Il nuovo saggio
Nilde Iotti e l’emarginazione nel Pci maschilista: il saggio sull’Italia patriarcale di Mirella Serri
Un libro che narra la condizione della donna sotto il Regime, e che denuncia pure l’avvilente incoerenza della sinistra, che relegò ai margini le partigiane e odiò compatta la compagna del Migliore
Cultura - di Filippo La Porta
Nel 1947 la Cgil volle sostenere la aberrante proposta democristiana di un “salario familiare” ai maschi delle famiglie – il doppio del salario – per permettere alla moglie di fare la casalinga! Sembra quasi il Medioevo, ma è solo un capitolo, per quanto imbarazzante, della storia della sinistra italiana in relazione alla condizione della donna, come apprendiamo dall’utilissimo Uomini contro.
La lunga marcia dell’antifemminismo italiano di Mirella Serri (Longanesi). Da leggere dopo aver visto C’è ancora domani di Paola Cortellesi. Il libro di Mirella Serri, scritto con piglio narrativo, scrupolo documentario e sicurezza di scrittura, si compone in realtà di altre parti, tutte significative.
Ci parla della “guerra contro le donne” di Mussolini, e poi della destra razzista del tenebroso Julius Evola, dandy solitario ispiratore di Ordine Nuovo, in seguito nume tutelare degli stragisti del Circeo (che però non capivano nulla di grandi scrittori reazionari come Céline o Knut Hamsun!), e ancora di Berlusconi e del femminicidio del nostro presente.
Eppure il racconto degli “inciampi della sinistra”, così incoerente rispetto ai suoi stessi principi, e dell’attacco dell’intero Partito Comunista a Nilde Iotti, colpevole di adulterio, e difesa con amoroso vigore del suo compagno Togliatti, è quello più avvincente e anche un po’ sorprendente.
Si comincia con la Resistenza. Al termine della guerra civile tutte le donne che furono protagoniste della lotta armata vennero escluse dai ruoli dirigenziali, in ogni campo, “non erano considerate pronte per dare il loro contributo alla democrazia”.
Estromesse ovunque dalle imprese e dal lavoro dei campi. Nilde Iotti, che aveva studiato alla Cattolica di Milano con Fanfani e Dossetti, per sostenere la sua candidatura alle elezioni amministrative – le prime a suffragio universale (il grande merito del film della Cortellesi è di farci commuovere fino alle lacrime su una passione “civile” non su una love story! – si rivolse alle compagne per esortarle a non rinunciare al lavoro conquistato durante la guerra: “non pretendiamo di lasciare i nostri figli… però dobbiamo contare”.
Il 30 luglio del 1946, propiziato da una carezza sui capelli del Migliore, comincia il suo affair con Togliatti, di 26 anni più grande, che era sposato e aveva un figlio. Quella carezza corrispondeva a una “vertigine”, e questa parola risuonò subito nelle loro lettere. La coppia adulterina preferì nascondersi in omaggio al costume borghese che il partito non intendeva violare.
Dopo la nomina a deputata Nilde Iotti incontrò l’ostilità dell’intero partito, con le stesse donne in testa, e la dura reprimenda del “libertino” scavezzacollo Amendola, che le intimò di dedicarsi a Togliatti e mollare la politica. Le amanti erano tollerate, le concubine no!
C’è poi una scena quasi comica, che riguarda l’invito a Mosca nel 1948 del temibile Pietro Secchia – che sognava l’insurrezione armata -, il quale chiese a Stalin se sarebbe scoppiata la Terza Guerra Mondiale ma quegli era preoccupato solo dell’amore clandestino di Togliatti, che aveva visto stanco e affaticato, e a cui volle consigliare di mangiare regolarmente e per quattro volte al giorno (!).
Ricordo di sfuggita che in Urss era vietato l’aborto ed era in atto da tempo una persecuzione verso dissidenti, omosessuali, donne ed ebrei. Poi quando ci fu l’attentato a Togliatti lo stesso Stalin disse subito che la colpa era di Nilde, che aveva fatto allentare la sorveglianza. Nilde Iotti sostenne l’invasione dell’Ungheria ma continuarono a non perdonarle le posizioni oltranziste in materia di femminismo.
Così chiosa l’autrice: “gli anni Cinquanta, che avrebbero dovuto aprire nuove traiettorie, si stavano configurando come uno dei periodi più misogini del Novecento”. Gran finale sull’immagine congiunta di Berlusconi e Putin, amici intimi e sodali di affari, seduttori compulsivi votati alla religione del “fisico tonico e curato”.
Amicizia suggellata dal dono putiniano di un lettone a tre piazze, famoso per aver ospitato “giovani fanciulle ed escort”. L’autrice ci ricorda che Putin era ispirato da Dugin, a sua volta formatosi sugli anti-occidentali Guenon e Evola.
Al libro manca un capitolo sulla misoginia nei movimenti degli anni 70, egemonizzati dalle figure patriarcali e autoritarie dei leader (forse la parte peggiore del ‘68), fino alla rivoluzione femminista non-violenta del 1975, un evento sconvolgente che tra le altre cose portò allo scioglimento di Lotta Continua.
Ma si tratta di un capitolo assai difficile, che si potrebbe costruire solo attraverso una capillare storia orale fatta di interviste e testimonianze personali.
Mirella Serri ci costringe a una riflessione controcorrente. Oggi si moltiplica negli “uomini contro” che lamentano il minaccioso avanzare di una lobby femminile pronta a occupare tutte le posizioni di potere, e che denunciano l’arbitrio delle quote rosa (che comunque hanno portato la presenza di donne nei cda dal 7% al 36%).
Come avviene spesso, la situazione percepita non coincide con la situazione reale: “l’uguaglianza di genere è sotto attacco ovunque nel globo”. Per Orban, che Giorgia Meloni ha recentemente abbracciato – in nome del valore comune della famiglia – un eccesso di istruzione femminile annichilisce il senso del sacro che accompagna la maternità.
Indubbiamente la legislazione in favore delle donne ha conosciuto grandi progressi, ma ci troviamo di fronte a un immaginario immarcescibile, profondamente radicato nella mentalità maschile.
Non Mussolini o Julius Evola ma le menti più illuminate del pensiero occidentale – dentro la modernità – , da Spinoza a Rousseau e a Hegel, teorizzavano l’inferiorità della donna (a cui pure Dante riconosceva “intelletto d’amore”).
Gli esempi sono innumerevoli. Si pensi solo alla incredibile, persistente diffidenza verso le donne chirurgo, quando sappiamo che i pazienti operati da chirurghe hanno un tasso di mortalità inferiore! Davvero la democrazia è una crosta sottile, una conquista sempre precaria, e proprio la parità di genere ne rappresenta oggi il test decisivo.
Nel suo primo comizio Nilde Iotti si richiamò alla rivoluzione francese, che pose per prima la questione dei diritti femminili. Sapete la reazione del pubblico? ”Buuuu, non li dimostri tutti questi anni, ma in Francia ai tempi della rivoluzione c’eri anche tu?”