La segretaria a Bruxelles
Schlein candidata alle Europee, la leader Dem rischia un biglietto di “sola andata”: cresce il malcontento nel Pd
Cresce il malcontento nel Pd per l’idea della segretaria di competere per un seggio a Bruxelles contro Meloni: “No a personalismi”
Politica - di Vittorio Ferla
Candidarsi alle europee oppure no? Il Partito Democratico che si prepara al seminario di Gubbio si interroga sulla scelta definitiva di Elly Schlein.
L’ipotesi di una segretaria a capo delle liste dem per Strasburgo è stata fin qui accolta come un pericolo. Il no più influente è arrivato da Romano Prodi, l’unico leader anziano che ancora gode di un minimo di autorevolezza nel partito.
Per il Professore “le pluricandidature sono un vulnus per la democrazia”. Presentarsi alle europee solo per tirare la volata ad altri, rinunciando poi al seggio significherebbe tradire il voto degli elettori.
Se lo può permettere la destra, ma non un partito che si autodefinisce democratico. Diversamente, sarebbe singolare il caso di un segretario nazionale che svolge il proprio ruolo dagli uffici di Bruxelles, a 1.450 chilometri di distanza dagli uffici del Nazareno.
Sul punto è intervenuta ieri anche Laura Boldrini, ex presidente della Camera. “Non dobbiamo ridurre le Europee a un confronto tra leader. Questo sarebbe veramente riduttivo. Il confronto è tra idee e progetti per il futuro dell’Europa”, dice la deputata Pd che è stata fin qui tra le sostenitrici di Schlein. Viceversa, secondo Boldrini, occorre “trovare figure femminili autorevoli e valorizzarle”, altrimenti si corre il rischio di penalizzare le altre donne del partito.
Prima di lei aveva espresso le stesse perplessità Paola De Micheli, proprio su queste colonne. Secondo la deputata dem, “ci sarebbero conseguenze negative per le candidature femminili” e il Pd, non essendo “una forza leaderista ma un partito plurale”, non si può assoggettare “alla personalizzazione generalizzata”.
Tuttavia, il dado è tratto. Elly Schlein sarà costretta a candidarsi. In primo luogo, ha funzionato la trappola tesa da Giorgia Meloni. La premier ha bisogno di personalizzare la partita delle europee contro un avversario.
Una candidatura diretta e una vittoria alle europee alla guida del suo partito, le permetterebbe di consolidare i nuovi equilibri all’interno del centrodestra, con Fratelli d’Italia nel ruolo che fu un tempo del partito di Berlusconi e con Lega e Fi costrette definitivamente nel ruolo di junior partner.
Inoltre, ristabilirebbe il senso di una logica bipolare, almeno dalla prospettiva del centrodestra, esaltando l’incapacità dello schieramento avversario, frammentato almeno in tre parti (dem, grillini ed ex terzopolisti), di procedere nella medesima direzione.
I sondaggi danno ragione alla premier. Secondo l’istituto demoscopico Noto, se alle elezioni europee Giorgia Meloni si presentasse capolista in tutte le circoscrizioni, Fratelli d’Italia passerebbe dal 28 al 32%.
Viceversa, con la candidatura di Elly Schlein in tutte le circoscrizioni, il Pd vedrebbe crescere il suo consenso di pochissimo: dal 19,5 al 20%. Questo dato inesorabile dimostra che, al di là dei suoi buoni propositi, la segretaria del Pd non è riuscita a dare una bussola al partito.
Priva di una strategia e di una agenda, a quasi undici mesi dalle primarie, Schlein è già sulla graticola. Ecco perché fare la capolista alle europee è considerata dal suo entourage, con un eccesso di ottimismo, un’opportunità per riaffermare la leadership sul partito.
Più realisticamente, dopo la probabile sconfitta, il ritorno a Strasburgo funzionerebbe come una accettabile exit strategy: quando arriverà il momento del bilancio del suo operato, considerato negativo anche da chi l’aveva sostenuta (perfino da Enrico Letta, da tempo sparito dai radar), Schlein potrebbe ritornare ai dossier europei che sono da sempre la sua comfort zone.
Anche Stefano Bonaccini asseconda questa prospettiva. “Sarebbe incredibile che noi impedissimo alla nostra segretaria di partito, se lo vuole, di potersi candidare portando certamente un valore aggiunto a quella competizione”, assicura il presidente dell’Emilia Romagna, offrendo alla sua ex vice l’onore delle armi.
Per Bonaccini, però, sarebbe sbagliata “una candidatura capolista in tutte le circoscrizioni perché questo lo fece Berlusconi ed è alterità rispetto a quello che noi siamo, cioè un partito plurale, che ha una classe dirigente diffusa”. Insomma, salviamo il soldato Schlein, ma senza trascinare tutto il partito nella disfatta.