Il dramma migranti
Quale è il ruolo dei magistrati se ignorano omissioni di soccorso ed estorsioni a navi di salvataggio
E mi chiedo anche se e come la giurisdizione possa concorrere ad arginare la follia che ci sta travolgendo, a partire dalle stragi di migranti
Editoriali - di Livio Pepino
Caro direttore,
rispondo volentieri, di getto, alla sua opportuna e stimolante “provocazione”, anche se lo faccio rappresentando solo me stesso, posto che ho lasciato la magistratura e Magistratura democratica (che pure è stata parte decisiva del mio percorso personale e politico) da ben 13 anni…
Penso – e credo che siamo, sul punto, in pieno accordo – che il governo dei flussi migratori sia, oggi e in futuro, il banco di prova fondamentale per le nostre democrazie in tutte le loro articolazioni istituzionali (giurisdizione compresa).
Un sistema, politico e giudiziario, che assiste indifferente e, a volte, addirittura provoca – con azioni positive o con omissioni – la morte, nei nostri mari e nelle nostre montagne, di uomini, donne e bambini colpevoli solo di essere nati altrove è un sistema privo di ogni legittimazione e credibilità.
Ma è il nostro sistema, costruito nei decenni con ripetuti interventi legislativi e amministrativi, da ultimo moltiplicati e aggravati. La configurazione dello status di migrante “irregolare” come reato, i respingimenti collettivi camuffati, l’introduzione di un “mostro giuridico” come la detenzione amministrativa, gli ostacoli di ogni genere ai salvataggi in mare, la persecuzione nei confronti delle Ong impegnate nel Mediterraneo, gli accordi per la deportazione in Albania dei sopravvissuti ai naufragi sono ferite insanabili al senso di umanità e alla civiltà giuridica dell’Occidente (quella civiltà giuridica che, quando ad approdare in altri paesi erano i “conquistatori”, configurò l’emigrazione con vero e proprio diritto soggettivo: lo ius migrandi).
Non ho, al riguardo, dubbi, anche se so che il pensiero dominante va in altra direzione. Si apre peraltro, a questo punto – e non intendo certo eluderlo – il problema che Lei pone. Cosa fa in concreto, e cosa potrebbe/dovrebbe fare la magistratura? Personalmente ho alcune certezze e altrettanti dubbi che provo ad accennare, nella speranza che servano, insieme alla sua “provocazione”, ad aprire un confronto ampio e franco.
Comincio dalle certezze. Le innumerevoli indagini avviate contro le Ong operanti nel Mediterraneo negli ultimi anni erano fin ab initio prove di fondamento e persecutorie, come, del resto, confermato, dalle ripetute archiviazioni intervenute dopo anni e quando danni e intimidazioni erano ormai cosa fatta; parallelamente, le iniziative giudiziarie tese a verificare le responsabilità per omissioni di soccorso e impedimenti al salvataggio o alle cure necessarie, pur esistenti (a cominciare da quelle nei confronti dell’allora ministro dell’Interno Salvini) sono state troppo timide e insufficienti.
Dopo le certezze, i dubbi. Qual è il confine tra la sfera del diritto e le scelte della politica? Non è una domanda di poco conto, almeno per chi, come me, ritiene che il diritto penale abbia dei limiti e dei vincoli insuperabili e che non possa essere – come pure alcuni magistrati vorrebbero – uno strumento di governo ordinario della società.
È, a ben guardare, uno dei problemi più delicati per le società contemporanee in cui l’interrogativo pressante è se e come la giurisdizione può concorrere ad arginare la follia che ci sta travolgendo: le stragi dei migranti, ma anche le guerre, le devastazioni ambientali e i cambiamenti climatici, il lavoro che uccide e via seguitando.
Le mie incertezze non vogliono essere in alcun modo una fuga ma, al contrario, un appello all’apertura di un confronto serio capace di andare oltre luoghi comuni fuorvianti come quelli sulla supplenza giudiziaria e sulla sua esorbitanza, sulla politicizzazione di pubblici ministeri e giudici e via seguitando. Ha bisogno di questo la giurisdizione. Per questo la sua “provocazione” è quanto mai opportuna e la ringrazio di averla fatta.