Il futuro dei dem
“Addio Pd, zero confronto e correnti eterne”, parla Massimiliano Smeriglio
L’europarlamentare annuncia l’uscita dalla delegazione dem a Bruxelles. «Nella mia scelta la guerra è stata decisiva, ma hanno inciso anche le torsioni giustizialiste sul Qatargate e il voto sul Patto di stabilità»
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Una separazione sofferta, meditata, che ora assume il fascino di una nuova “avventura” politica e culturale. La parola a Massimiliano Smeriglio.
Uscire dal PD. Una scelta sofferta. Una sconfitta politica?
Sono sempre rimasto un indipendente di sinistra. L’uscita riguarda la delegazione PD a Bruxelles. Una scelta meditata e sofferta, certamente una sconfitta rispetto a Piazza grande, il movimento che ho coordinato e che mi aveva portato ad avvicinarmi al PD. Un movimento interno esterno che doveva cambiare la prospettiva e le modalità di funzionamento. Portammo, in quel frangente, la forza del modello vincente del Lazio alla ribalta nazionale. Una coalizione unitaria e plurale capace di vincere e governare a sinistra. Le inspiegabili dimissioni di Zingaretti, le sue dichiarazioni pesantissime sul PD avrebbero meritato un dibattito serio, invece nulla, solo silenzio, compreso il suo. Poi la sconfitta in Regione con venti punti di distacco dalla destra ha decretato la crisi di un modello a cui in tanti avevamo dedicato anni e passione. Di un modello e un gruppo dirigente che ha affrontato in maniera confusa la costruzione del post Zingaretti. Dunque una sconfitta politica, non solo per me temo, l’aver sbattuto sulla irriformabilità del PD. Spero, in ogni caso, che questa mia scelta venga vissuta come uno stimolo per tutti, evitando di sommergere una denuncia tutta politica con un mare di silenzi e spallucce.
Questa è la speranza, e la realtà?
Il silenzio soprattutto del gruppo dirigente del PD, rispetto ad una vicenda che ha avuto ed ha un suo clamore, a me fa impressione. Escluso Bettini, con lui ho condiviso temi e battaglie, che ha avuto parole di stima e di preoccupazione, e poi Morassut, Valeriani, Foschi, il sindaco di Roma Gualtieri con il quale condividiamo il governo della città e da ultimo Andrea Orlando, nessuno della attuale segreteria nazionale del PD ha sentito l’esigenza di interloquire con la mia scelta. Dimostrando indifferenza, distanza o, in alcuni casi, vera e propria ostilità.
Inutile sottolineare che questo atteggiamento mi ha colpito e amareggiato. Dimostrando in concreto che la percezione circa la mancanza di agibilità politica per le battaglie fatte a Bruxelles non fosse così campata in aria. Io continuerò a battermi per la giustizia climatica e sociale, la sovranità europea, una agenda di pace.
La storia della sinistra è segnata da micro scissioni, rientri problematici, personalismi esasperati. Un male incurabile?
La sinistra è un luogo vitale, dove le persone non prendono ordini ma vogliono discutere, partecipare, contare, far valere il proprio piano valoriale. Che non si risolve con la sola invenzione della leadership. Il male non è il protagonismo ma l’assenza, che perdura ancora oggi, di luoghi aperti dove poter discutere, portare un contributo, con senso unitario e responsabilità. Discutere e decidere. Va presa sul serio la crisi strutturale della forma partito, della sua vita democratica, di cui non si discute più; certamente non mi pare se ne discuta nel PD, sospeso tra leadership verticali a tempo e correnti orizzontali inossidabili. Poi sì, esistono personalismi, opportunisti, ma la questione più seria è ripristinare una cultura coalizionale credibile. Che abbia una idea di società alternativa alla destra e al liberismo tecnocratico. Se invece, per paura della destra, governi con tutti, destra compresa, diventa difficile, ad esempio, alzare la bandiera dell’antifascismo. Anche qui accanendosi su 500 fascisti, peraltro più capaci di noi di ricordare i loro caduti, senza affrontare i nodi di fondo del fascismo diffuso che non abbiamo contrastato a sufficienza alimentando posizioni autoritarie respingenti e disumane come nel caso degli accordi con la Libia di qualche stagione fa. I governi cosiddetti tecnici che si sono susseguiti dal 2011 sono il buco nero in cui si è infilata la sinistra, governo per il governo senza idealità e passione.
La guerra e la pace. Dall’Ucraina alla Palestina. Quanto hanno pesato le incertezze e i ritardi manifestati dal PD nella determinazione della sua scelta?
La brutale aggressione di Hamas del 7 ottobre alla popolazione israeliana è un punto di non ritorno. Così come la reazione sproporzionata e il massacro di Gaza che ne è conseguito e che è ancora in corso. L’assenza dunque di una discussione profonda sul salto storico che stiamo vivendo che investe l’Europa, il ritorno della guerra come strumento politico che determina nuovi rapporti di forza geopolitici cambia tutto. La cautela con cui si prendono posizioni, dopo aver consultato l’agenda atlantica, la dice lunga sul pericolo che corre l’autonomia strategica europea. E non si può essere così realisti da non votare il cessate il fuoco in Palestina. E non si può essere equidistanti di fronte al massacro quotidiano di civili a Gaza. Se si vuole essere anche amici di Israele bisogna condannare senza se e senza ma il governo di estrema destra suprematista che cerca di trasformare quella democrazia in uno Stato confessionale razzista. Se questo non accade in maniera politicamente convincente vuol dire che scegliamo di essere irrilevanti, in attesa che altri, al nostro posto, prendano le decisioni che contano. Se la sinistra non muove un dito condanna l’Europa alla subalternità. Nella mia scelta la guerra è stata decisiva, ma hanno inciso anche le torsioni giustizialiste sul Qatargate e il servizio ignobile somministrato ad Andrea Cozzolino, così come l’equiparazione fascismo comunismo senza uno scatto di orgoglio capace di difendere la storia dei comunisti italiani protagonisti assoluti della nostra costruzione democratico repubblicana. Così come il voto per un Patto di stabilità identico alle politiche di austerità pre Covid. O i voti su pesticidi, imballaggi e il nucleare che mettono in discussione la centralità della transizione ecologica.
Esiste un mondo vitale a sinistra che non si riconosce nelle forze politiche attuali. Come lo spiega e che proposta innovativa si sente di avanzare dalle colonne de l’Unità?
In Italia, nelle città è pieno di esperienze, vertenze ambientali e sociali, reti, comunità agenti, comitati, liste civiche che, nel tempo, hanno vissuto una scissione di fatto dalla rappresentanza politica nazionale. Disincanto, diffidenza, distanza. Ci vuole ago e filo, ci vuole pazienza, ci vuole una effettiva cessione di sovranità, nel riportare queste realtà al centro della ricostruzione del campo organizzato della sinistra. Senza chiusure proprietarie che perdurano e allontano le energie migliori, quelle mosse da valori e non da interessi personali. E poi ci vuole una contro narrazione efficace, capace di contendere parti di popolo alla egemonia culturale della destra. Con l’ambizione di cambiare il discorso pubblico. Ecologia, garantismo, solidarietà, sorellanza, comunitarismo, antirazzismo, antifascismo, femminismo, europeismo democratico, mutuo soccorso, autogestione, internazionalismo. Politiche di redistribuzione sociale e dei redditi. Questi i titoli, le tracce della sinistra possibile. Fondata su esperienze autonome Confederate, come ci hanno insegnato i nostri fratelli della resistenza curda. Una cultura politica solida, strutturata, non suggestioni occasionali, ma una costruzione costante, la medesima che ha portato alle coalizioni progressiste ed ecologiste che oggi governano in Spagna e Germania.
Del Partito Democratico si diceva, soprattutto dopo l’elezione di Elly Schlein, che fosse un partito contendibile. Ma c’è chi sostiene che il PD sia come il socialismo reale, irriformabile.
Beh la leadership del PD, viste le regole curiose di cui si è dotato, è certamente contendibile. Lo dice la storia e la brevità di ogni segreteria. A proposito, far partecipare alla scelta del Segretario/a cittadini comuni in barba all’esito del congresso interno e, contestualmente, far sparire le primarie per la scelta di candidati sindaci e alla presidenza delle Regioni mi pare una contraddizione fantastica. Ciò detto mi pare chiaro che c’è qualcosa che non va nel profondo, nelle modalità di funzionamento di quel partito. Di come si discute in maniera partecipata e poi decide. Consiglierei un momento rigenerativo, un congresso a tesi, la definizione di un profilo politico chiaro, investendo su culture politiche plurali mai settarie. Se tutto si concentra sulla leadership, si rischia un grumo, una mischia opportunista che si muove indipendentemente dalla linea del segretario di turno. Una sorta di micro classe di mezzo, piuttosto conformista, che si adegua alla furia del momento, pronta a ricollocarsi al giro successivo. Credo sia questo il tema di fondo. In ogni caso auguro il meglio a Schlein, il PD è fondamentale per la composizione di un campo democratico forte e competitivo costruito intorno a 4 gambe (PD, 5 Stelle, polo liberale e alleanza Verdi/sinistra). Un Campo, il nostro, che dovrebbe approfondire, studiare, reinventare categorie capaci di interpretare la crisi della democrazia oggi non più indispensabile alla mediazione tra capitale e lavoro o comprendere lo strapotere di entità mondiali potentissime come le piattaforme che rischiano di sottomettere quotidianamente la dimensione politica e quella del lavoro alimentando il nazionalismo.
Una sfida non da poco. Che investe l’idea stessa, la mission della politica, nel suo senso alto e nobile, purtroppo in disuso.
Se la politica non governa più l’economia, diventata feticcio tecnico religioso intoccabile, gli rimane la normazione dei corpi e dei comportamenti con la forza dell’ideologia. Su questa porzione di vita, sulla capacità di stare in sintonia col senso comune popolare la destra ha una sua indiscutibile abilità in tutto il mondo. Italia compresa. Per questo la destra va presa sul serio. E smascherata, ad esempio, ogni volta che propone galera per tutti ed è garantista solo con i forti. In ogni caso se la sinistra continuerà a farsi percepire come elitaria, distante, infastidita dall’odore delle contraddizioni materiali, non avremo scampo. A volte la nostra rinuncia a sviluppare una visione del mondo alternativa alla destra e conflittuale con il modello capitalistico che sussume la vita e umilia la dimensione spirituale dell’umano appare evidente. Come nel caso degli agricoltori mobilitati in tutta Europa e che dovremmo ascoltare con maggiore umiltà. Questa la partita in corso per le Europee, questa la posta altissima, evitare che le istituzioni comunitarie vadano a destra. Per questo, in ogni caso, ci sarò e farò la mia parte. Per una Europa verde e progressista.