La gara con la Meloni
Scontro tra Meloni e Conte, prova a inserirsi Schlein che ha la peggio
Nella gara con la premier a glissare sui problemi interni, la segretaria dem ha la peggio. In più deve fare i conti con i colpi bassi dell’avvocato pentastellato, che prova a prendersi la scena: “Sul Mes calunnie da Meloni” e chiede un giurì d’onore
Politica - di David Romoli
Nel weekend Giorgia Meloni, da Atreju, ed Elly Schlein, dall’assemblea Pd sulle Europee, hanno aperto le danze in vista delle europee di giugno dandosele di santa ragione.
La premier, in realtà, si era portata avanti col programma direttamente da Montecitorio, ma lì nel mirino aveva messo il terzo incomodo Giuseppe Conte ma dal suo festival ha preso di petto quella che, almeno sulla carta, è la sua rivale numero uno, la segretaria del Pd che “insulta senza avere il coraggio di venire qui: non ci sono più i sani orgogliosi comunisti di una volta”.
Schlein risponde per le rime ma nel corpo a corpo almeno per ora ha la peggio. Perché se è vero che entrambe le prime donne della politica italiana se la stanno giocando a colpi di slogan e di effettacci propagandistici, sorvolando sulla realtà come se proprio non esistesse, è anche vero che il giochino aiuta Giorgia mentre danneggia Elly.
In 70 minuti di discorso, in chiusura di Atreju domenica, la premier ha meticolosamente evitato di citare questioncine come la manovra, la trattativa sul Patto di Stabilità, la ratifica o meno del Mes. La si può capire: la legge di bilancio votata ieri all’alba in commissione e che arriverà il 20 nell’aula del Senato, non ha nulla a che vedere con le promesse e i programmi della destra. Marcia in direzione opposta.
Sul Patto di Stabilità la situazione è tanto difficile quanto pericolosa per l’Italia. Parlare di Mes significherebbe disturbare il nido di vespe. Salvini ci ha pensato da solo: “Strumento inutile e dannoso. Cosa farà la Lega si vedrà quando si vota”. Molto meglio, dal punto di vista della premier, il comiziaccio.
Elly sembra muoversi in direzione opposta. Va alla carica sulla manovra, sulla riforma costituzionale, sull’Europa e su qualsiasi aspetto della politica di governo. In realtà, però, anche lei lo fa con la stessa prudenza e con lo stesso occhio rivolto solo ai sondaggi dell’avversaria. Senza una parola su un crimine come l’ennesima strage nel Mediterraneo, provocata non dalla sorte o dal mare grosso ma dalla scelta di impedire a una nave Ong di salvare i salvabili.
Ma in prossimità delle elezioni, e ormai anche quando ci si trova a sei mesi dall’apertura delle urne solo a quello i politici pensano, si sa che sull’emigrazione è meglio non esporsi troppo. La leader del Pd non perde occasione per bersagliare il premierato ma con l’argomento sbagliato, la deprivazione dei poteri ai danni del capo dello Stato, invece che con quello giusto, il colpo di grazia che la riforma Meloni infliggerebbe al Parlamento.
Ma anche in questo caso il Parlamento, a differenza del capo dello Stato, è considerato impopolare, meglio dunque glissare, e inoltre, forse soprattutto, sull’agonia del Parlamento il Pd non ha niente da invidiare a nessuno quanto a responsabilità dirette. Ma ammetterlo significherebbe entrare in rotta di collisione con l’establishment del partito e poco male se proprio questo si aspettavano che facesse quelli che l’hanno votata portandola a sorpresa alla guida del Pd.
Per Elly, glissare non sui problemi dell’altra parte ma sui propri, non è però di alcuna utilità. Al contrario la fa apparire come leader debole.
La segretaria, poi, deve scontare un problema in più, con le fattezze di Giuseppe Conte. Ieri il leader dei 5S, che Meloni aveva evitato di citare pur attaccando i 5S sia sul reddito di cittadinanza che sul Superbonus, ha convocato una conferenza stampa urgente per annunciare la richiesta di un giurì d’onore della Camera, con il compito di sentenziare sulle “calunnie contro il M5S della premier sul Mes”.
Il giurì potrebbe riunirsi davvero, presieduto dal forzista ribelle Mulè, forse l’azzurro meno “meloniano” che ci sia. Comunque la trovata non poterà ad alcun risultato concreto ma non è certo quello lo scopo di Conte, che mira piuttosto a occupare il centro della scena nell’opposizione spingendo sempre più ai margini la leader del Nazareno.
La mossa a effetto di ieri era molto più contro Schlein che contro la premier e non a caso il leader dei 5S la ha accompagnata con un paio di colpi bassi pesanti appunto contro il Pd e la sua leader. Prodi aveva provato a gettarle un salvagente nominandola “federatrice” del centrosinistra. Conte non ci pensa proprio: “Federatrice delle correnti del Pd, casomai, e sarebbe un bene perché c’è bisogno di chiarezza del Pd sulla questione morale, sulla transizione verde e su tutta la politica estera”.
Conte, poi, nega ogni possibilità di primarie di coalizione e a maggior ragione respinge la regola della destra, per cui il partito coalizzato con più voti esprime il premier. Quel ruolo Giuseppe Conte lo vuole per sé e proprio per questo la sua scelta di lavorare ai fianchi la rivale ha effetti molto più dirompenti delle azioni di disturbo di Salvini dall’altra parte della barricata.
Il leader della Lega non perde occasione per insidiare la presidente, ma senza mai metterne in discussione la leadership della coalizione e senza mai far vacillare la coalizione. Conte si muove in modo opposto e alla fine l’immagine che ne deriva è nitida e per il “campo largo” disastrosa: la destra c’è, il centrosinistra no.