i partiti che tra i leader.
Il proporzionale converrebbe a tutti tranne che FdI e l’eventuale sconfitta referendaria del governo gli regalerebbe una spinta fortissima. Sempre che il Pd sia pronto a sostenerlo e non è affatto detto. Nella versione finale degli emendamenti alla riforma la maggioranza ha cancellato l’assurda norma che imponeva il ritorno alle urne in caso di sfiducia formale contro il premier eletto ma consentiva una sostituzione per legislatura nei casi di fiducia posta dal governo su un provvedimento e negata dalle Camere.
Ora in entrambe le circostanze il premier chiederà al presidente della Repubblica lo scioglimento. Il Pd ha presentato una ventina di emendamenti tra i quali quello centrale è la sfiducia costruttiva, l’obbligo di avere già individuato un sostituto e una maggioranza pronta a sostenerlo prima di sfiduciare il premier, comunque eletto. Non ha presentato invece la sua proposta di riforma, cioè il cancellierato, con un rafforzamento drastico dei poteri del premier ma senza alcuna elezione e neppure indicazione diretta.
In parte il Pd ha deciso di glissare sul cancellierato per non contrariare quella parte dell’elettorato che ritiene il testo della Carta intoccabile e che avrebbe preso malissimo una proposta di revisione comunque profonda. La campagna referendaria sarà in nome della “Costituzione più bella del mondo”, dunque quasi intangibile, contro quella che sarà denunciata come “minaccia per la democrazia”.
Però non c’è solo il calcolo propagandistico. Mettere in campo il cancellierato avrebbe significato quasi automaticamente schierarsi per il proporzionale senza più quei dubbi e quelle esitazioni che nella scorsa legislatura hanno impedito di varare una vera legge elettorale. Il Pd, o almeno non tutto il Pd, è ancora convinto di farlo.