L'Euroderby tra le due leader

Elly-Giorgia, sfida accettata: il duello tra la Schlein e la Meloni si farà

Al netto dell’accordo con gli altri due leader del centrodestra, piuttosto riluttanti a candidarsi a Bruxelles, Meloni vede nella sfi da una ghiotta occasione per dare la stura al premierato

Politica - di David Romoli

6 Gennaio 2024 alle 09:00

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Elly-Giorgia, sfida accettata: il duello tra la Schlein e la Meloni si farà

La sfida di Giorgia sarà accettata, anzi era già stata accolta in anticipo. Elly Schlein ha deciso da un pezzo di candidarsi alle prossime elezioni europee: resta solo da scegliere se sarà capolista in tutte le circoscrizioni o solo nella metà.

A non correre potrebbe essere in realtà proprio la premier sfidante, ma non perché non ne abbia voglia. L’accordo tra i tre leader della maggioranza è che decideranno insieme se candidarsi tutti o nessuno.

Meloni preme in quella direzione ma i dubbi di Salvini e Tajani sono comprensibili, essendo palese il rischio che la corsa dei leader certifichi in maniera molto più incisiva il primato della premier rispetto a quella tra partiti.

Sulla sfida televisiva, poi, non possono esserci dubbi: una volta dichiaratasi pronta e disponibile la presidente del Consiglio resta solo da vedere quale tra i grandi conduttori tv riuscirà ad accaparrarsi la ghiotta primizia, e quando.

Ma il “se” è già fuori discussione. Il guanto lanciato da Meloni in conferenza stampa, però, modifica i termini di un confronto diretto che ci sarebbe stato comunque (Salvini e Tajani permettendo).

La premier ha spogliato lo scontro di tutta la sua sostanza reale, un confronto su diverse visioni dell’Europa e della politica europea, per trasformarlo in una verifica del consenso personale di cui godono le principali leader italiane.

Meloni ha detto chiaramente che non crea nessun problema il fatto che poi tutti i leader opteranno per il Parlamento italiano e non per Strasburgo: “I cittadini lo sanno e se vogliono confermarti il consenso, be’ anche questa è democrazia”. E se “altri leader facessero la stessa scelta sarebbe un test democratico interessante”.

In realtà più che un test o la derubricazione finale delle elezioni europee a sondaggione a uso interno, quello a cui mira la premier è una prova generale. La sua sfida è più astuta di quanto non sembri a prima vista.

Si tratta, insomma, di dissodare il campo in vista del nuovo modello di democrazia a cui mira e sul quale, nel giro di un paio d’anni al massimo, gli italiani saranno chiamati a scegliere nel referendum più importante della storia repubblicana, paragonabile solo a quello tra monarchia e repubblica del 1946.

Quella che ha in mente Giorgia è una democrazia plebiscitaria che fa a meno dei corpi intermedi e riduce il confronto politico a scelta tra due leader, nel quale i cittadini sono chiamati periodicamente, anche approfittando di occasioni come le europee, a esprimere il loro consenso, o dissenso, sulla guida del governo. Un modello nel quale, essendoci pochissimo spazio non prevede quasi nessun ruolo per i partiti.

Ce ne è ancora di meno per il Parlamento. Non per il capo dello Stato, il cui ruolo, nonostante le assicurazioni non disinteressate della premier, è certamente ridimensionato ma non cancellato e che costituisce l’unico contrappeso allo strapotere del premier eletto direttamente.

Quando chiama Elly a misurarsi subito su questo terreno, prima in televisione, poi nelle urne e senza neppure più fingere che l’Europa c’entri qualcosa, la premier mira a fare delle prossime europee un’anticipazione, a colpi di obiettivo praticato, di quella che secondo lei dovrebbe essere la politica d’ora in poi.

Il vero motivo per cui la scelta, di fatto già certa, di accettare il duello è discutibile e dipende più da questo che non dal rischio, pur presente, di una clamorosa vittoria della presidente, che non perderebbe tempo a brandire quell’eventuale risultato contro i rivali e anche contro gli alleati riottosi. Ma l’elemento davvero pericoloso non è questo.

Se anche, a sorpresa, Elly se la cavasse benissimo, Meloni porterebbe comunque a casa il risultato a cui mira: spianare la strada verso la democrazia plebiscitaria, abituare i cittadini-elettori a considerarla un risultato già acquisito, con tutto quel che ciò comporterebbe negli orientamenti di voto referendario.

La premier ha senza dubbio impostato una strategia di gioco abile ma va anche detto che l’opposizione le dà una mano, anzi tutte e due. Ridurre la fine della democrazia parlamentare a una questione di prerogative del capo dello Stato, nell’illusione che ciò basti a far bocciare dagli elettori la riforma, tutto è tranne che una strategia adeguata al livello della scelta che attende l’Italia.

6 Gennaio 2024

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