La rubrica

Bambini social, la psicologa Simona Piemontese: “Lasciamo i figli liberi di costruire la loro identità virtuale”

Se pubblichiamo un'immagine, senza il consenso di chi appare, contribuiamo a creare un'identità virtuale eterna. E la lanciamo in un mondo sempre più studiato ma ancora da scoprire. La rubrica dell'Unità che raccoglie osservazioni e pareri di esperti, artisti, professionisti: "Bambini social – Un giorno questo like sarà tuo"

Cultura - di Antonio Lamorte

12 Gennaio 2024 alle 12:46 - Ultimo agg. 12 Gennaio 2024 alle 12:51

Condividi l'articolo

FOTO DA PIXABAY (GERALT)
FOTO DA PIXABAY (GERALT)

Quando scegliamo di pubblicare un’immagine – in questo caso l’immagine di un minore – stiamo contribuendo a creare un’identità social pressoché eterna. Identità virtuale che secondo la psicologa e psicoterapeuta Simona Piemontese, che si occupa di adolescenti e di adulti, ognuno dovrebbe essere libero di costruire a partire dalle proprie inclinazioni e non dai like che gratificano qualcun altro – i genitori. Quando scegliamo di pubblicare un’immagine stiamo maneggiando dati e contenuti, stiamo maneggiando materiale che non sappiamo sempre che fine possa fare: un fenomeno sempre più studiato e scandagliato ma dalla portata enorme, ancora imprendibile. 

Quello di Piemontese è il settimo contributo della rubrica “Bambini social – Un giorno questo like sarà tuo”, un dibattito sullo sharenting de L’Unità.it.

Potremmo iniziare a chiederci che significato vogliamo attribuire alla parola eredità. È certo che non si tratta solo di un qualcosa che ha a che fare con il patrimonio, i geni, gli immobili. È qualcosa di molto più complesso, che attiene ai gesti, al linguaggio, alla cura, a tutto quello che un genitore porta nella vita del figlio, nella relazione con il figlio. In questa ottica, parlare di like come di un’eredità, mi costa molta fatica. Ma è un tema ampiamente dibattuto, attualissimo e, quindi, una riflessione appare necessaria.

Il bisogno di condividere le foto dei nostri figli è, evidentemente, un bisogno nostro. Certamente non loro. Senza assolutamente demonizzare la condivisione sui social tout court, ci dovremmo chiedere ‘perché lo facciamo?’, ‘che senso attribuiamo a ciò?’. I motivi sono i più disparati. Tanti like, rinforzano positivamente chi li riceve, gratificano. Mostrano che genitore sono. Mi avvicinano a chi è lontano. Rendono l’immagine di me che voglio dare al mondo, per quanto questa possa essere magari lontanissima dalla realtà. Potremmo continuare ma vorrei soffermarmi sul bambino.

Un figlio, soprattutto piccolo, potrebbe, un giorno, non gradire quelle foto postate sui social. Se penso alle foto della mia infanzia, negli anni ‘80, con vestiti improbabili, tagli di capelli improbabili, da adolescente non avrei gradito vederle su Facebook. Oggi sono adulta e sono capace di riderci su, attrezzata per farlo. I nostri figli, oggi piccoli ma domani adolescenti, lo saranno? In un’epoca dove tutto è osservato, dove tutto è potenzialmente oggetto di commenti, cosa accadrà?

Non voglio pensare, per forza, a scenari drammatici, seppure possibili, in cui foto private o condivise con pochi amici, finiscano in mani sbagliate. Penso soltanto a un concetto di privato, di intimo, su cui, postando una foto di mio figlio, sto facendo una scelta che lo riguarda ma su cui lui non ha scelta. Quella foto non sarà più privata, quel ricordo non sarà più intimo. Sono io che scelgo per lui. Scelgo per lui un’identità ‘social’ che, come sappiamo, è pressoché eterna. Allo stato, non disponiamo di dati sostanziali. Nonostante il fenomeno sia molto studiato, è troppo recente per comprenderne appieno la portata. Ma lo sguardo che ho sulla adolescenza, attraverso la mia professione, mi porta a pensare che i nostri ragazzi non sono sempre così felici di ritrovarsi in rete, attraverso gli occhi dei genitori.

Hanno bisogno di costruire la loro identità, anche quella virtuale. E hanno bisogno di farlo seguendo le loro inclinazioni che potrebbero non corrispondere alle nostre. Hanno bisogno di declinarsi per come sono oggi, e non già per la storia ‘digitale’ che abbiamo creato noi per loro. La costruzione dell’identità è un tema così complesso, travagliato, anch’esso così intimo che necessita di delicatezza e attenzione. Così come i loro genitori che hanno bisogno di ‘postare’ foto per riceverne feedback, gli adolescenti hanno bisogno di presentarsi al mondo e sperimentarne la risonanza. Vorrei che fossero liberi. Liberi di decidere chi sono, chi vogliono essere con ciò che abbiamo costruito assieme a loro con fatica, che certamente è più dei like su un social. Altrettanta importanza andrebbe data, anche, all’aspetto sociale di questo tema per gli adolescenti: il bisogno di accettazione dei pari, la paura di essere valutati negativamente, di ricevere commenti negativi fino al timore di essere vittime di bullismo o cyber bullismo. Timori, oggi più che mai, attuali.

In sostanza, credo che sia necessaria molta più attenzione e consapevolezza da parte dei genitori, rispetto a qualcosa di molto più complesso di una semplice foto lasciata sui social. Consapevolezza rispetto alla costruzione dell’identità digitale che stiamo fornendo ai nostri figli attraverso la loro esposizione su un social. Consapevolezza che stiamo facendo una scelta per loro, ma che potrebbero, un giorno, non condividere. Forse dovremmo chiederci cosa significhi un like e se ci possa essere un’eredità. Potremmo riflettere su chi i nostri bambini e i nostri adolescenti vedano avere tanti like. Spesso a personaggi di ben poco spessore.

Gli altri interventi nel dibattito Bambini social – Un giorno questo like sarà tuo” su L’Unità.it. 

12 Gennaio 2024

Condividi l'articolo