Violenza di genere
Femminicidio: la parola dell’anno scelta dalla Treccani, 118 le vittime nel 2023 in Italia
La scelta per "porre l'attenzione sul fenomeno della violenza di genere, per stimolare la riflessione e promuovere un dibattito costruttivo". La definizione: "Eliminazione fisica di una donna in quanto tale, espressione di una cultura plurisecolare maschilista e patriarcale"
Cronaca - di Redazione Web
L’Istituto dell’Enciclopedia Treccani ha scelto “femminicidio” come parola del 2023. Il bilancio del ministero dell’Interno ha riportato come siano state 118, almeno finora, le donne uccise dall’inizio dell’anno. Il 2022 si era chiuso con 127 donne uccise: il 2023 ha però visto alcuni casi che hanno catturato un’enorme attenzione mediatica, su tutti quelli di Giulia Tramontano e di Giulia Cecchettin, quest’ultimo capace di convogliare il dibattito sui temi delle violenze di genere e del patriarcato grazie alle dichiarazioni del padre e della sorella della vittima.
La scelta è arrivata nell’ambito della campagna di comunicazione #leparolevalgono, volta a promuovere un uso corretto e consapevole della lingua. In un comunicato Treccani ha evidenziato “l’urgenza di porre l’attenzione sul fenomeno della violenza di genere, per stimolare la riflessione e promuovere un dibattito costruttivo intorno a un tema che è prima di tutto culturale: un’operazione pensata non solo per comprendere il mondo e la società che ci circondano, ma anche per contribuire a responsabilizzare e sensibilizzare ulteriormente lettori e lettrici su una tematica che inevitabilmente si è posizionata al centro dell’attualità”. L’espressione non smette di provocare dibattito, quando caso per caso si discute su quale si tratti o meno di femminicidio.
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La definizione di femminicidio della Treccani
La definizione, nel vocabolario Treccani, è segnalata come: “Uccisione diretta o provocata, eliminazione fisica di una donna in quanto tale, espressione di una cultura plurisecolare maschilista e patriarcale che, penetrata nel senso comune anche attraverso la lingua, ha impresso sulla concezione della donna il marchio di una presunta, e sempre infondata, inferiorità e subordinazione rispetto all’uomo”. Il lemma è comparso nel 2001 ed è stato coniato come neologismo nel 2008, anche grazie al libro di Barbara Spinelli, Femminicidi. È un calco dall’inglese “feminicide”, coniato dalla criminologa Diana Russel in un suo saggio e ripresa dall’antropologa messicana Marcela Lagarde in un suo scritto del 1993 per indicare i numerosissimi omicidi di donne ai confini tra Messico e Stati Uniti.
La motivazione della Treccani
“Come Osservatorio della lingua italiana non ci occupiamo della ricorrenza e della frequenza d’uso della parola femminicidio in termini quantitativi, ma della sua rilevanza dal punto di vista socioculturale: quanto è presente nell’uso comune, in che misura ricorre nella stampa e nella saggistica?”, ha spiegato citata da AdnKronos Valeria Della Valle, direttrice scientifica, insieme a Giuseppe Patota, del Vocabolario Treccani. “Il termine, perfettamente congruente con i meccanismi che regolano la formazione delle parole in italiano, ha fatto la sua comparsa nella nostra lingua nel 2001 (e fu registrata nei Neologismi TRECCANI del 2008): da allora si è esteso a macchia d’olio quanto il crimine che ne è il referente”.
“Purtroppo, nel 2023 la sua presenza si è fatta più rilevante, fino a configurarsi come una sorta di campanello d’allarme che segnala, sul piano linguistico, l’intensità della discriminazione di genere. Il termine, perfettamente congruente con i meccanismi che regolano la formazione delle parole in italiano, ha fatto la sua comparsa nella nostra lingua nel 2001 (e fu registrata nei Neologismi Treccani del 2008): da allora si è esteso a macchia d’olio quanto il crimine che ne è il referente”.